Il gruppo di lettura su Kafka sulla spiaggia, è composto da due sceneggiatrici, una editor, una producer di cinema, un’esperta di internet fiction (murakianamente non stiamo a precisare chi è chi). Questa è la seconda parte, se volete leggere la prima cliccate qui.
Tiziana: Spesso i suoi personaggi, almeno quelli dei romanzi che ho letto, è come se si allontanassero dalla vita e non tornassero più. C’è anche ne La ragazza dello Sputnik e in Tokyo Blues.
Cristina: In Tokyo Blues c’è la più alta percentuale di suicidi che io abbia mai visto in un romanzo!
Roberta: E’ molto giapponese. In Giappone ci si suicida come se niente fosse. La cosa tipica è: mi vergogno di quello che ho fatto perciò mi suicido.
Giovanna: Se lo facessero anche da noi avremmo risolto diversi problemi.
Cristina: Io dissento un po’. E’ vero, lui è giapponese, perciò è ovvio che lui abbia respirato e quindi trasmetta la cultura orientale, però è anche un uomo molto colto di cultura occidentale.
Roberta: Probabilmente è un orientale che si sente molto occidentale.
Tiziana: E’ così, anche perché ha vissuto a lungo in Europa e in America.
Cristina: A lui piace essere cosmopolita. Vive per mesi alle Awaii… vedi che torna Lost. Però io volevo dire qualcosa sulla depressione perché è la dimensione in cui si ritira la persona che deve fare i conti con il proprio inconscio.
Giovanna: La depressione è il sistema per consumare un dolore.
Cristina: Esattamente, ed è un sistema che ti permette di isolarti e di farti il tuo viaggio nella foresta, o in fondo al pozzo, come nell’Uccello che girava le viti del mondo. La cosa che adoro in questi meccanismi di trasgressione del principio di realtà e del realismo narrativo, è che lui è capace di metterli in una forma pseudorealistica. Lui esternalizza i processi psichici. Il ragazzo Kafka che si fa il suo viaggio nella foresta, che cos’è se non un viaggio interiore che poi è l’archetipo del viaggio dell’eroe: scendere nella parte oscura e uscirne. Ma lui non sottopone Kafka a delle prove come l’eroe della favola, l’unica vera prova è uscirne.
Monica: E’ crescere, la prova di Kafka è che lui sta crescendo.
Tiziana: E’ uscire dalla foresta e dal complesso di Edipo.
Giovanna: Sbatti la faccia contro le tue figure famigliari e in qualche maniera le domini: uno lo ammazzi, un’altra te la scopi e un’altra forse te la sei scopata, e vai avanti nella tua vita.
Cristina: Detto questo nessuno ci garantisce che quella sia la madre, che quella sia la sorella e che il padre lo abbia ammazzato lui.
Tiziana: Se tu sei nel complesso di Edipo, il fatto che quello sia davvero tuo padre, o tua madre, è ininfluente. Purtroppo il valore di questo complesso è universale perché questa maledizione colpisce tutte le donne che lui incontra che è come se fossero sua madre e sua sorella. Se non ci fai i conti, non potrai mai incontrare nessuna donna e avrai davanti solo madri e sorelle.
Giovanna: Per questo dico che è una liberazione dagli archetipi famigliari. E’ come se rompesse la realtà dicendo: guarda è molto più fantasmagorica e caleidoscopica di quanto tu creda. Alla fine quello che trovi è poco perché non arrivi ad alcuna conclusione razionale. Lui non te lo consente. C’è un’amplificazione della realtà. Tu guardi fuori dalla finestra e dici: ci sono mille cose come le vede lui. E’ un gran pittore perché ti modifica lo sguardo. Mentre lo leggevo pensavo “adesso ne leggerò un altro”, come una tossicomane. E’ come se drogasse perché ti dà la sensazione di vivere in un mondo multidimensionale.
Roberta: Il fatto di rimanere come drogati rispetto al libro mi fa pensare a Garcia Marquez.
Tiziana: In Marquez però c’è la trama.
Roberta: Perché qua non c’è la trama?
Cristina: La fabula è semplice, i fatti, diciamo, dal punto di vista strutturale, perché poi dal punto di vista dei contenuti è una follia totale. Per di più lui, se leggete 1Q84 ancora di più, ha una struttura quasi da soap opera. Molli una linea narrativa sul più bello, poi riprendi l’altra linea narrativa, poi riprendi quell’altra.
Tiziana: Ha una struttura a cliff, a sospensioni drammatiche, come quella del giallo.
Cristina: Non mi ricordo se Calvino, o chi, ha detto che un bel romanzo è un giallo.
Tiziana: Sono d’accordo.
Cristina: Marquez come struttura narrativa è proprio un romanzo classico. E’ vero che ti introduce in un mondo magico dove ci sono gli spiriti etc. ma la scrittura di Marquez è molto più ingenua, più semplice. Nella costruzione dell’intreccio magari Marquez ti racconta delle storie più complicate di quelle di Murakami, anche per numero di personaggi, ma la tela narrativa di Murakami è estremamente più raffinata. Uno che non è meno che un genio della scrittura una cosa del genere… (mostra il libro) ma manco un manga. Lui però, con la scrittura ha la capacità di far esistere le cose.
Tiziana: Si fa fatica a ricondurre tutto a una narrazione unitaria. Allora forse è un pazzo, ma è uno di quelli che vendono più libri al mondo in questo momento.
Giovanna: E’ uno spacciatore di droga narrativa.
Tiziana: Sapete che è stato accusato di essere furbo, di usare trucchi per catturare il lettore.
Cristina: Tutta invidia!
Insulti vari e proteste contro chi ha scritto queste cose
Cristina: Lui non scrive best seller. Non è Wilburn Smith.
Robera: O Ken Follet.
Cristina: Ad esempio Dan Brown, lui si che m’innervosisce.
Giovanna: Io l’ho letto in una sera e mezzo, ma rivolevo indietro i soldi.
Cristina: Quella è tecnicaccia, è scritto coi piedi.
Monica: Gli scrittori che scrivono per diventare film, li vedi subito. Invece io c’è una cosa che mi sono persa, forse perché non riesco a leggere lentamente: Johnnie Walker mangiava i gatti perché voleva…?
Roberta: Il cuore dei gatti per un grande flauto.
Monica: E ci riesce?
Giovanna: No, Nakata lo uccide prima.
Tiziana: Murakami sembra suggerire che Johnnie Walker sia il padre di Tamura Kafka.
Roberta: Sì, lo è.
Cristina: E’ proprio un dato oggettivo.
Monica: Che il pittore sia Johnnie Walker è stata tutta una visione di Nakata?
Roberta: Secondo me è stata tutta una visione di Nakata.
Cristina: Nakata ammazza il padre di Kafka e lo ammazza percependolo come Johnnie Walker.
Tiziana: Per me può essere il padre, ma anche non esserlo.
Cristina: Invece sì perché c’è l’indagine della polizia. Quando la polizia entra in casa e trova il cadavere, il sospettato numero uno è questo vecchietto.
Tiziana: In un romanzo di Murakami, il fatto che uno sia sospettato non è che significhi molto. Sì, è sospettato perché si è autodenunciato di aver ucciso Johnnie Walker e, visto che aveva detto “cadranno pesci dal cielo” che poi sono caduti davvero, alla polizia si sono detti che forse era vero pure che lo aveva ucciso. Ma non è che siano prove schiaccianti.
Monica: E soprattutto perché questo ragazzino odiava il padre?
Tiziana: Perché aveva il complesso d’Edipo.
Roberta: Perché ha fatto scappare la madre.
Monica: Ci sono tutta una serie di cose molto oscure per cui questo ragazzo a 15 anni scappa di casa e non vuole più vivere con il papà. Ho pensato che Johnnie Walker e i gatti stiano lì per mostrare l’orrore di quell’uomo.
Tiziana: Ma non potremmo pensare che questa sia tutta una proiezione del figlio edipico? Il figlio odia il padre. La madre lo ha abbandonato e lui, oltre a darsi la colpa di questo abbandono, se la prende col padre. Perché se quando sei piccolo ti abbandona la madre, tu non pensi, ad esempio, che lei è pessima, non hai questi strumenti, invece pensi: è colpa mia perché sono cattivo, sono indegno. Lui, non solo accusa se stesso, ma in modo tipicamente edipico, odia il padre e quindi il padre è il peggiore degli uomini. C’è una cosa da dire su questo povero padre che dipinge i labirinti…
Cristina: E che è stato fulminato, poveraccio!
Tiziana: Non solo è stato fulminato ma lei, la signora Saeki, si è messa con lui dopo che ha vissuto il suo grande amore: è stato un misero ripiego e gli ha rovinato la vita.
Cristina: Ammesso che sia davvero lei.
Tiziana: Se vogliamo stare nella metafora e dare tutto per buono, anche una delle tante versioni proposte, lei si è messa con il padre dopo “Kafka sulla spiaggia”, la canzone, e ha distrutto quest’uomo. Poi l’ha abbandonato perché di lui non glien’è mai importato niente e si è portata via pure la figlia.
Cristina: Però il padre è una figura bifronte perché lui da una parte fa Laio, dall’altra l’Oracolo. E’ il padre che dice al figlio la profezia.
Fine del Gruppo di lettura su Kafka sulla spiaggia parte seconda
Continua e vai alla terza parte
Se vuoi leggere la recensione su Kafka sulla spiaggia la trovi qui
Salve, non so sia ancora attivo lo spazio per i commenti, ma ho finito di rileggere proprio oggi Kafka sulla spiaggia e, cercando qualcuno che lo avesse letto, mi sono imbattuto nella vostra interessante conversazione.
Per quanto riguarda il flauto che cerca di costruire Johnnye Walker, rileggendo mi sono (ri)chiesto cosa potesse essere. Non tanto per cosa stesse (tutto è metafora…), ma proprio quali fossero le sue caratteristiche che lo fanno diventare parte di quella necessità da tragedia greca del romanzo, in cui tutto si compie perché deve compiersi e senza che il binomio causa-effetto agisca sugli eventi stessi, bensì, casomai, sulle conseguenze di tali eventi, che tanto poi vanno a ricomporsi nella necessità, nella “causa finalis”…
Non conosco il giapponese, pertanto do un’interpretazione probabilmente lontana dal mondo concettuale di Murakami, sempre che, murakaniamente, a volte non sia proprio la lontananza a farci intendere meglio, o comunque a farci unire i puntini in costellazioni che un senso, per noi che le stelle le guardiamo dalla terra, lo possiedono.
L’anima è il principio vitale, consustanziato nel respiro. Il respiro prende naturalmente voce nel passare dalla laringe e dalla bocca, sia negli uomini sia negli altri anima-li. Johnnye Walker prima di uccidere i gatti li paralizza, in modo che non solo stiano fermi mentre li uccide, ma che non emettano suono, che rimangano senza voce, affinché la loro anima-voce possa poi soffiare attraverso il flauto e, attraverso il suono, riprendere voce. Non a caso la sua forma semimateriale esce dalla bocca di Nakata, come se fosse un respiro-voce. Vuole essere un’opera d’arte, insomma. È come se Johnnye Walker, fulminato (nel vero senso della parola!) com’è, entrando in contatto con quella realtà che ha preso forma attorno a lui nel multiverso che lo circonda, avesse colto alcuni elementi (il linguaggio dei gatti, che sanno molto; quella dimensione ai confini della coscienza in cui è stato trasportato Nakata, che parla con in gatti e che fa parte del quadro in cui “vive” il ragazzo della signora Saeki…) e, non potendo accedere a quel mondo, addolorato tentasse di entrarvi attraverso qualcosa di cui lui stesso non sa spiegarsi, o di riprodurne in maniera creativa una parte. Come Saeki aveva composto una canzone in cui anticipava il proprio destino (la porta dell’entrata), lui crea qualcosa di cui avverte la necessità. La rabbia che prova verso il destino “cinico e baro” che gli è toccato lo precipita però nella crudeltà, nella cattiveria, verso i gatti (cui mangia il cuore) come verso il figlio (che rifiuta). Sa che solo facendo così, attraverso la sofferenza altrui, le sue azioni faranno parte di quella necessità da cui si sente attratto ma da cui è respinto: costruire il flauto significa farsi uccidere. Anche Saeki ha fatto degli errori e ha ferito delle persone, però lei aveva amato riamata. Mentre Saeki era accolta dall’amore, lui ne è rifiutato e questo lo fa soffrire e lo rende incapace di amare; che poi è il destino degli artisti “maledetti” — come qui forse Murakami ha un po’ ha indugiato con ironia nel dipingersi…
Mammamia, scusate il delirio!
Sì, Vulfran, è ancora attivo, ma ci ho messo un po’ a risponderti perché sono andata a rivedermi il romanzo.
Non mi ricordavo bene il motivo ultimo per cui Johnnie Walker uccide i gatti. Sì, d’accordo per costruire un grande flauto con le loro anime e poi? In effetti non è chiaro che cosa voglia fare con questo grande flauto, nel senso che lui dice che gli servirà a costruire un flauto ancora più grande e poi uno di grandezza cosmica…
Trovo il tuo commento molto interessante anche se mi ha fatto venire le vertigini, cosa non strana se ci si mette a interpretare Murakami 🙂
In ogni caso mi piace la tua spiegazione dell’anima dei gatti che soffia attraverso il flauto e mi piace l’idea che Johnnie Walker, per far parte della necessità, debba ritagliarsi un ruolo crudele: visto che lui non è accolto dall’amore diventa incapace di amare… l’unica cosa che non mi convince è che questo sia il destino degli artisti maledetti perché mi pare che il destino degli artisti, compresi quelli maledetti, sia piuttosto amare senza essere riamati… e mi rendo conto ora che stiamo dicendo la stessa cosa. Hai ragione, solo l’amore corrisposto è amore, tutto il resto è delirio!
Ciao, molte grazie per la risposta, che è stata una vera sorpresa in quanto mi ero del tutto dimenticato del mio commento!
Hai ragione: Murakami è decisamente vertiginoso, con la sua capacità di farci entrare in contatto con realtà che si sedimentano in noi, rimanendo lì come un sogno dimenticato (che, comunque, c’è). Io, ad esempio, mi sono accorto solo rileggendo “Kafka sulla spiaggia” che già alla prima lettura mi ero chiesto quale fosse il significato del flauto cosmico che vuole costruire Johnnye Walker, solo che mi ero dimenticato di essermelo chiesto. Questa volta però ho provato a dare una risposta.
Trovo poi interessante il fatto che ci siano situazioni, immagini, simboli, stringhe di parole che compaiono in più romanzi, un po’ come porte che mettono in connessione un romanzo con un altro o con un racconto, come se Murakami più che scrivere romanzi stesse lavorando a un unico progetto. Quando sarò più avanti con le letture murakamiame mi piacerebbe riprendere in mano con attenzione tutti i libri e tracciare una sorta di “mappa” delle loro connessioni. Grazie ancora e alla prossima.