In genere la protagonista di un romanzo anche se povera e sfortunata è buona, oltre che bella, e si contrappone ad un’antagonista ricca, potente e malvagia. Invece L’amica geniale di Elena Ferrante è povera, geniale e cattiva. Eppure tutti l’adorano, tutti pendono dalle sue labbra, tutti la seguono e ne sono incantati, a cominciare dalla sua amica del cuore, per finire con tutti i ragazzi del poverissimo quartiere di Napoli in cui vivono.
La Ferrante ha usato uno pseudonimo per scrivere i suoi romanzi, fatto che sta alimentando oltremodo la sua fama. Si favoleggia che lei sia un uomo, si ipotizza che sia questo o quello scrittore, e mentre gli interpellati negano, lei rilascia interviste e dialoga proficuamente con i media, tanto che l’autorevole rivista americana Foreign Policy la dichiara, insieme a Renzi, il pensatore italiano più influente del 2014 e la mette tra le cento menti più autorevoli del mondo.
I libri della serie de L’amica geniale, pubblicati da E/O e tradotti in inglese, stanno avendo un grande successo negli Stati Uniti, così come in Italia. La serie è al primo posto nel passaparola e da Feltrinelli, durante le feste, al posto della quadrilogia c’era un buco perché li avevano comprati tutti.
Certo all’inizio il fatto di non apparire, di nascondersi, non le avrà giovato e probabilmente avrà rallentato la sua notorietà, ma da un certo punto in poi la tendenza si è invertita e oggi il fatto che la scrittrice da oltre vent’anni non appaia in pubblico e celi la sua vera identità, si sta rivelando una straordinaria trovata pubblicitaria che aumenta l’interesse nei suoi confronti. A questo si aggiunga che scrive, e bene, romanzi che si divorano.
Il mistero che si è creato sulla sua identità sviluppa una curiosità morbosa che spinge a leggere i suoi libri. Che sia un uomo io non ci credo. Be’ non posso saperlo per certo, ma da quello che leggo mi pare una donna. Ha una sensibilità femminile. D’accordo anche molti uomini ce l’hanno, ma a me sembra una donna. I suoi anni poi stanno scritti tutti nei suoi libri. Basta leggerli per sapere che appartiene alla generazione del primo dopoguerra.
Cosa dicono di lei i detrattori? Che ha successo perché i suoi romanzi seriali sono una soap opera. In effetti già l’elenco iniziale dei numerosi personaggi, divisi per famiglie, ricalca la struttura della soap. Il critico della Stampa scrive che “la grande assente della letteratura italiana” “assomiglia a un software che produce una algida serie tv”. Tra l’altro la quadrilogia de L’amica geniale diventerà presto una serie tv per davvero: una produzione Rai Fiction/Fandango, con Francesco Piccolo alla guida del team di scrittura.
Se penso alle due protagoniste mi viene in mente quello che scrive Jung in Tipi psicologici a proposito di Tertulliano e Origene, due Padri della Chiesa vissuti alla fine del secondo secolo. A 35 anni, Tertulliano divenne cristiano. Secondo Jung, era un pensatore introverso che la conversione al Cristianesimo portò al sacrificio dell’intelletto: per lui la parte più importante dell’uomo. Rinunciò al suo acuto ingegno, condannò ogni forma di conoscenza per accettare l’irrazionalità della realtà interiore che era il fondamento della sua fede.
Invece Origene fu spinto ad approfondire e assimilare tutte le correnti filosofiche che confluivano ad Alessandria, la città in cui viveva. Forte personalità, grande oratore, aveva un gran numero di allievi e fece numerosi viaggi. La sua dottrina era vastissima e abbracciava ogni campo del sapere. E’ stato considerato uno dei più grandi eruditi che la Chiesa abbia mai avuto. Secondo Jung, Origene era un estroverso che prediligeva il rapporto con la realtà, rappresentato dalla sessualità. Mentre Tertulliano attuò il sacrificio dell’intelletto che per lui era il legame più forte col mondo, Origene attuò il sacrificio del fallo e si auto-evirò. Insomma ognuno dei due sacrificò alla fede quello che aveva di più prezioso e che considerava un ostacolo alla propria spiritualità. Così l’intellettuale Tertulliano divenne un sentimentale, mentre il sensuale Origene, divenne un erudito intellettualista.
Che c’entra con L’amica geniale? C’entra perché tra le due amiche si è prodotta un’inversione del genere (che ne dice Elena Ferrante?), ma non posso andare oltre, anche per non rovinare a nessuno il piacere di leggerlo.
Di Lila, la ragazzina con una determinazione assoluta che strizza gli occhi mentre riflette, che non ha paura di niente e che ha la capacità di rendere interessante tutto quello che sfiora, ci siamo innamorati anche noi lettori, perciò non vedo l’ora di passare al secondo volume. Poi vi saprò dire.
Cara Tiziana,
io ho appena attaccato ” Storia della bambina perduta”, ovvero il quarto e ultimo della serie. Come sai, non seguo e non amo le serie tv, e cosi’ faro’ per quelle tratte dalla Ferrante. Di cui, spocchiosa come sono in fatto di gusti letterari, ho adorato soprattutto il linguaggio, e la profondita’ del linguaggio. Credo anch’io che la Ferrante sia una donna,
ma potrebbe essere anche un’equipe di donne. Non e’ comunque questo che m’interessa, e che mi appassiona. E’ invece il confronto di una vita intera tra le due protagoniste, le oscillazioni dei sentimenti, le pulsioni di amore-odio, e la veridicita’ di tutto questo, che mi prende, che fa si’ che trascuri altre letture. Era tempo che uno scrittore ( italiano, per giunta!) non mi colpisse cosi’. Poi, certo, c’e’ la miseria del dopoguerra; il delinearsi del boom economico e il crescere in pari misura del malaffare; il ’68 e la terribile deriva della lotta armata; i collettivi femministi e i rivolgimenti sociali…Ma sono solo scorci, paesaggi e passaggi distratti. Il fuoco del libro e’ Lila, che tutto brucia in un’ansia di vita e di morte tale da far impallidire ogni altro personaggio. Perfino la sua amica d’infanzia: quell’io narrante destinato a inseguirla per sempre.
Neanch’io Silvia,
sono ansiosa di vedere la serie tv, soprattutto una made in Italy, paese in cui il livello in questo campo è decisamente scarso 😉
C’è qualcosa che ti cattura nella serie di romanzi (io sono solo al primo) e penso che al di là della scrittura e dell’ambientazione ( che non è molto napoletana perché potremmo trovarci in una qualsiasi periferia povera) sia questo bel personaggio di Lila, mentre come dici, l’io narrante la insegue senza mai raggiungerla…
Scrivo due righe. Per ringraziare Tiziana Zita che non conosco di persona, ma di “penna”. Una penna lieve, capace di dipanare argomentazioni, storie, atmosfere; di rarefare e suggerire e di tenerti appeso fino alla fine del pezzo. Abilmente, doviziosamente, sinceramente. La sua prosa ti trasporta in un mondo spesso inconosciuto che ella riesce a rendere vivo, guizzante, vero. Sempre. Mi capita di leggere le varie recensioni e narrazioni e di capire sin dalla prima riga se il pezzo in oggetto sia suo o no. “No, questo no, non è suo. Non è di Tiziana Zita”, mi dico. Riconosco il suo passo elegante di cavallo di razza, sin dall’incipit, e assaporo il piacere di lasciarmi trasportare dal suo racconto brioso. Le recensioni di Tiziana Zita sono sempre occasione di racconto articolato e lieve, ripeto, eppure ricco di rimandi, dettagli, suggestioni. E’ sempre una piccola avventura la lettura della sua ultima recensione, un breve e intenso viaggio che non delude mai. Grazie dunque, cara Tiziana. Già, non ti conosco ma mi sei cara, poiché attingo con rapace costanza a questo interessantissimo blog. Mi sembrava giusto, dunque, quantomeno ringraziare per quanto gratuitamente ricevo.
Cara Antonella, mi ha fatto commuovere…