Il giardino delle bestie di Erik Larson

Paola Lo Sciuto. Foto di Tiziana Zita

Il Großen Tiergarten è uno dei luoghi più caratteristici di Berlino. Ancora oggi i suoi ordinati viali tagliano ortogonalmente il fitto bosco che costituisce il nucleo del parco più esteso della capitale. Il suo nome in tedesco significa letteralmente “Giardino delle Bestie”, un ricordo dei tempi in cui costituiva la riserva di caccia dei sovrani. Ed è proprio questo parco, con il suo nome che unisce ordine della civiltà e caos selvatico della natura, a dare il titolo ad una delle narrazioni storiche più interessanti degli ultimi anni. Con l’accompagnamento di un sottotitolo tanto essenziale quanto perfetto per avvertire il lettore: Berlino 1934.
Sì, cari lettori, siete avvertiti: dietro il fascino di questi viali e lo splendore della vicina Porta di Brandeburgo si annida l’appassionante rappresentazione della progressiva discesa verso l’abisso di un’intera nazione.

Un racconto che l’autore Erik Larson riesce a rendere inaspettatamente intimo e coinvolgente grazie al punto di vista adottato. Lontano dall’accademismo e dall’elenco di nomi ed eventi famosi, Il giardino delle bestie vede muoversi a Berlino, tra 1933 e 1934, un padre e una figlia. Non due persone qualsiasi, certo. Eppure due individui sorprendentemente normali, semplici e profondamente umani: l’ambasciatore americano William E. Dodd e sua figlia Martha.

Il giardino delle bestie. Cronache LetterarieIl biennio 1933-1934 sancì il consolidamento del potere di Hitler che da Cancelliere divenne Fürher (leggi anche qui). Ma fu anche un periodo turbolento, di assestamento, durante il quale il modo in cui il nazismo si presentava all’estero era di enorme importanza per la stabilità del regime. All’interno delle gerarchie naziste aleggiava un clima di tutti contro tutti, del resto tipico di ogni tirannia.

Le SA, i membri dell’organizzazione paramilitare di partito che di fatto aveva portato Hitler al potere, spadroneggiavano. Ma a dispetto dell’amicizia tra il loro capo Ernst Röhm ed Hitler, le SA erano malviste tanto dalle SS, nate come guardia del corpo del Fürher, quanto dalla Gestapo, la polizia segreta di stato. Quanto ad Hitler e ai nazisti in genere, non erano apprezzati dall’esercito tedesco, né dai politici di professione che li guardavano per lo più con sospetto e cautela. E la Germania doveva ancora risarcire gli Stati Uniti dell’enorme debito di guerra impostole dal Trattato di Versailles alla fine della Prima Guerra Mondiale.

L’ambasciatore americano a Berlino

Per tutte queste ragioni il ruolo dell’ambasciatore statunitense a Berlino era delicato ed essenziale e doveva essere ricoperto da una figura di spicco, dotata di grande carisma e polso fermo. Il presidente Roosevelt tentennò diversi mesi e alla fine optò per un oscuro professore di storia dell’università di Chicago.

Dodd aveva sessantaquattro anni, era un fervente assertore dei più puri ideali democratici, incarnati da Jefferson e amava smodatamente la sua rustica casa di campagna. Sua figlia Martha era una giovane donna appassionata, piena di vitalità e di leggerezza, con una lunga lista di spasimanti e amanti, destinata ad allungarsi sempre di più e il non troppo segreto desiderio di dedicarsi alla scrittura. Il loro arrivo a Berlino fece alzare più di un sopracciglio all’interno dell’ambasciata: Dodd mirava a contenere le spese e ad ergersi a vessillo dei principi americani, Martha si tuffò subito nella bella vita berlinese.

All’epoca Berlino era bella, ricca e in piena fascinazione per il nazismo, fascinazione che Martha finì col condividere. Sembrava che la Germania dovesse rinascere, esaltata dalla gioventù ariana e dalla ripresa economica. Ma gli stessi affascinanti soldati con cui Martha ballava fino a tarda notte coprivano i pestaggi e le brutalità delle SA verso i suoi compatrioti. E l’industria tedesca si convertiva al militare, preparandosi alla guerra di conquista già bramata da Hitler.

Fino alla Notte dei lunghi coltelli

Grosser Tiergarten. Il giardino delle bestieCon più lungimiranza Dodd vide subito l’ipocrisia e la violenza sottese al regime nazista, l’erosione delle libertà per lui sacre, eppure il suo margine d’azione era estremamente ridotto. Malvisto in patria perché non apparteneva all’aristocrazia diplomatica, non gli si chiedeva altro che di riscuotere il debito degli Stati Uniti dalla riluttante Germania. Eppure pian piano divenne una figura importante, capace di pronunciare discorsi allusivi e sferzanti, o di boicottare le parate naziste.

Larson segue questi due personaggi storici dal loro arrivo a Berlino fino al punto di non ritorno della Notte dei lunghi coltelli, la tremenda purga operata da Hitler per disfarsi dei personaggi sgraditi. Ma quel che conta davvero è il resoconto della loro vita berlinese, delle loro amicizie e conoscenze più o meno illustri, della fascinazione e dell’amara disillusione.

L’atmosfera sospesa della Berlino dell’epoca

Larson è veramente abile nel rendere l’atmosfera sospesa della Berlino dell’epoca: il mostro in agguato dietro l’angolo, la tensione crescente, il soffocante senso di pericolo e accerchiamento. Politica, diplomazia e quotidiano, mese dopo mese si intrecciano sempre più strettamente: Dodd e la sua forse ingenua purezza, Martha con il suo amante dell’ambasciata russa, la Germania sempre più preda volontaria del nazismo.

Il giardino delle bestie.
Erik Larson

Si ritrova in queste pagine la rievocazione delle luci e delle ombre della Berlino di allora.

C’è del grottesco oltre alla paura e anche della genuina ironia. Larson riporta barzellette e taglienti motti di spirito in voga al tempo, espressioni di quel Berliner Schnauze, o grugno berlinese, che è paradossalmente debitore dello jüdischer witz ebraico di cui scrisse anche Freud. Così, mentre la purga nazista travolgeva tutto, i berlinesi che s’incrociavano per strada si domandavano a vicenda: “Sei ancora tra i vivi?”.

Quando si chiude Il giardino delle bestie si prova un grande senso d’impotenza al pensiero di quanto le nazioni si siano lasciate ingannare da Hitler, scegliendo di aspettare fino a quando non è stato troppo tardi. Ma si ripensa anche con affetto a chi è passato attraverso quegli anni, mantenendo gli occhi bene aperti e la testa alta, a Dodd e ai suoi infruttuosi tentativi di smuovere l’amministrazione americana e a Martha che cercava ostinatamente la felicità. E poiché non si può cambiare il passato, non resta che tenere noi stessi gli occhi bene aperti e ringraziare Erik Larson per aver riscoperto e piacevolmente narrato questo angolo di storia dimenticato e importante.

Marzia Flamini

Marzia Flamini

Prima di approdare alla Finarte, sono stata assistente in una galleria d'arte a Via Margutta, guida turistica e stageur fra musei, case d’asta e la rivista ArteeCritica. Vivo circondata dai libri, vado al cinema più spesso di quanto sia consigliabile e viaggio appena posso.

5 commenti

  1. Mi incuriosisce quanto proposto in questa recensione di questo libro ,in particolare la prospettiva con cui un Americano Democratico di quei tempi poteva osservare dall’interno della società tedesca la mostruosità del Nazismo che stava nascendo e soprattutto chissà cosa avrà o non avrà fatto ?

  2. La tua recensione mi da’ voglia di rileggerlo. Ho due connessioni personali con questo libro, una grande e una piccola. La grande e’ che la Berlino descritta e’ esattamente quella che mia madre dovette abbandonare nel 1933, per sfuggire ai Nazisti. Una citta’ che, tramite lei, ho vissuto di riflesso per tutta la vita, con le sue vitalita’ e bellezze e con i suoi abissi di miseria e depravazione. La connessione piccola e’ che alla fine degli anni sessanta ho conosciuto lo scienziato Max Delbrück che, lessi con sorpresa, da giovane era stato uno degli amanti di Martha Dodds! Delbrück era originariamente un fisico tedesco che, pur non essendo ebreo, abbandono’ la Germania nel 1937 e si trasferi’ negli Stati Uniti, traslocando anche intellettualmente dalla fisica alla biologia. I suoi contributi gli guadagnarono un Nobel che condivise con due alri scienziati. In qualche modo, il suo antinazismo lo connesse con amici di mia madre, scienziati in Israele. In base a questa connessione, potei brevemente visitarlo a Siviglia, dove si trovava in vacanza, e speravo che mi potesse dare qualche consiglio utile su come andare a studiare in America. Mi disse che dovevo fare la trafila normale di applicazione, grazie mille, che poi feci. Ed eccomi qui. Mentre io parlavo con lui, mamma e la moglie di Delbrück si fecero una passeggiata per Siviglia. Piu’ di quaranta anni dopo, lessi nelle note del libro che Max rimase in contatto epistolare con Martha per molti anni dopo la guerra.

  3. Gli anni di cui parla Larson sono in qualche strano modo a noi molto vicini e insieme lontani.
    Io li ho vissuti e immaginati solo attraverso i racconti di chi c’era (e che, per ovvie ragioni anagrafiche, era all’epoca molto giovane), oltre a film e foto d’epoca, e forse anche per questo ho trovato semplicemente affascinanti le descrizioni di Larson, per il modo in cui combaciavano con i “ricordi degli altri”.
    Credo sia sempre emozionante ritrovare, direttamente o indirettamente, frammenti della propria esistenza sulle pagine di un libro. Perciò grazie per aver condiviso il tuo incontro speciale, Daniele, e per aver accorciato i nostri sei gradi di separazione dai protagonisti de “Il Giardino delle bestie”!!

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