Netflix l’ha rilasciata interamente nella notte del 4 marzo, in Italia è andata in onda su Sky Atlantic il mercoledì sera ed è terminata il 20 aprile, la quarta stagione di House of Cards è sicuramente un appuntamento obbligato per noi grandi fanatici seriali della tv di terza generazione. Molto è stato già detto della serie, il cui successo intercontinentale è principalmente legato al fascino magnetico sprigionato dal suo eroe negativo, Frank Underwood, ma le cose sono molto cambiate con il tempo. E questa stagione l’ha definitivamente suggellato.
Tanto per cominciare, se è un personaggio a focalizzare la nostra attenzione, questo, una volta tanto non è Frank.
Anzi. Al termine della stagione ti vien proprio da dire: “Hai capito Claire…”.
In effetti, se la serie fa un notevole salto narrativo – passando dal racconto delle strategia del potere alle tattiche necessarie alla sua creazione/invenzione e al suo mantenimento – è proprio perché mette la moglie del presidente al centro della nostra costante attenzione. Lei, che aveva abbandonato il marito nel momento più difficile della sua campagna elettorale nella scorsa stagione, appare adesso in balia del suo risentimento, mostrandosi capace di macchinazioni imprevedibili e regalandoci, a tratti, momenti da vera e propria Guerra dei Roses. Amanti che nascono, vecchi fantasmi che tornano, tutto decostruisce e ricostruisce con una forza più solida e rinnovata, l’alleanza tra gli Underwood non più subordinati fra loro.
House of Cards 4
Questa stagione di House of Cards (vedi il trailer) è perfettamente divisa in due parti (leggi qui sulla stagione precedente). La prima metà si riallaccia alle vicende trascorse tra Frank e Claire nell’ultimo anno che li ha visti trasformarsi da alleati a nemici; la seconda invece mette a frutto questa rinnovata alleanza. Pochissimi sfondamenti della quarta parete da parte di Frank, stile registico più lineare, la dimensione del racconto passa dalla trasversalità dei meccanismi dell’ingranaggio del potere al racconto orizzontale delle singole mosse che Claire architetta per accomodarcisi dentro.
Un protagonismo, quello di Claire, interpretata come sempre magistralmente da Robin Wright, che non si ferma all’aspetto diegetico del racconto, ma sfonda la parete della rappresentazione visiva, presentandosi anche nel suo aspetto produttivo. Cinquantenne dalle scelte impopolari ma dal polso fermo, Robin Wright, oltre ad essere una delle protagoniste della serie, è anche uno dei suoi produttori esecutivi, nonché regista di alcuni episodi di questa stagione: nel dettaglio gli episodi 42, 43, 48, 49.
Solo 4 per il momento, ma chissà se il passaggio del testimone da Beau Willmon (lo sceneggiatore ha ufficialmente dichiarato di abbandonare la serie dopo questa quarta stagione) a Melissa James Gibson e Frank Pugliese, con cui Robin ha già collaborato, non cambierà anche questa proporzione. I suoi collaboratori in fondo si sono mostrati tutti soddisfatti della sua gestione degli episodi, Kevin Spacey compreso, cosa che dà un carattere sempre più peculiare al ruolo forte delle donne della serie.
Alcune new entries

Oltre a Claire, infatti, le new entries Leann Harvey (consulente politica interpretata da Neve Campbell) e la madre della first lady Elizabeth Hale (interpretata dalla grande Ellen Burstyn), con le immancabili Heater Dunbar (rivale di Frank alle presidenziali, interpretata da Elizabeth Marvel)

e la deputata Jackie Sharp (Molly Parker), contribuiscono a connotare sempre di più l’universo femminile rappresentato dalla serie, come fatto da donne indipendenti, determinate e dal pugno di ferro. Al contrario di come si comportano con gli uomini, tra di loro non si tradiscono, e tramano, se possono, in modo ancora più subdolo di loro, sfruttando ogni arma a disposizione.
Non a caso sono di Claire le parole che siglano e riassumono il senso dell’intera stagione: “We don’t submit to terror. We make it! (non ci sottomettiamo al terrore, noi lo creiamo!)”. Parole che aprono scenari di recuperata crudeltà (che si era persa un po’ nella scorsa stagione), e che sono sufficienti a soppiantare in un soffio qualsiasi possibilità di successo per l’eroe positivo della stagione, il governatore Will Conway (interpretato da Joel Kinnaman noto per The Killing).
“We don’t submit to terror. We make it!”
La coerenza e la determinazione, propri dei singoli protagonisti della serie, diventano pertanto i valori su cui si riconferma la serie stessa. Certo, l’ingresso a gamba tesa di Claire stravolge le dinamiche narrative dal suo interno, in modo irreversibile. Personalmente, devo ammetterlo, questo un po’ mi spiace, essendo un’amante della strategia del gioco e che si annoia spesso a seguirne le semplici mosse, ma forse era una scelta inevitabile, pensando a come le cose fossero successe troppo velocemente nelle prime due stagioni.
Quindi che dire? Non ci rimane che aspettare e vedere come ci terranno incollati allo schermo i nuovi autori il prossimo anno per la prossima stagione di House of Cards.
Intanto alla National Portrait Gallery, accanto al ritratto di Richard Nixon e di tutti gli altri presidenti americani, è stato esposto quello di Frank Underwood!
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Splendida recensione di una stagione che io ho trovato fiacca in alcuni momenti.
Sono rimasta un po’ delusa dalla riappacificazione-alleanza strategica con Francis da parte di Claire, troppo rapida a mio avviso. Avrei preferito un colpo di scena, magari proprio Claire che si candida alla presidenza. Però la coppia deve andare avanti. 🙂
Grazie Giorgia!Capisco la tua delusione, che in parte condivido, ma è ovvio che lo show debba continuare. Aver cambiato aspetto completamente alla vita di coppia dei protagonisti, mi sembra già un passo lungo per una stagione… staremo a vedere 🙂