Questo è un libro pieno di cattiveria. E’ autentico, implacabile e tutti sono cattivi. Hanno tutti un disperato bisogno di soldi e farebbero qualsiasi cosa per averli. Non si salva nessuno e non si sa da che parte stare. Le quattro casalinghe di Tokyo non sono meno disperate di quelle americane, né meno folli, ma loro follia non è affatto ostentata e dunque è più spaventosa. E poi, a ben vedere, queste non sono nemmeno casalinghe perché svolgono un faticosissimo lavoro notturno. Infatti il titolo originale del romanzo è Out. E in ogni caso è antecedente alla serie americana Desperate Housewives.
Questo è un libro nero, nero, o forse dovrei dire rosso, grondante di sangue: gli amanti del genere non resteranno delusi. Ma non è solo un romanzo di genere perché è anche uno straordinario racconto della società giapponese, una critica sociale, una narrazione corale, una storia dura, un po’ splatter, un po’ thriller. E c’è pure l’ironia, ma anche quella non è mai palese. Non sai se l’autrice stia ridendo sotto i baffi, o se invece è seria. Dev’essere l’ironia giapponese.
Insomma sarebbero 625 pagine da cui non riesci a staccarti, sennonché mi ha provocato una duplice e opposta reazione: per un verso non volevo mai smettere di leggerlo, ma la sua violenza mi frenava e dovevo prendermi delle pause.
La struttura narrativa e l’intreccio sono congegnati a orologeria, il ritmo è perfetto, i personaggi sono tutti diversi e molto ben caratterizzati, ma vi aleggia un gusto perverso per la morte che fa paura. E forse è proprio questo lo scopo dell’autrice, spaventarci e turbarci.
Quello che sconvolge la tranquilla quotidianità di queste donne è ancora più terrificante perché arriva in situazioni del tutto normali e ordinarie. L’autrice compie una spietata indagine nel lato oscuro dell’animo umano. E’ una storia priva di giudizi moralistici, di sensi di colpa e pentimenti, dove non c’è spazio per i buoni sentimenti. I personaggi parlano in prima persona e questo ci permette di entrare profondamente nella loro psicologia e di avere il punto di vista di ognuno. Ecco quello dell’ispettore Imai:
Inoltre le donne, quando la situazione in cui vivono è simile a quella dell’assassina, facilmente scivolano dalla compassione alla complicità. Ad esempio una donna aveva ucciso il marito che si ubriacava e la picchiava ed era corsa a piangere dalla madre. Questa aveva avuto compassione – era la fine che si meritava! – e l’aveva aiutata a fare a pezzi il cadavere. In un altro caso due amiche avevano ucciso insieme un poco di buono, una specie di ruffiano che tormentava una di loro. L’avevano dissezionato e ne avevano gettato i resti nel fiume. Dopo la cattura avevano confessato tranquillamente che credevano di aver fatto una buona azione.
Ogni giorno le donne cucinano, sono dunque più abituate degli uomini ad avere a che fare con il sangue e la carne. Hanno confidenza con i coltelli e sanno come eliminare i rifiuti. Inoltre sono capaci di avere nervi di acciaio, perché quando partoriscono hanno un’esperienza che le avvicina al confine tra la vita e la morte.
In una società come quella giapponese, che vuole la donna gentile e sottomessa, la scrittrice Natsuo Kirino stravolge e ribalta il clichè. Forse per questo ha tentato di nascondersi dietro a uno pseudonimo maschile. Il suo vero nome è Mariko Hashiocka, ha 60 anni e ha scritto 16 romanzi, tutti gialli e tutti di successo in Giappone. Le quattro casalinghe di Tokyo è quello che ne ha avuto di più e ha anche vinto il prestigioso Premio della Associazione giapponese degli autori di romanzi polizieschi.
La Kirino ha esordito alla scrittura dopo i 30 anni e ha raggiunto la fama dopo i 40. Vive a Tokyo, è sposata e madre di una figlia. In Giappone è considerata una delle scrittrici più innovative degli ultimi anni.
Che succede se una donna giovane e bella torna a casa e trova il marito, che la sera precedente l’ha picchiata, di nuovo ubriaco, che le dice di aver dilapidato tutti i loro risparmi, accumulati in anni di lavoro per comprare la casa?
Semplice: si toglie la cinta, gli salta al collo e lo strangola.
In questo libro tutti cercano una via d’uscita e vorrebbero un’altra vita, ma i tentativi di uscire dalla povertà, dal lavoro notturno, dal ritmo ripetitivo del rullo che trasporta pasti precotti da impacchettare, dal grande buio che li circonda, dal quotidiano sempre uguale, da una vita famigliare priva di affetti, falliscono. Vorrebbero essere Out da tutto ciò, ma riescono solo a passare dall’impacchettare colazioni all’impacchettare cadaveri. E’ questa l’ironia della sorte, o meglio l’ironia di Natsuo Kirino.
Una curiosità: nel romanzo c’è un solo personaggio positivo e non è giapponese! Un’ultimissima cosa: non oso pensare a cosa avrebbe potuto fare una scrittrice che sa inventare delle così orribili perversioni, se non avesse avuto l’arma letteraria.
questo è un libro che mi sono già annotata più volte di comprare, credo proprio che la prossima volta capiterò in una libreria mi dirigerò diretta ad acquistarlo!
Ok 🙂 poi fammi sapere…
Anche questa volta sei riuscita ad incantarmi con il tuo racconto… Mi associo. Prendo e leggo.
Grazie!!!
Giov
Questo libro è il primo di una lunga serie di autori giapponesi che ho letto.
Kirino Natsuo riesce a dipingere con le parole, quello che leggi ti si fissa in mente e ti scorre davanti come un film. Bellissimo e crudo.
Consiglio a tutti (anche ai non amanti del genere)
Ps. Articolo molto bello 😀
Sono d’accordissimo Fjona. E’ duro e crudo ma davvero appassionante!
E sicuramente trascende il genere…
Mi permetto di lasciare un commento proprio perchè ho appena finito di leggere il libro. Poi è chiaro che ognuno ha (o avrà) la sua opinione. E premetto che amo la letteratura giapponese. In effetti il libro si legge tutto d’un fiato ed ha il potere di creare delle immagini molto forti quasi filmiche, che ti si imprimono bene in testa, tuttavia alla fine ci sono dei punti che rimangono in sospensione…per lo meno in chi legge. Intanto le quattro protagoniste, alla faccia di tutte le intercettazioni , comunicano tra di loro principalmente per via telefonica. Vanno e vengono con pezzi di cadavere in sacchetti di plastica, nel bagagliaio della macchina, dissezionano in tutta tranquillità nel bagno di casa. La figura principale si mette a tu per tu con yakuza, usurai e quant’altro e riesce ad uscire indenne da un finale grandguignolesco(non dirò nulla per non rovinare la lettura a nessuno) riuscendo a ribaltare tutte le situazioni a suo favore, unica vera trionfatrice assoluta. Insomma l’effetto è stato quello di leggere un gigantesco manga, troppo al di là della vita reale per essere come si legge in quarta di copertina “un atto d’accusa nei confronti della società giapponese” o “la descrizione dell’alienazione femminile”. E’ vero che le quattro donne come tutti i personaggi del romanzo sono alla ricerca di una via d’uscita (come al solito il titolo italiano non rende). Ma dopo un po’ la narrazione diventa prevedibile, a tratti noiosa, ripeto è solo un’opinione, non me ne voglia nessuno. Rimago dell’avviso che Haruki Murakami, solo per citare un nome, sia tutt’altra cosa. Grande rispetto per l’autrice che ha fatto anche incetta di premi, ma l’ho trovata una Banana Yoshimoto in salsa thriller-pop con puntate su situazioni violente e forti che tanto piacciono al pubblico-giapponese e non solo. Che la donna sia alienata in molte grandi società industriali, in Oriente come in Occidente, è un dato di fatto. Non credo sia la tesi di fondo di libri come “Out”. Grazie dello spazio e comunque buona lettura a tutti
Che ti devo dire Nina, io non l’ho trovato finto.
Ho pensato che gli avvenimenti si stessero svolgendo in uno dei modi possibili, che come sempre è un misto di intenzioni, caso e fattori accidentali, errori, eccetera.
Le cose di cui parli vengono spiegate e giustificate all’interno della narrazione e a me quelle spiegazioni sono sembrate plausibili, nel senso che non mi sono neanche posta il problema. Il romanzo mi ha dato l’impressione che il Giappone sia una società molto alienata in cui tutti stanno male – le donne ancora più degli altri – perché è organizzata in modo che tutti stiano male.
A me il libro è piaciuto, ma comprendo la tua posizione.