Ci sono sensazioni a cui non riusciamo a dare un nome. Come quel filo che ci lega a chi non c’è più, come una domanda che ci frulla continuamente per la testa e ci fa dubitare di ciò che abbiamo sempre considerato normale.
«È stato così che io Tamar ho cominciato ad andare fuorimondo, lontano da tutte le cose che conoscevo, madre, padre, alberi, sedie, casa, sole. Io non volevo diventare estranea ma succedeva, malgrado me, il brivido decideva secondo i suoi capricci. D’un tratto, tutto quello che conoscevo erano e non erano più le stesse cose, le stesse persone, gli stessi madre e padre, alberi sedie casa e sole. Tutto assumeva un’ombra più scura e inquietante, la luce era più forte, i contrasti esaltati a tal punto che m’infastidivano.
Sul confine tra il concreto e l’astratto si svolge la vita di Tamar, giovane ragazza albanese. Tamar è nata per stare a guardare, per essere spettatrice in disparte della vita altrui. Nelle sue lunghe giornate a casa della vicina Maria, osserva il giovane Dolfi seduto su un divano, scorrere le immagini di una televisione muta; assiste al delinearsi del terreno davanti la porta di Maria, linea solcata dai piedi di tutte le giovani che ogni giorno si recano in un pellegrinaggio d’amore verso la sua casa, per spiare, anche solo per un attimo, il profilo dei suoi bei figli. Come Manuela con i sandali verdi e gli occhi malinconici.
Tamar poi, non riesce a distogliere lo sguardo dalla adorata madre Esmé che non cela il dolore per la morte del figlioletto Rafi, rapito dal mare, e non è più in grado di amare chi è vivo intorno a lei e le chiede affetto.
In un girovagare calmo e silenzioso, Tamar si lascia spingere al di fuori della realtà, in quel fuorimondo dove forse ci sono le risposte. Le risposte alla silenziosa morte di Rafael tra le onde o a quella di Manuela, la più innamorata di tutte le innamorate, suicida per amore e per dispetto nei confronti di quell’amato Dolfi che non la voleva amare. Monito dell’amore che può trasformarsi in pazzia, i suoi sandali verdi apparterranno sempre a Tamar.
La voce che ci guida è quella interiore di Tamar. Ogni vocabolo è scelto con cura, e l’ortografia a volte incorretta, è come quella di un lungo monologo interiore. Tra una punteggiatura imprecisa, quasi zoppicante, sono incastonati gli eventi buii della vita di Tamar, i ricordi tristi, pesanti come macigni sono accompagnati da quel senso di non appartenenza che la porta a sentirsi altro.
Altro da Rafael che le chiedeva sempre di fare attenzione a “non calpestare la sua ombra”, altro dall’essere la figlia perfetta che Esmé possa amare almeno quanto quel fratello morto troppo giovane. Altro dalla zia Lali-dai-polsi-rotti, che riesce sempre ad incantare tutti e che nel suo armadio colleziona cuori.
Ornela Vorpsi, l’autrice di Fuorimondo, nasce a Tirana, in Albania. Fotografa e pittrice, sa esprimersi in molte lingue, ma per la scrittura predilige l’italiano. Laureata in Belle Arti, dipinge in lettere una vita sospesa e il ritratto di un popolo – quell’ ”autobiografia dell’Albania” di cui parla già nel suo primo romanzo Il paese dove non si muore mai.
INTERESSANTE IL RACCONTO DI ORNELA VORPSI -FUORI MODO-.
MI HA INTRIGATO APPENA LETTE LE PRIME RIGHE.
BRAVA!