La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Selznick e Scorsese

La straordinaria invenzione di Hugo Cabret

Il romanzo

Non è una graphic novel, non è un libro illustrato e non è neppure un semplice  romanzo.
La straordinaria invenzione di Hugo Cabret
di Brian Selznick (parente del David O. Selznick, produttore di King Kong, Via col vento, Rebecca, la prima moglie e di una sconfinata lista di pellicole dei tempi d’oro di Hollywood) è un “romanzo per parole e immagini”. Un libro così insolito da necessitare una definizione ad hoc.

Il romanzo si apre con una serie di tavole a matita, un bianco e nero elegante, pastoso ed evocativo. Poi compaiono delle pagine scritte e poi di nuovo i disegni, sempre a pagina piena, intervallati con la narrazione scritta. Ed il discorso inizia a complicarsi: le immagini infatti, non descrivono quanto espresso dalle parole, ma arricchiscono la parola scritta, integrandola e completandola.

Ed ecco la chiave (a cuore) della straordinaria invenzione di Selznick. Il continuo intreccio tra parole e immagini muta costantemente natura perché ci sono cose che le parole, descrivendo, impoveriscono ed altre che le immagini non riescono a spiegare. Selznick maneggia questo gioco di specchi in maniera esemplare. 

Un bambino abbandonato alla Gare de Montparnasse

Il protagonista, Hugo Cabret, è un bambino di dodici anni che, rimasto orfano e abbandonato anche dallo zio alcolizzato, si aggira all’interno della Gare de Montparnasse, sgattaiolando attraverso i suoi passaggi nascosti, nella Parigi del 1931.

Figlio di un orologiaio (o meglio, cronografista), il ragazzino ha ereditato l’abilità del padre ed il lavoro dello zio, addetto alla manutenzione dei numerosi orologi sparsi per la grande stazione. Hugo si nasconde perché, se scoperto, verrebbe mandato in orfanotrofio. La cosa a cui è più affezionato, l’unico ricordo del padre, è un automa misterioso e rotto.

L’automa, se mai funzionasse, sarebbe in grado di scrivere e Hugo è convinto che nasconda un messaggio lasciatogli dal padre. Per riparare il meccanismo, il bambino ruba giocattoli meccanici dal chiosco di un vecchio scorbutico. Questi però un giorno lo coglie in flagrante e gli prende il taccuino di studi sull’autonoma, contenente le istruzioni per ripararlo, scritte dal padre.

L’azione prende così avvio, con Hugo che segue ovunque il vecchio per recuperare il proprio taccuino. Intanto la figlia adottiva del vecchio, l’intraprendente Isabelle, cerca a modo suo di aiutarlo, mentre s’infila a forza nei suoi segreti.

George Méliès

Il racconto che si sviluppa è un viaggio ai primordi del cinema. Più che romanzo di formazione, sembra un romanzo di scioglimento, di liberazione dai fantasmi personali che impediscono di andare avanti, costringendo i protagonisti ad una immobilità perfettamente riassunta nell’immagine dell’automa rotto.

Per attivarlo serve una chiave, una chiave a forma di cuore, e la metafora non potrebbe essere più scoperta e più efficace. Ma perché il cinema? Perché Hugo, suo padre e Isabelle amano tutti il cinema e soprattutto perché il vecchio scorbutico non è altri che George Méliès, il capostipite del cinema di fantasia, l’inventore degli effetti speciali, il primo a riconoscere le potenzialità del cinema come fabbrica dei sogni.

“Se ti sei mai chiesto da dove arrivano i tuoi sogni quando vai a dormire la sera, guardati attorno. È qui che vengono creati.” Dice un giovane Méliès ad un bambino, futuro storico del cinema. Le parole del regista potrebbero valere per il romanzo.

Letteratura e cinema e gli splendidi disegni di Selznick

Ma non finisce qui, possiamo aggiungere un altro “specchio”, l’occhio della cinepresa che ha filmato la messa in scena di questo meccanismo meraviglioso e sorprendente: la cinepresa del 3D dietro cui si è seduto, nientemeno, Martin Scorsese per aggiungere un altro capitolo a questa storia meta letteraria e meta cinematografica. Un capitolo che di per sé ha un valore altissimo, premiato dai cinque Oscar “tecnici”, vinti lo scorso 26 febbraio su dieci candidature, tra cui quelle a miglior regista e miglior film (vedi il trailer) .

Ma il premio migliore è quello che gli consegna il pubblico perché non si può rimanere indifferenti a questa pellicola. E’ una meraviglia per gli occhi, a partire dalla sequenza iniziale, con il lungo travelling in avanti che dalla panoramica di Parigi, vista dall’alto, scende e cammina fino alle viscere della stazione di Montparnasse e all’orologio dietro cui si nasconde Hugo. Un 3D movimentato e ricco, grazie alle scenografie come sempre impeccabili e dettagliate del duo Ferretti – Lo Schiavo: al terzo Oscar, dedicato all’Italia, il paese dove paradossalmente le loro abilità vengono meno sfruttate.

Questo film, fatto da un cinefilo raffinato come Scorsese, a partire da un libro cinefilo per definizione, ha un cuore pulsante simile a quello delle tante macchine che appaiono sullo schermo (orologi, treni, persino il supporto per la gamba del cattivo di turno). È ricco di riferimenti alla storia del cinema, da quelli più scoperti ai fratelli Lumière e, ovviamente, a Méliès, ai rimandi destinati agli spettatori più accorti: impossibile, con tutti quegli ingranaggi in movimento ed il quadrante dell’orologio che ricorre ossessivamente, non pensare alla sequenza iniziale di Metropolis di Fritz Lang.

La straordinaria invenzione di Hugo Cabret. Cronache Letterarie

Un adattamento perfetto

Ed è ricco nei sentimenti, nel modo di dipingere i personaggi ed i loro rapporti interpersonali, con un tocco nostalgico e sognante che rispecchia alla perfezione il testo di Selznick. Un adattamento perfetto di un materiale già di per sé pulsante e multiforme, realizzato impiegando la tecnica più avanzata per inscenare un nuovo modo di narrare. La materia di cui sono fatti i sogni racconta sé stessa senza mostrare i propri trucchi, proprio come fa Hugo nel finale. Dunque entrate in sala, sedetevi in poltrona ed iniziate a sfogliare i fotogrammi di questo splendido libro, mentre nella sala buia cadranno magicamente bianchi fiocchi di neve, fin sopra al vostro naso.

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Marzia Flamini

Marzia Flamini

Prima di approdare alla Finarte, sono stata assistente in una galleria d'arte a Via Margutta, guida turistica e stageur fra musei, case d’asta e la rivista ArteeCritica. Vivo circondata dai libri, vado al cinema più spesso di quanto sia consigliabile e viaggio appena posso.

4 commenti

  1. bell’articolo!
    fa venir voglia di leggere il libro anche a una persona, come me, che non ama il genere; ma, se non sbaglio, qui non si tratta di un testo che appartiene a un genere letterario già esistente e cristallizzato bensì piuttosto di inizio di un genere letterario pressocchè originale e nuovo : il linguaggio del disegno comunica alla pari ed insieme col linguaggio della parola!
    a quando i lavori, scritti e/o disegnati, di marzia invece?

    • Nel libro l’alternanza tra disegno e testi è in effetti qualcosa di veramente originale: non si sovrappongono mai, ma al contrario si esaltano a vicenda, perfettamente complementari…Merita decisamente una lettura!
      Quanto ai miei lavori…Chissà!

  2. Interessante come l’articolo mostri l’articolazione dei diversi livelli di accesso al libro e al film nonchè i richiami filmografici che evidenziano come canali espressivi diversi possano convivere e convergere verso uno stesso articolato livello semantico. Bel commento !!

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