Vedere la Gioconda con un caschetto di capelli viola può stupire, incuriosire o comunque far esitare una frazione di secondo il nostro sguardo su quell’immagine che presenta qualcosa di noto e qualcosa di nuovo. Se spostiamo l’attenzione verso la parte inferiore dell’annuncio stampa, capiamo perché quell’insieme di atteso e inatteso ci viene proposto: pubblicizzare un phon.
Se il prodotto in questione può cambiare pettinatura a una delle figure femminili più celebri della storia, immaginiamo i vantaggi estetici per le altre donne nell’utilizzarlo! Leonardo non si sarebbe di certo mai immaginato che, sei secoli dopo, la Monna Lisa potesse pubblicizzare snack, aspirapolveri, offerte telefoniche, acqua minerale e molto altro.
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D’altra parte, il suo non è un caso isolato: molte icone dell’arte rinascimentale come la Venere di Botticelli, ma anche opere più recenti come l’Autoritratto di Van Gogh o Il bacio di Klimt sono state utilizzate per diffondere i prodotti più disparati. Figure e forme dell’arte sembrano perdere la loro aura per confluire nella pubblicità, così come l’immagine pittorica e visiva è a sua volta influenzata dall’advertising.
Qui non parliamo però in generale di come arte e pubblicità si siano suggestionate reciprocamente, ma nello specifico di come la comunicazione commerciale recuperi immagini emblematiche, dalla Gioconda al David di Michelangelo, per inserirle nel flusso continuo di messaggi inviati ai potenziali consumatori. L’arte ci fornisce visioni che si sedimentano nel nostro immaginario e quando ne abbiamo bisogno riaffiorano in superficie come un immenso lago da cui possiamo attingere prospettive, colori, forme, dimensioni. La già citata Venere di Botticelli – allora canone di bellezza universale – diviene oggi testimone di forme abbondanti utilizzate per comunicare prodotti per dimagrire o cioccolatini.
Esistono modalità diverse in questa contaminazione: in alcuni casi l’advertising cita un’opera in particolare, in altri riprende un genere iconografico, ovvero una particolare espressione artistica, contraddistinta da caratteri comuni come la natura morta, il paesaggio, le storie sacre e le raffigurazioni profane. Un esempio è il ritratto di Federico da Montefeltro di Piero della Francesca utilizzato per la penna Aurora con l’headline “Nobili Origini” o per il cotto Ferrone “Un patrimonio toscano”. In questo caso l’opera d’arte rinascimentale testimonia lo stile italiano, le radici del design e la maestria nella progettazione.
La pubblicità per sua natura cita altri mondi, per molte ragioni. In primo luogo si deve far comprendere, quindi attinge ad un patrimonio conoscitivo che ha in comune con i suoi destinatari. Inoltre, si deve far capire in tempi molto brevi, quindi deve essere certa che al primo sguardo verrà decodificata dal suo pubblico di riferimento, non necessariamente da tutti. Nel meccanismo classico della citazione, l’emittente condivide con il destinatario un universo immaginario, un sistema di segni riconoscibile che crea un senso di vicinanza, una complicità.
La ricerca del consenso passa attraverso la proposta di segni e forma espressive che il pubblico conosce già. Il rischio è quello di un appiattimento e di una mancanza di sperimentazione che tuttavia è forzato chiedere alla pubblicità, per sua natura divisa tra proporre il già noto e introdurre un elemento di novità, che non è quasi mai vera trasgressione, piuttosto un espediente per attirare l’attenzione.
Citazione esplicita o implicita. In alcuni casi l’opera d’arte o una parte di essa è prelevata e reinserita nel messaggio pubblicitario senza subire manipolazioni – se non la variazione di contesto che comunque ne altera significati e lettura – anche se viene semplicemente affiancata da un claim. In altri casi l’opera viene manipolata, modificata, ne vengono cambiati alcuni elementi, come i capelli della Monna Lisa. L’importante però è che, pur nelle variazioni, siano mantenuti i tratti fondativi che la rendono riconoscibile. Possiamo parlare di “citazione esplicita” quando l’opera è comunque riconoscibile, anche se sono stati eseguiti ritocchi grafici. La “citazione implicita” invece si verifica quando l’ispirazione all’opera d’arte non è immediatamente identificabile, ma comunque rilevabile dopo un’attenta osservazione. Un esempio è l’annuncio stampa di Bulgari (campagna autunno-inverno 2010-2011) con protagonista Julianne Moore, in cui l’attrice sdraiata posa nuda con indosso solo gioielli del marchio italiano, come una moderna Maja desnuda di Goya.
Julianne Moore per BulgariPossiamo poi fare un’ulteriore distinzione tra la citazione di un’opera, di uno stile o relativa a un genere iconografico. Ci sono capolavori dell’arte largamente citati come l’Ultima Cena di Leonardo, la Creazione di Adamo di Michelangelo, la Venere di Milo; ma anche alcuni monumenti simbolo come la Tour Eiffel e la Statua della Libertà, la Grande Muraglia cinese, il Taj Mahal e il Cristo Redentore di Rio. Più complessa la decodifica della citazione dell’opera di Magritte, Ceci n’est pas une pipe, che propone già di per sé uno scollamento tra segno e significato, tra oggetto e sua denominazione.
Esempio di citazione di uno stile è la pubblicità arcimboldesca. Giuseppe Arcimboldo è il pittore milanese famoso in tutto il mondo per le sue “teste composte”, ossia teste umane realizzate combinando elementi appartenenti al regno vegetale o animale, che sembrano suggestionare in modo più o meno consapevole la fantasia dei pubblicitari.
La citazione di un genere iconografico trova una concretizzazione esemplare nella natura morta di una celebre campagna pubblicitaria Barilla (1986-1987) dell’Agenzia: Young & Rubicam vincitrice per il 1986 di un argento agli ADCI Awards.
In alcuni casi l’arte è inserita nel visual come presenza scenica, ad esempio nel caso di un modello che interagisce con una statua nelle pubblicità di moda, per richiamare i canoni estetici intramontabili della bellezza classica.
Oltre all’immaginario iconografico sedimentato in tutti noi, chi lavora nel mondo della pubblicità è curioso, ha fame di immagini che non appartengono solo al suo lavoro ma fanno parte del mondo. Alcuni professionisti, in particolare gli art director, hanno una formazione artistica per cui la citazione di un’opera o di uno stile può diventare occasione per fare un omaggio a un maestro, indicare un riferimento o una fonte di ispirazione. Le arti figurative in pubblicità sono dunque necessarie a concretizzare visivamente il concept della campagna. Il successo di una buona idea di campagna dipende anche dalla sua qualità in termini estetico-comunicativi, e quindi dalla capacità di impiegare tecniche artistiche coerentemente con gli obiettivi di comunicazione.
La pubblicità attinge da molti ambiti culturali, cita e utilizza stereotipi. Ma l’advertising è in grado di stimolare interesse verso l’arte? E’ improbabile che la Gioconda incrementi la sua popolarità perché usata come visual di un manifesto. Ci può essere forse un’attualizzazione dell’opera che esce dai luoghi deputati, come musei e gallerie, per entrare nel mondo dell’immagine e dei consumi. Forse sarebbe comunque più corretto indicare la fonte come suggerisce Marco Maraviglia, sia nel caso della citazione implicita, sia di quella esplicita.
Pubblicità e arte sono forme di comunicazione in cui il rapporto tra fruitore e autore è importante. Negli ultimi anni, tuttavia, il ruolo del fruitore nella pubblicità si fa sempre più evidente non solo nell’interpretazione ma anche nella costruzione del messaggio, resa possibile dai nuovi paesaggi della comunicazione commerciale.
Quelle che oggi noi consideriamo opere d’arte sono state in passato portatrici di innovazione, cambiamento, densità di significati e stratificazioni complesse di interpretazioni che rischiano un impoverimento nell’abuso, nella diffusione decontestualizzata. Ma la pubblicità è solo uno dei meccanismi di diffusione di modelli culturali e valori, raramente ne è la principale fautrice perché per sua natura è conformista e in questo sì, profondamente diversa dall’arte. Ora che la costruzione dei significati nella comunicazione di marca viene condivisa con i consumatori, è legittimo chiedersi in che direzione andrà l’immagine e che modifiche subirà il processo di definizione della parte visiva della pubblicità.