Il lato positivo

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Il lato positivo, dal romanzo al film

Se si dovesse trovare Il lato positivo di questo film, probabilmente sarebbe il suo tono spigliato ed il ritmo agile e bilanciato da commedia agrodolce. Poi un cast brillante e ben affiatato, sapientemente diretto da un regista come David O.Russell, abituato a valorizzare i propri attori, certo aiuta. Ma non bastano le pur notevoli interpretazioni di Bradley Cooper e Robert De Niro, entrambi candidati all’Oscar. Né basta l’Oscar di Jennifer Lawrence come Miglior attrice protagonista, a sollevare il film dal livello di gradevole intrattenimento. Specialmente se si ha avuto “la sfortuna” di leggere il romanzo da cui è tratto, prima di andare al cinema.  

Il lato positivo è infatti una trasposizione molto libera dall’omonimo romanzo di Matthew Quick, il cui titolo italiano è una versione infedele dell’intraducibile originale Silver Linings Playbook, letteralmente il “libro dei bordi argentei”, sottinteso delle nuvole. Questo perché anche una nuvola nera, di notte tira fuori il suo bordo d’argento, come recita una poesia di Milton e come crede Pat, il protagonista, per cui questa è l’immagine dell’ottimismo con cui bisogna affrontare il mondo: sapendone notare il lato positivo, per l’appunto. Anche e soprattutto quando sembra più difficile, perché tutto va in malora.

“Was I deceiv’d, or did a sable cloud
Turn forth her silver lining on the night?”

Pat Peoples (Pat Solitano nel film) è separato dalla moglie, la Nikki di cui vagheggia costantemente, ed è appena uscito da una clinica psichiatrica. Ha avuto un tracollo, la cui ragione è il mistero che tiene il lettore incollato al libro e viene invece rivelato subito nel film e il motivo di questa scelta, sì che è un mistero. Pat dunque “ha svalvolato” e il risultato è stato la separazione da Nikki, un’ingiunzione del tribunale, il licenziamento e un periodo indefinito in clinica. Lui ha reagito rimettendosi in forma fisica e sopravvivendo come ha potuto al pessimismo imperante nella clinica psichiatrica.

Dalla clinica psichiatrica al vecchio quartiere

Uscito sotto la responsabilità della madre, Pat inizia il suo difficile reinserimento nel vecchio quartiere, vivendo in casa con i genitori. Il rapporto col padre, tanto per cominciare, non è affatto banale. Passa, come quello con il fratello e il suo migliore amico, attraverso il tifo per la squadra di football. Quella per gli Eagles è una fede fatta di scaramanzie e collegialità, che coinvolge persino lo psicanalista indiano che lo ha in cura, e che riunisce una vera e propria comunità attorno al protagonista.
Tutti attorno a lui sono affettuosi e preoccupati, ma lo trattano come se fosse una bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro. Pat segue la sua disciplina, corre, continua a tenersi in forma e cerca di migliorarsi per diventare degno della sua Nikki. Anche se tutti gli dicono di dimenticarla… e talvolta lui perde il controllo.

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Dove conosce Pat, anche lei “svalvolata”

Tornato a casa, Pat conosce finalmente qualcuno che può capirlo, qualcuno come lui. Tiffany è la cognata del suo migliore amico e da quando il marito è morto, investito da un’auto mentre aiutava un automobilista che aveva bucato, qualcosa in lei si è rotto. Anche lei ha un suo progetto che la tiene lontana dalle proprie devianze: è la danza. Ben presto, nel loro modo sbilenco e traballante, i due diventano amici. E dopo averlo studiato per un po’, Tiffany propone a Pat un accordo. Lei consegnerà a Nikki una sua lettera, in cambio lui parteciperà ad una gara di ballo.

La collaborazione non è semplice e mette a dura prova le ritrovate relazioni di Pat con la famiglia, ma la lettera a Nikki gli fornisce tutta la motivazione di cui ha bisogno e l’affiatamento con Tiffany migliora. Il lieto fine che Pat insegue e pretende come inevitabile appare a portata di mano, ma lo attendono sorprese e rivelazioni che cambieranno la sua visione del mondo. Senza rivelare il finale, bisogna notare quanto sia differente tra film e romanzo, e decisamente a danno del primo.

Differenze fra romanzo e film

David Russell
David Russell

Il romanzo adotta infatti un approccio diretto, facendo parlare Pat in prima persona e scegliendo un punto di vista interno, naturalmente coinvolgente. Ciò porta il lettore a domandarsi quanto di quello che legge sia reale e quanto soggettivo e ingannevole. Quick si sofferma soprattutto sul percorso di reinserimento di Pat e sulla sua lotta interiore per riprendere il controllo su di sé e sulla propria vita, guidato dalla sua incrollabile fede nel lieto fine.

Il film di Russell (vedi il trailer) punta invece tutto sul rapporto tra Pat e suo padre, sull’attrazione fra Pat e Tiffany e sul concetto di “normalità”. Calcando la mano sulle nevrosi della famiglia e degli amici di Pat, Russell pare voler dimostrare come i presunti matti siano “normali” quanto i sani, e viceversa. Nell’inseguire questa tesi, Russell realizza un ritratto sociale di una famiglia sul sottile crinale tra patologia e normalità, quasi a creare un ideale doppio, stavolta in forma di commedia, del suo splendido The Fighter.

Un’atipica favola romantica

Anche lì gli Oscar lo avevano premiato, e a ragione. Le performance di Christian Bale e di Melissa Leo si erano più che meritate i premi come Miglior attore non protagonista e Miglior attrice non protagonista. Tanto era ben riuscito The Fighter, e se lo avete perso vi consiglio vivamente di recuperarlo, tanto ne Il lato positivo il potenziale sembra sfuggire dalle mani del regista e sceneggiatore a favore di una atipica favola romantica.

Qui, infatti, l’ironia intelligente e delicata di Quick purtroppo viene spesso banalizzata. La descrizione della funzionale psicosi del protagonista viene semplificata al grado di una simpatica stranezza. E viene narrata in maniera lineare, anziché tortuosa come i suoi percorsi mentali. Così viene tramutato in gradevole commedia indipendente un romanzo che, pur con qualche peccato di facilità destinata ad accattivarsi il lettore, vi tiene incollati dalla prima all’ultima pagina. E se i talenti in campo fossero stati di minor caratura, si sarebbe tentati di definire l’esperimento fallito. Per fortuna guardiamo al lato positivo.

Marzia Flamini

Marzia Flamini

Prima di approdare alla Finarte, sono stata assistente in una galleria d'arte a Via Margutta, guida turistica e stageur fra musei, case d’asta e la rivista ArteeCritica. Vivo circondata dai libri, vado al cinema più spesso di quanto sia consigliabile e viaggio appena posso.

6 commenti

  1. Stavolta Marzia non sono d’accordo e ho l’impressione che il tuo giudizio sia stato molto condizionato dal fatto di aver letto prima il libro e quindi la tua aspettativa sia stata tradita perché non vi hai trovato quello che cercavi e che era saliente nel romanzo. Non avendo questo tipo di aspettativa, ti assicuro che il film è stato molto godibile: una commedia tutt’altro che superficiale. Tra l’altro ha avuto un buon passa parola e nella sala in cui l’ho visto, a Testaccio, alla fine la gente ne era entusiasta.
    “Il lato positivo” mi ha fatto ridere. Tra quei due non si sa chi è più pazzo, se la vedova ninfomane, o lui con la sindrome bipolare che in piena notte sveglia tutta la famiglia perché non sopporta come Hemingway abbia fatto finire “Addio alle Armi”. In particolare mi ha colpito la fissazione del protagonista per la moglie Nikki: ogni suo sforzo è volto a ritrovarla, come se fosse l’unica donna sulla faccia della terra. A questo gli serve vedere positivo: a credere che potrà riconquistarla. Mi colpisce perché penso che tutti abbiamo sperimentato un’ostinata fissazione per qualcuno irraggiungibile e idealizzato. E’ un aspetto molto adolescenziale, ma universale.
    Che i due protagonisti siano circondati da pazzi è interessante perché spesso è proprio così che funziona. In ambito famigliare, o più allargato, solo alcuni che portano il peso della sofferenza e della pazzia dell’intero gruppo. E’ come se loro due fossero dei pazzi emarginati perché non hanno ancora imparato a gestire la propria follia, mentre gli altri – il padre di Pat ad esempio – sono pazzi incalliti e integrati.
    Un appunto alla Lawrence: un’attrice tanto brava, giovane (no dico, ha 23 anni!) e bella che motivo ha di rifarsi e gonfiarsi le labbra?
    Infine mi piace l’ottimismo di questo film perché vedere il lato positivo, l’orlo d’argento della nuvola nera, è indispensabile se non si vuole soccombere.

  2. A me il film ha lasciato una bella sensazione. E non capitava da tanto. Inoltre, come nelle storie raccontate nel film, trovo che sia veramente labile il confine tra normalità e follia. Loro, i protagonisti del film (non ho letto il romanzo), in quanto a follia ne hanno da vendere, ma in fondo, ciò che vogliono, ciò che cercano (banalizzando il concetto), è un amore “normale”!

    Giovanna

  3. La cosa migliore del film è senz’altro aver saputo trasmettere la positività convinta del protagonista, dove si sfuma il confine tra “normalità” (ma cos’è poi, normale? Eterna domanda senza risposta) e malattia mentale.
    Quello che proprio non riesco a mandare giù è il modo didascalico in cui lo fa. Personalmente penso che al cinema si sia visto mille altre volte, e trattato cento volte meglio, il teorema di “pazzo fra i pazzi=vera normalità”. Come esempio, l’intera filmografia di Tim Burton, tanto per dirne uno.
    Come nota di merito de “Il lato positivo” c’è però senz’altro la simpatia del cast e, come ho scritto, il ritmo agile e spigliato. E’ sottinteso che si parla sempre di un buon prodotto, gli americani sono maestri in questo e viva la faccia!
    Quanto al rapporto con il libro, sicuramente è sempre meglio vedere prima il film e poi dedicarsi alla lettura, ma dato che non sono una sostenitrice delle trasposizioni fedeli alla lettera, semmai allo spirito, non so quanto abbia influito sul mio giudizio. Diciamo che mi aspettavo di più anche e soprattutto proprio per via del passaparola, e delle candidature…

  4. Condivido in buona parte il commento di Marzia, senza eccessiva critica (anche se non ho letto il libro); forse le candidatire a tanti Oscar creano una aspettativa che siamo abituati a legare a film meno “leggeri”. Resta una godibilissima opera e coinvolgenti singole prove degli interpreti (soprattutto la Lawrence).

  5. Condivido la recensione, nella valutazione dei protagonisti e nella forse semplicistica linearità del racconto filmico. Ma non credo che Russell avesse altra scelta, a meno di fare un film tutto cerebrale, data la difficile traducibilità in film della ( secondo me, troppo) introspettiva narrazione operata dal libro.

  6. Un film che va visto anche solo e soltanto per contemplare la bellezza giunonica e la duttile bravura della Lawrence. Commento machista a parte, sono pienamente d’accordo con Marzia. Il film si meriterebbe lo stesso commento affettato e stirato del critico che in un famoso film di Pieraccioni celebra svogliatamente le qualità dell’ultimo libro scritto dal personaggio interpretato dal comico toscano: “simpatico, pastello, oserei dire spumeggiante”. In definitiva, non si va oltre il buon cinema d’intrattenimento. 😉

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