“Vengo da un paese dove si ride ai funerali e si festeggiano i divorzi”. Giancarlo De Cataldo intervista Alain Mabanckou, scrittore congolese di gialli, autore di African Psycho.
Alain Mabanckou
Io sono nato in Congo che è un piccolo paese di quattro milioni di abitanti che parlano francese. Lì ci sono parecchi scrittori. Tutti vogliono scrivere in Congo, perciò diciamo che abbiamo quattro milioni di abitanti e quattro milioni di scrittori. Sono nato in una famiglia piccola perché sono figlio unico, cosa che è piuttosto rara in Africa, dove si crede che ci siano 32, 34 fratelli per famiglia. Sono arrivato in Francia quando avevo 22 anni per studiare diritto e diventare avvocato, o giudice, ma sono diventato scrittore. Fino ad ora ho pubblicato 11 romanzi scritti in francese, delle raccolte di poesie e dei saggi. E sono professore di letteratura all’Università della California (UCLA), a Los Angeles, da tredici anni. African Psycho e Pezzi di vetro (Verre cassé) sono i romanzi che mi hanno fatto conoscere in Francia e sono contento che siano stati tradotti in italiano.
Giancarlo De Cataldo
Il tuo libro mi ha fatto pensare a Sputerò sulle vostre tombe (J’irais cracher sur vos tombes) di Boris Vian. E’ una lettura che ti ha influenzato?
Alain Mabanckou
Sì, African Psycho è un libro in cui si sentono molto le influenze delle mie letture. Certamente c’è Boris Vian, di cui lei ha parlato, ma c’è dentro anche Delitto e castigo di Dostoevskij, c’è dentro anche American Psycho di Bret Easton Ellis. E’ vero che è una sarabanda, un libro con cui volevo divertirmi e volevo far divertire i lettori con il suo aspetto popolare e letterario. Penso di essere diventato scrittore perché amavo molto leggere, amavo molto la letteratura che abbiamo citato. Da piccolo, ogni settimana leggevo cinque libri di cinque autori diversi che venivano da cinque continenti diversi.
Giancarlo De Cataldo
Li leggeva tutti?
Alain Mabanckou
Sì, li leggevo tutti perché quando sei piccolo pensi che tutto sia possibile. E’ da quando sono diventato molto vecchio (è del 1966) che non riesco più a finire un libro. E’ per questo che mi sono dato da fare per leggere tutto quello che potevo prima dei 25 anni.
Giancarlo De Cataldo
Ci sono degli effetti comici irresistibili in questo romanzo e l’effetto comico si raggiunge attraverso un’ambientazione terribile, intessuta di massacri che grondano sangue che vengono presentati con una grandissima leggerezza e con una costante dialettica con i referenti letterari d’origine. Il lettore si divertirà a trovare questi riferimenti. Grégoire Nakobomayo progetta delitti e qualche mezzo crimine lo commette pure, ma sono veramente crimini da poveracci…
Alain Mabanckou
Perché io amo molto i personaggi maldestri, amo i perdenti, quelli che non riescono mai. Nella letteratura americana i serial killer sono troppo precisi e perfettini, fanno tutto bene; io volevo inventarmi un personaggio che non ne azzeccasse una. E’ più facile e interessante creare dell’umorismo in una situazione goffa, piuttosto che in una situazione in cui tutto va bene. Grégoire è un personaggio che mi ha insegnato molto sull’umorismo africano, sulla comicità africana, la derisione africana, l’esagerazione africana.
Mi ricordo che nella mia famiglia amavamo molto ridere perché in Congo si festeggiano i divorzi e si ride ai funerali. Bisogna sempre essere allegri nei momenti gravi. La morte per noi non è qualcosa di grave per cui bisogna essere tristi. Voi vi vestite di nero, dovete osservare il lutto, piangere. Nella mia etnia bisogna portare dei colori accesi, bisogna sorridere; se non sorridete a un funerale, il morto si rifiuterà di andare al cimitero.
Ed è per questo che Grégoire va al cimitero e parla con un grande criminale morto, perché per noi è normale parlare con i morti. Sono sicuro che anche in Italia possiate parlare con i morti, ma bisogna provare senza scoraggiarsi. I morti hanno sempre ragione e i vivi torto.
Giancarlo De Cataldo
In certe nostre culture meridionali questa forma di comunicazione non è del tutto estranea. Da dove vengo io, è vero che si piange, ma si usava pagare delle donne perché piangessero ai funerali, le famose prefiche. Più forte era il pianto e più importante era il morto. Però alla fine andavamo tutti a fare dei pranzi da schianto e finivamo sotto al tavolo più morti che vivi.
Alain Mabanckou
Noi abbiamo un’etnia nel nord del Congo che si comporta così, devono essere gli italiani del Congo. La città di Brazzaville, la nostra capitale, si chiama così per Savorgnan di Brazzà, grande esploratore italiano che è nato a Castel Gandolfo e ed è stato sepolto nel Maghreb. I cittadini di Brazzaville sono andati a recuperare la sua salma che adesso è tornata in Congo. Ma prima di riportare il suo corpo a Brazzaville, i grandi stregoni congolesi hanno fatto una riunione per chiedere a Savorgnan di Brazzà se voleva tornare in Congo. E siccome in tutta la giornata non ha fatto che piovere, gli stregoni si sono detti: sicuramente avrà voglia di tornare in Congo. Questo perché gli africani hanno molta paura del caldo.
Giancarlo De Cataldo
Quando ho cominciato a leggere questo romanzo, ho pensato che era temendo. Lui dice sempre che la ucciderà e ho immaginato una discesa agli inferi. Poi emerge un personaggio assolutamente irresistibile con le sue disavventure, mentre ti accompagna tutto il tempo la domanda: ma questo cavolo di omicidio lo farà o no?
Alain Mabanckou
Io lavoro di più sulla psicologia del lettore. Faccio uno striptease, non svelo tutto ma ci vado cauto, assecondando e stimolando le domande del dottore: lo farà non lo farà, la uccide o fa finta? Mi interessa il percorso mentale del lettore. African Psycho permette al lettore di venire in Congo, di capire la concezione della vita e della morte.
E’ una passeggiata attraverso il Congo cittadino. Il narratore vuole diventare un assassino, ma non ci riesce perciò si porta a casa, a vivere con lui, una prostituta, in modo che sia più facile ammazzarla. L’idea è di farla fuori prima del 31 dicembre. Il problema è che quando ti porti a casa una donna per ammazzarla un po’ più avanti e tutti i giorni mangiate insieme, parlate, state bene, alla fine non hai più tanto il coraggio di farla fuori.
Dunque il mio personaggio è un poveraccio che vorrebbe riuscire a esistere nella società e l’unico modo in cui pensa di poter esistere è attraverso il crimine. Lui le prova tutte, fa tutto quello che ha visto al cinema, o che ha sentito alla radio. Pensa di fare un massacro con la sega elettrica, con un martello…
Giancarlo De Cataldo
A volte nelle coppie succede il contrario, tu parti affezionato e poi strada facendo ti viene il desiderio di sbarazzarti del partner. La sua donna è un elemento razionale perché è una persona con i piedi per terra che fa il mestiere di prostituta però è una persona per bene e ragionevole, mentre lui è delirante dalla prima riga fino all’ultima. Se noi leghiamo i temi “mass media e ossessione del successo” e “invisibilità”, abbiamo dei temi squisitamente occidentali. Come li hai coniugati in salsa africana?
Alain Mabanckou
Nella salsa africana io ci metto il peperoncino. La salsa africana è piccante, grassa. Essere invisibile può essere un inconveniente perché si vorrebbe esistere, ma nell’invisibilità c’è qualcosa di straordinario perché permette di fare tutto quello che si vuole. Nelle società occidentali l’angoscia di essere invisibili è tipica. Pensiamo ai neri che nelle società occidentali sono considerati invisibili eppure sono neri e si vedono benissimo.
Ho anche trattato l’invisibilità in senso proprio perché ho parlato un po’ del misticismo e della stregoneria congolesi per i quali i personaggi possono esistere senza essere in carne e ossa. Insomma mi piace molto navigare tra le questioni dell’esistenza, della non esistenza e anche della scomparsa. Nella nostra cultura è così: i vivi vivono accanto ai morti. Prima non c’erano nemmeno i cimiteri. Se qualcuno moriva veniva sepolto su un pezzo di terra davanti casa. Il sogno di tutti in Congo è di poter essere contemporaneamente visibili e invisibili.
Giancarlo De Cataldo
Questo romanzo è una sarabanda, è divertente, è pirotecnico, è speziato, è piccante, ma è anche una nuova forma molto strana di scrittura militante.
Alain Mabanckou
L’aspetto militante sta nel guardare lo sfacelo della società, la disperazione dei marginali che non riescono ad esistere. Il mio personaggio è qualcuno che non è mai stato accettato dalla società. Credo che raccontando storie di individui marginali, io rimango nella tradizione della letteratura africana impegnata la cui missione consiste nel mostrare le difficoltà nella società. Lo scrittore occidentale può parlare della neve, delle rose, senza che nessuno gli dica niente. Lo scrittore africano è forse l’unico scrittore al mondo che deve essere a tutti i costi militante. E’ per questo che i nostri presidenti dittatori pensano che tutti gli scrittori siano degli oppositori.
Noi abbiamo un atteggiamento impegnato anche quando parliamo di neve, di fiori e di uccellini. Penso pure che molti romanzieri occidentali sono impegnati anche se non lo sanno. Prendiamo Il deserto dei tartari: è un grandissimo romanzo impegnato. Quando lo leggo ho l’impressione che sia stato scritto da un autore africano. Il fatto di attendere in questo grande deserto, i militari… mi sembra un romanzo scritto nell’epoca coloniale.
Giancarlo De Cataldo
Forse va chiarito ad Alain che in Italia, da alcuni anni a questa parte, “impegno” è una parolaccia. Perciò se chiedi a uno scrittore italiano: “Ma è un romanzo politico?” Ti risponderà: “No, per carità. Noi ci occupiamo solo della parola”. Visto che tu vivi tra la Francia e Los Angeles, che impressione ti suscita la tua terra, il Congo, oggi?
Alain Mabanckou
Quando penso al Congo Brazzaville provo sempre una nostalgia e devo scriverne. Penso che allontanandomi dal mio paese forse ho perso molte cose che cerco di restituire tramite la letteratura, scrivendone. Lo scrittore è come una tartaruga che gira con la sua corazza che rappresenta il suo paese natale. La corazza è esposta al vento e alla pioggia ma la tartaruga segue il suo cammino per arrivare al mare e poi scomparire nella grande distesa d’acqua. Il Congo Brazzaville è il mio paese ed è naturale che io mi batta perché sia un paese libero, ma non è sempre così, basti pensare che è governato dallo stesso presidente da 32 anni.
Giancarlo De Cataldo
La ricchezza dei registri che usi quando scrivi – l’orrido, il patetico, il descrittivo – mi fa venire una curiosità sul modo in cui parti quando affronti una storia.
Alain Mabanckou
Quando scrivo non riesco a seguire un piano. Ho in testa un personaggio, come ad esempio Grégoire, e quel personaggio mi aiuta a costruire una storia. Certe volte io penso che non sono un vero scrittore, ma un narratore. Io racconto delle storie e sono sempre alla ricerca di una poesia congolese che possa dare alla lingua francese un tocco di poesia universale, comprensibile da tutti. I miei romanzi sono più parlati che scritti perché io sono molto affascinato dalla tradizione orale. Grégoire, il mio protagonista, quando si arrabbia comincia a parlare senza fermarsi mai.
Giancarlo De Cataldo
Nel tuo romanzo troviamo elenchi di nomi, di strade, e una grande precisione nel dettaglio.
Alain Mabanckou
E’ vero che io amo molto fornire dei dettagli e condurre il lettore nelle strade e nella vita del Congo che è fatta di particolari. Da noi c’è un proverbio che dice: ci sono molte più cose da dire su un granello di sabbia che su un elefante.