In Vietnam non si leggono molti libri, e a volte quando vengono letti si sorvola su particolari così marginali come la trama e i contenuti. L’inconscia semplicità di una ispirazione estetica ben applicata a un testo vale più di una qualunque logica narrativa con le sue complicazioni.
«Di cosa parla il libro che stai leggendo?»
«Non lo so, non ne ho idea. È semplicemente bellissimo!»
Il lettore orientale, in generale, non pretende troppo fervore o troppa verità da ciò che legge, perché sa bene che la verità non è citabile con la parola scritta, e nemmeno gli interessa la descrizione fedele delle cose come appaiono, perché è ben cosciente della loro natura soggettiva e sa che raramente la realtà è quella che sembra.
Questo insolito lettore cerca l’espressione dell’intima naturalezza e spontaneità delle cose, si fa trascinare dai riverberi che, tra le righe, delineano il profilo del testo che sta leggendo.
Per noi occidentali la lettura è un fondamentale esercizio di meditazione. Gli orientali hanno meno aspettative e confidano più nelle persone, nel relazionarsi con le cose. Di solito non sentono il bisogno di palliativi leggendo: c’è già tutto nella vita, purché la si contempli con attenzione, e il leggere può distrarre da questo compito.
Se fosse vera l’intuizione di Achille Campanile, quando dice che i lettori sono personaggi immaginari creati dalla fantasia degli scrittori, qui in Vietnam ci sarebbe un gran vuoto… e invece gli spazi sono pieni. Pieni di personaggi non in cerca d’autore, pieni di lettori intenti a sfogliare con cautela le pagine sfumate della quotidianità.
Forse la forma stessa, socchiusa, degli occhi a mandorla, è dovuta a un adattamento biologico allo sforzo di scrutare la vita attraverso una prospettiva discreta e intuitiva. Un arricciare le palpebre per filtrare la cruda luce della realtà, per non doverla guardare pienamente in faccia e osservarla di taglio, così da vedere l’insieme delle sue tonalità.
Sta di fatto che l’approccio alla letteratura in Vietnam è più evanescente rispetto alle nostre abitudini occidentali, quindi diventa poco credibile disquisire su cosa si legge in questo Paese senza avere il sospetto di trattare un tema socialmente marginale.
Potremmo parlare delle quasi inesistenti e poco considerate classifiche dei libri più venduti, oppure trattare i temi dell’editoria, della predilezione dei lettori vietnamiti per i romanzi sentimentali, ma saremmo qui, ancora una volta, a parlare di loro osservando noi stessi e applicando loro la nostra scala di valori, come spesso facciamo noi occidentali quando esploriamo altre culture.
Posso invece parlare di cosa leggo io, a quali liturgie intellettuali mi aggrappo per cercare di mantenere un minimo di equilibrio tra la mia identità occidentale e i vent’anni di permanenza in una realtà estremo-orientale.
Un autore di riferimento per noi emigrati in terra d’Asia è senz’altro Tiziano Terzani, che con la sua intelligenza narrativa ci ha aiutato a capire un qualcosa di questo sinuoso mondo orientale. Il suo Un indovino mi disse è ancora oggi uno dei libri che ho più amato (leggi qui la nostra recensione).
Un testo che ritengo molto interessante è Cigni selvatici. Tre figlie della Cina, della scrittrice esule cinese Jung Chang.
Si tratta dell’agghiacciante storia, presumibilmente vera, della famiglia dell’autrice attraverso il burrascoso Novecento in Cina (dove il libro è censurato), pieno di rivoluzioni, di guerre, di promesse e di tragedie.
Illuminante è la pubblicazione Il Tao della fisica di Fritjof Capra. Non è un libro per tutti: è complesso, per lettori “forti”. Scritto da uno dei massimi esperti di fisica e teoria dei sistemi, la sua è un’analisi della simmetria che si riscontra tra le teorie quantistiche della fisica moderna e le filosofie religiose orientali. Un empirico aiuto nella gestione di quella strana stravaganza, combinata con un onesto fatalismo, necessari per poter vivere, e sopravvivere, in Vietnam.
E quando invece non leggo, non avendo altra scelta, cerco pure io di essere semplicemente me stesso. Così mi piace fare nient’altro che respirare ed esistere, senza scopo, senza sentire il bisogno di riempire spazi vuoti allestendo liturgie ricreative, anche perché gli spazi in cui abitiamo non sono mai vuoti, ma già riempiti dal tempo a nostra disposizione.