Anche se mi ripromettevo di farlo da un sacco di tempo, non avevo mai letto Terzani. Perciò, quando sono partita per il Vietnam e la Cambogia, ho messo Un indovino mi disse in valigia e di nuovo mi è successo quello che mi era capitato col Portogallo e Saramago. Il mio viaggio si è espanso, è diventato più ricco perché Terzani mi raccontava i luoghi che stavo visitando, di come erano nel ‘93 quando scriveva e ancora prima, essendo già due decenni che viveva in Oriente.
Un indovino mi disse è forse il suo libro più famoso. La storia è nota. Un indovino cinese gli aveva predetto, molti anni prima, che nel 1993, non avrebbe dovuto volare perché avrebbe rischiato di morire, perciò lui, giornalista per Der Spiegel, sempre in volo, spesso in zone di guerra, decide di non prendere aerei per un anno e si sposta con mezzi terrestri e marini.
Il suo racconto è ricco e appassionante anche se intriso di nostalgia. Parla di un mondo che già nel 1993 non esiste più.
“Gli aerei”, scrive Terzani, “finiscono per scorciare tutto, anche la comprensione del mondo”. “I discorsi sono sempre gli stessi e anche la gente che si incontra. In trent’anni di voli mi pare di non ricordarmi nessuno. Gli aerei impongono una limitata percezione dell’esistenza…” Muoversi via terra invece restituisce realtà e dimensione al mondo, alle montagne che diventano veri ostacoli, ai mari che vanno attraversati, alle frontiere da superare e alle distanze che si allungano, riprendendo il loro vero valore.

Lo scrittore ritiene che questi paesi siano stati distrutti dal progresso e dal contatto con la cultura occidentale. Il suo racconto è colmo di rimpianto per un mondo che non c’è più e che viene visto in modo idilliaco, mentre il presente è sempre devastato e corrotto. La colpa è del “turismo, una delle industrie più malevole, che ha ridotto il mondo a un enorme giardino d’infanzia”.
Il viaggio lo compie quando ha 56 anni e per lui sarà una sorta di rinascita. Solo dopo la metà del libro, ci svela che era depresso quando lo ha iniziato. In effetti non sembra che stia proprio bene con tutti gli indovini che consulta in ogni posto in cui si reca. Si sente che ha paura di qualcosa, che è irrequieto:
“Era cominciata in Giappone. La vita era una continua corsa, piena di doveri. Ogni rapporto era difficile, contorto. Non avevo – o non credevo di avere – mai un momento in cui tirare il fiato; mai un attimo in cui non mi sentissi in colpa per qualcos’altro che avrei dovuto fare”.
Forse stava anche pagando il prezzo del suo mestiere di giornalista, visto che per anni ha assistito a rivoluzioni fallite, a delitti irrisolti, a speranze deluse e a problemi senza soluzione: “Vietnam, Cambogia, Tien An Men: sempre cadaveri, gente che scappa e, lentamente, la convinzione che niente serve a niente e che il momento della giustizia non arriverà mai”.
In questo viaggio Terzani s’interroga sul rapporto fra l’uomo e l’occulto. Mette in discussione il suo modo illuminista e indaga su quanto c’è di vero nelle tecniche di divinazione.
“E’ possibile che l’uomo, nel corso dei millenni, abbia perso, per mancanza d’uso, certe capacità che oggi solo certe persone sono ancora in grado di esercitare?” Ci sono poteri che l’Occidente ha perso? C’è da qualche parte in Oriente un mago, o un indovino, che conservi poteri da noi ormai perduti per sempre?
E allora lui va a scovarli nei luoghi più sperduti, cerca i migliori, li ascolta, li interroga, li mette alla prova e ogni volta che sembrano “indovinarci” cerca una spiegazione plausibile e razionale.
Bisogna però fare una premessa: in Asia c’è un rapporto completamente diverso con lo spirituale e il soprannaturale, tutti consultano gli indovini prima di fare qualsiasi cosa, dalle azioni più ordinarie come riparare un tetto, a quelle straordinarie come dichiarare una guerra, ma lo consultano anche sul nome da dare a un figlio, l’acquisto di un terreno, la data di una partenza, la costruzione di una casa, la celebrazione di un matrimonio, la disposizione dei mobili in casa e, ovviamente, prima di qualsiasi decisione politica.
Terzani non è alla ricerca di una facile conversione e se per caso uno dei maghi o delle maghe a cui si rivolge si fa più convincente, quasi si preoccupa: “Mi piaceva considerare l’occulto una possibilità non una certezza. Volevo restare con il dubbio, non diventare un credente”.

Mentre viaggia tra astrologi, veggenti, chiromanti e cartomanti si chiede “Se è davvero possibile predire il futuro”. La risposta arriva là dove un tempo c’era l’Impero dei Khmer, i cui re hanno costruito i magnifici templi di Ankgor.
“Se l’uomo porta davvero in sé i semi di quello che lo aspetta, la Cambogia è il posto per provarlo. Nel giro di quattro anni, una persona su tre era morta in questo paese, perlopiù in maniera violenta. Gli indovini lo avevano predetto? C’era stato qualcuno che aveva messo in guardia contro la possibilità di un bagno di sangue?”
Quasi due milioni di cambogiani massacrati da Pol Pot, torturati e gettati nei pozzi, intere famiglie date in pasto ai coccodrilli, o uccise a bastonate nelle risaie per risparmiare le pallottole, tanto che era impossibile camminare senza calpestare le loro ossa. Perché nessuno aveva saputo predirne la morte?
Se nessuno aveva saputo leggere quello che c’era scritto nelle loro mani, come poteva pretendere di predire una morte per infarto o qualsiasi altra cosa?

E poi, riflette il giornalista, non è stato proprio il fatto di aver dato retta alla profezia che ha rovinato Edipo? Se Laio non avesse creduto alla profezia che diceva: “Tuo figlio ti ucciderà e diventerà l’amante di sua madre”, non avrebbe allontanato Edipo e questi non lo avrebbe poi ucciso senza sapere che era suo padre. “La profezia si avvera proprio perché Laio la prende sul serio e cerca di evitarne le conseguenze”.
Ma in Un indovino mi disse non ci sono solo i “contro”, ci sono anche dei “pro”. Ad esempio Terzani prova, non senza difficoltà, la pratica della meditazione e con il tempo ne afferra il senso e i benefici.
In questo viaggio “con i piedi per terra” Terzani ritroverà “non solo il piacere di viaggiare, ma anche quello di vivere”. “Viaggiare è un’arte. Bisogna praticarla con comodo, con passione, con amore. Mi resi conto che, a forza di viaggiare in aereo, quell’arte l’avevo disimparata. E pensare che è l’unica cui tengo!”
Ma c’è una profezia, un destino, al quale Tiziano Terzani sembra non poter sfuggire: quello di viaggiare. “Perché la mia natura è quella dell’evaso: prima o poi debbo sempre scappare da dove sono”.
E non si sa se sia un destino o una maledizione.
Cara Tiziana,
fu una affascinante, toccante scoperta Terzani quando pubblicò “Un indovino mi disse” e da allora non l’ho più abbandonato.
Che gioia e che nostalgia trovarlo ora, grazie alle tue riflessioni, sempre attuale e interessante.
Un gran giornalista, un viaggiatore di altri tempi, un faro da tener sempre acceso, per questo -secondo me- un essere umano vivo oggi più di allora.
Grazie Tiziana e… Tiziano!
😉
Cara Monica,
sì, io l’ho trovato molto attuale e interessante. Mi piace il suo modo dialettico e privo di pregiudizi di interrogarsi e di interrogare gli altri. Mi corrisponde. Questo libro vale più di tante guide e può essere un bel modo di viaggiare anche standosene a casa…
Grazie dai Tiziani 🙂