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Love serie

Inserita dal Guardian tra le migliori serie tv del 2016, Love è una punta di diamante del servizio Netflix. Il suo lancio – attesissimo – è avvenuto in tutto il mondo il 19 febbraio scorso, aprendo le porte dello streaming a una delle comedy più riuscite degli ultimi tempi. Qualcosa in stile HBO, per intenderci, con la differenza che Love fa ridere, e mai gratuitamente.

Il segreto della sua riuscita è il grande nome che vi sta dietro, ossia quel Judd Apatow che abbiamo imparato a conoscere grazie a serie come Freaks and Geeks, Girls e alla brillante commedia 40 anni vergine. Apatow riesce, in ogni prodotto, a tirar fuori lo straordinario dall’ordinario. Se in Girls Lena e Co. si trovano ad affrontare il difficile passaggio dai 20 ai 30 con ricerca d’identità inclusa, Love affronta lo step successivo, quello in cui si è raggiunto il terzo decennio, ci si accetta un po’ di più ma si è lo stesso incasinati fino al collo.

L’ennesima serie sui trentenni verrebbe da dire. Un altro tentativo di mettere in bocca a dei personaggi le ansie e le incertezze di una generazione smarrita. È vero, però Love riesce a raccontare qualcosa di quasi scontato con toni diversi e irriverenti. Del resto Apatow sa bene cosa ci vuole per far emergere gli atteggiamenti che le persone “normali” hanno in certe fasi della vita, comprese le relazioni amorose.

Sì, perché l’amore è la cosa più bella del mondo, ma anche la più complicata. E raccontare i rapporti tra trentenni non ancora usciti da un’adolescenza prolungata, può avere risultati disastrosi se non si sa miscelare sentimento, ironia e una certa dose di cinismo. Lui però mescola tutto e riesce a dar vita a un prodotto vincente. E – pregio o difetto di Netflix – ci viene servito in 10 episodi forniti a pacchetto. Così non dovremo attendere la messa in onda settimanale, come fosse il risultato dell’ultimo esame sostenuto all’università.

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Tra i 25 e i 45 minuti di durata, ogni puntata di Love, la serie tv Netflix, reca la firma, oltre dello stesso Apatow, di Lesley Arfin e Paul Rust, il protagonista maschile della serie. Lui è Gus, nerd nel periodo in cui è passato di moda esserlo, impacciato e gracilino, con qualche problema relazionale. Ha una storia con una tipa insopportabile che dichiara di averlo tradito solo per levarselo di torno.

Dopo la fine della convivenza si trasferisce in un condominio di “scoppiati”. Continua a lavorare come tutor sottopagato di una baby Mozart alle prese con le serie fantasy e inventa colonne sonore per film che non ne hanno. Alla fine del primo episodio, in un supermercato, conosce Mickey (l’ottima Gillian Jacobs), bellissima e disastrata dopo una notte folle. Lei è una producer radiofonica con l’autostima sotto le scarpe, dipendente da droghe, ansiolitici e, scopriremo più in là, dai sentimenti. Sono entrambi strani, sballati e assolutamente male assortiti.

Eppure funzionano, forse perché in maniera goffa e su binari diversi affrontano entrambi l’accidentato terreno delle delusioni e della solitudine. Non hanno niente in comune ad eccezione del loro caos interiore. L’amore, che nella vita reale non assume mai percorsi chiari, puliti e netti, è nelle storie di Gus e Mickey molecola impazzita del sistema “stabilità”.

Lei, che ha appena mollato l’ultimo fidanzato eroinomane e mammone, ha una paura folle di restare sola, chiama il suo gatto Grandpa perché è convinta sia la rincarnazione del nonno in grado di darle ancora affetto e dichiara al culmine del suo limbo esistenziale: «[…] hai detto che se si chiede amore il mondo ti restituirà amore. Ma io ho chiesto e richiesto e non ho ricevuto un cazzo. Ho sperato, aspettato e desiderato l’amore… aspettare l’amore mi ha rovinato la vita». Il terrore della solitudine la porta a lanciarsi in storie sbagliate, con uomini che di riflesso impazziscono a causa della sua instabilità e la insultano pesantemente al primo incontro dopo anni. È bella e realizzata professionalmente da creare invidia, eppure vive una situazione di disagio spaventosa.

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Al suo confronto Gus risulta essere quasi vincente. Ma basta poco per accorgersi che la rottura con la fidanzata storica lo getta in un vortice di insicurezze, sesso e goffi tentativi di seduzione subiti. È più forte unicamente perché non cade nel tunnel delle dipendenze. Ma vive di sogni e illusioni che lo portano ad elemosinare un ruolo da sceneggiatore nella serie tv dove recita la sua attrice bambina, a sballarsi di canti e suonate al basso con gli amici nel suo squallido appartamento in affitto. È un collezionista seriale di Blue-ray cui non hanno insegnato a rapportarsi con la vita al di là dello schermo, un Woody Allen dei nostri tempi perennemente fuori tempo e fuori luogo.

Per questo l’incontro tra i due non è l’ennesima storia d’amore disfunzionale, ma il più spassionato ritratto di come le relazioni – a certe età – si siano involute. E questto andando di pari passo con i messaggi che sostituiscono le chiamate, i silenzi che nascondono il vuoto, i lavori accettati per forza di cose ma che in fondo non producono niente. Nell’improbabile ricerca di un posto nel mondo da parte di Mickey e Gus troviamo il modo più semplice e diretto di svelare come noi stessi schizziamo come atomi dentro e fuori dagli spazi dell’illusione dell’amore romantico. Ma a rendere unica Love è proprio la sua imperfezione, che risulta quasi rassicurante nel momento in cui mettiamo in pausa lo streaming e notiamo che sono le situazioni più semplici a creare i maggiori sconvolgimenti.

Proprio perché dinnanzi alla montagna dei sentimenti tutti quanti andiamo in frantumi, inciampiamo, ci spaventiamo e molto spesso scappiamo. La storia dei due protagonisti si prende il suo tempo per decollare, passando per un percorso ad ostacoli che rivela il peggio del carattere di ognuno. Odiamo Mickey e Gus a momenti alterni. Non capiamo davvero come sia possibile abbrutirsi in tal modo quando la vita sembra mettere un freno alle proprie problematiche. Le prime due puntate, totalmente incentrate sulle loro vite precedenti, paiono essere il semplice antipasto del disagio assai ampio che permeerà ogni singola scelta della strana coppia.

È facile perdere la pazienza con Mickey che continua a cullarsi nel suo mal d’amore tossico quando avrebbe tutte le carte in regola per sentirsi realizzata come donna. È lecito rimanere di stucco quando al tanto atteso appuntamento con Gus rovina l’intera serata sciorinando una filippica incredibile sul presunto maschilismo nel mondo dei prestigiatori. E lui, che da ragazzo anonimo della porta accanto si lascia abbindolare dalle moine della bionda Heidi, cede al fascino di una storia facile. Cancella il numero di Mickey quando questa manifesta le sue fragilità. E’ così facilmente condannabile da apparirci egoista, ipocrita e piuttosto bastardo.

Poi, però, subentra l’empatia, il riconoscimento di situazioni esasperate ma non così dissimili da quelle che abbiamo vissuto almeno una volta. Nella loro assurda capacità di complicarsi le cose, Gus e Mickey scoprono il fianco alle stoccate della vita rivelando così il loro volto umano, quello che spesso cela dietro alle maschere della sicurezza e spavalderia. Il loro primo incontro, con Mickey in ciabatte e dipendenza da caffè, è così l’avvio limpido ed essenziale di un percorso di svelamento ed esposizione alle ferite, con le insicurezze che paralizzano il corpo e mille paure a bloccare lo stomaco. Vien quasi voglia di prendere per mano questi due ragazzi così fragili, indirizzarli verso la strada giusta. Mostrar loro un luogo dove essere se stessi senza il timore dei giudizi del mondo. Lontano da quella Los Angeles divisa tra universo patinato e periferia disastrata.

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Quello di Apatow è forse il tentativo più riuscito degli ultimi tempi di mettere in scena – in maniera molto americana, s’intende – il precario equilibrio di fragilissimi eroi votati alla fallimentare impresa dell’amore romantico. Un’impresa condotta disperatamente, per cui si continua con ostinazione a combattere. E non importa che la relazione tra Gus e Mickey sembri esasperare i loro problemi piuttosto che attenuarli; l’amore è un gran caos e loro non fanno altro che rivelarlo in maniera goffa, impacciata e indiscutibilmente umana.

È una fortuna che Apatow e gli altri siano stati riconfermati per una seconda stagione, così da portare a termine ciò che è iniziato nella maniera più genuina possibile, unendo situazioni semplici, personaggi problematici e sentimenti molto molto complicati.

Ginevra Amadio

Ginevra Amadio

Nata a Roma, laureata in Lettere Moderne, amante di cinema, arte e buoni libri, non riesco a immaginare a quale di queste cose potrei rinunciare. Oltre a collaborare con varie testate online, scrivo qua e là qualche appunto che nei momenti di esaltazione oso definire racconto.

2 commenti

  1. Quello che mi ha colpito, Ginevra, è il ribaltamento tra i due: lei è bella, decisa, sembra in grado di avere tutto quello che vuole, mentre lui è goffo, impacciato, timoroso eppure, non si capisce come, c’è un capovolgimento molto verosimile…

    • Proprio così Tiziana, credo che questo sia il punto centrale della serie, quello che permette di coglierne la novità; si tratta di due personaggi apparentemente standardizzati, ma nel corso delle puntate mostrano pregi e difetti che li rendono mobili e assolutamente umani. E, come nella vita, dietro l’apparenza si nascondono fragilità, debolezze e, dall’altro lato, punti di forza che creano un ribaltamento delle parti che non ci si aspetta. Chissà cosa ci riserverà la seconda stagione…

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