Lo scrittore argentino Alan Pauls ha presentato a Roma
Il fattore Borges (vedi qui la prima parte)
Ora io posso parlarvi di come e perché ho scritto Il fattore Borges. E’ stato in parte scritto per un incarico, avuto verso la fine degli anni Novanta, quando si avvicinava il centenario della nascita di Borges. Ma la mia è stata anche la risposta a una stanchezza rispetto alle critiche fatte a Borges, un fastidio e un’irritazione che mi suscitava il fatto che la molteplicità di Borges fosse soffocata da una serie di luoghi comuni che pesavano su di lui per cui era considerato una sorta di saggio, un po’ autistico, che scriveva dalla sua torre d’avorio testi che non tutti potevano capire.
Io credo che Borges fosse uno scrittore straordinariamente dinamico che, non solo ha scritto i migliori racconti in lingua spagnola del Novecento, non solo ha pensato tutto quello che uno scrittore può pensare sulla letteratura, ma ha anche fatto del giornalismo, si è interessato alla cultura popolare, al tango, ha scritto sceneggiature, ha fatto critica cinematografica e ha rivoluzionato il mercato editoriale argentino pubblicando antologie e dirigendo collane. Lui è stato una specie di divulgatore straordinario. Il fattore Borges è stato scritto per demolire tutti quei luoghi comuni che avevano tolto a Borges la sua vitalità che nella sua opera mi sembra legata a un’emozione ben precisa: la perplessità.
Borges è lo scrittore della perplessità. Ha trasformato la perplessità nello stato perfetto in cui la grande letteratura mette il lettore. Il segreto, il paradosso, l’autoreferenzialità, tutte le grandi operazioni che metteva in atto nella sua letteratura, tendono a produrre questo stato di perplessità. E’ questa la vertigine che ci crea la letteratura di Borges, la perplessità che ci permette di vedere il mondo in modo completamente diverso.
Borges ha il privilegio che pochi scrittori hanno avuto, di aver originato un aggettivo basato sul suo nome. Quando si dice che qualcosa è borgesiano vuol dire che la letteratura è intervenuta nel mondo e ha nominato qualcosa che prima non aveva nome. Nel suo modo di sentire, la letteratura non riflette il mondo, ma produce il mondo. Borges amava molto il Chisciotte, non tanto perché fosse un romanzo – il primo romanzo – perché come sappiamo non amava il genere e non l’ha mai scritto, quello che gli piaceva era l’idea che la letteratura non si limita a riflettere quello che esiste, ma produce quello che non c’era, che si unisce al mondo e lo cambia.
Si è rimproverato a Borges che tutti i suoi personaggi avevano a che fare con i libri, erano scrittori, lettori, bibliotecari, gente di lettere. Quello che non si capiva, era fino a che punto per questi personaggi la questione di leggere, di scrivere, la questione della letteratura, fosse una questione di vita o di morte. Credo che la grande lezione di Borges sia che la letteratura non è sinonimo di evasione, di soddisfazione, di rappresentazione del mondo, la letteratura è sinonimo della sola emozione che tutti noi desideriamo sempre provare, che è il pericolo. Borges è uno scrittore che mette definitivamente in crisi tutti i nostri valori, le nostre idee, le nostre certezze sul mondo. Questo mettere in crisi è il pericolo e credo che sia la cosa migliore che possa produrre la letteratura.
Goffredo Fofi
Alla fine, tu fai un paragone splendido con Flaubert, con Bouvard e Pécuchet che sono due persone normali, un po’ stupide: siamo noi che non abbiamo capito fino in fondo le cose. Quando ci fermiamo a pensare perché siamo al mondo, che cos’è il mondo, chi l’ha fatto, dove andiamo, i problemi veri, i perché che si pongono i bambini, siamo colti dal panico. In fondo Borges gioca molto con questo. Dai suoi racconti noi entriamo in una dimensione mentale nuova che ci sconcerta ed è a questo che lui mira.
Alan Pauls
Borges era uno scrittore straordinariamente intelligente, la cui intelligenza a volte è stata anche usata per screditarlo. Si diceva che scrivesse troppo con la testa e poco con le emozioni e, come tutte le persone molto intelligenti, era affascinato dagli idioti. La parola “idiotes” in spagnolo, designa qualcuno che è completamente assorbito da una particolarità. E’ un’idea molto comune nei personaggi di Borges. In questa specie di abisso si affacciavano tutti i suoi personaggi. Basti pensare a uno molto famoso che è Funes, una persona che ricorda tutto, che ha una specie di memoria assoluta, capace di registrare e conservare fino all’ultimo dettaglio dell’ultima foglia dell’ultimo albero che ha visto quel giorno. Sono questi i personaggi che interessavano Borges ed erano molto lontani dall’essere apatici, freddi e senza sangue. Funes è allo stesso tempo una specie di alienato incurabile, condannato ad un’insonnia permanente, e una sorta di superuomo, di super dotato. Il paradosso di questo personaggio è quello che interessava Borges per eccellenza.
Domanda di uno del pubblico
Borges sarebbe potuto nascere in un altro paese, o c’è qualcosa di tipicamente argentino in lui?
Alan Pauls
Sì, Borges è uno scrittore tipicamente argentino. Si iscrive nella tradizione argentina del XIX secolo di scrittori bi, o trilingue, con famiglie in contatto con la cultura straniera; è uno scrittore locale e allo stesso tempo cosmopolita. Goffredo menzionava Ricardo Piglia. In un suo romanzo che s’intitola Respirazione artificiale, il narratore teorizza su molti argomenti tra cui la letteratura argentina e dice qualcosa che può sembrare una boutade ma che in realtà è vero e cioè che Borges è l’ultimo scrittore argentino del XIX secolo. Noi parliamo di lui come se fosse solo al mondo ma in realtà negli anni Venti e Trenta in Argentina, Borges era come il centro segreto di una costellazione di scrittori, probabilmente non tutti geniali come lui. Ricordiamo Masellonio Fernandez che è uno scrittore molto importante, molto poco conosciuto che forse potrebbe incarnare l’idea, che menzionava Goffredo, di un filosofo della letteratura. Borges lo ammirava molto e si è dedicato, anche in modo molto astuto, a eclissarlo.
Io gli domando
Lei lo ha conosciuto?
Alan Pauls
Sì, l’ho visto tre o quattro volte nella mia vita. Non avevo un rapporto stretto con lui. La prima volta avevo quindici, sedici anni. Sono andato a trovarlo a casa con un amico di mia madre, un professore di filosofia che lo conosceva. In quel momento ero piuttosto anti-borgesiano. Mi irritava molto la posizione politica, che ritenevo un po’ infantile, che aveva negli anni Settanta, un’epoca in cui l’Argentina era molto politicizzata, come l’Italia e il resto del mondo. Però lo guardai con molta curiosità perché finalmente conoscevo il più grande scrittore argentino. Poi lo vidi un paio di volte in un contesto universitario: negli anni Ottanta studiavo lettere e con un gruppo di compagni lo invitammo in facoltà per tenere una conferenza. Una volta l’ho visto in privato. Ebbi l’opportunità di andare a casa sua e fu un’esperienza stranissima. La cosa più sorprendente fu vedere che questo scrittore che pareva aver letto tutti i libri del mondo, teneva nella sua biblioteca appena 200, 250 libri. Aveva una biblioteca molto piccola perciò ho chiesto: “Dove sta il resto della biblioteca?” E mi hanno detto: “No, è quella la biblioteca di Borges”. Io ci sarò andato nell’anno 1975 e il libro più nuovo era del 1930, 1935. Ma questa non era una cosa sorprendente perché l’erudizione di Borges era in realtà un’erudizione di seconda mano: Borges era un grande lettore di enciclopedie e l’unico libro da cui non si separava mai era l’Enciclopedia Britannica. Quando si separò dalla sua prima moglie, che era una donna che non amava molto e il loro matrimonio è durato quindici giorni, l’unica cosa che si è portata via è stata l’Enciclopedia Britannica nell’edizione del 1911 alla quale avevano partecipato grandi scrittori che lui ammirava molto.
Qualcuno del pubblico chiede
Sul cosmopolitismo mi veniva in mente una cosa che aveva detto una volta Cioran, quando gli chiesero di scrivere un pezzo su Borges, in occasione di un anniversario della sua morte. Lui si rifiutò e argomentò il rifiuto dicendo che erano troppo simili perché entrambi erano nati alla periferia dell’impero. La curiosità che avevano entrambi, un rumeno e un argentino, verso la grande letteratura europea dell’Ottocento nasceva da lì. Quanto al suo enciclopedismo è un po’ un luogo comune che lui stesso ha favorito. In realtà lui era un grande lettore di biblioteche. Non amava il possesso. Lo è stato sia quando ha lavorato alla biblioteca piccola, la Cané, che quando è stato nominato direttore alla Biblioteca Nazionale. Di questo io ne ho parlato con lui perché ho avuto l’onore di conoscerlo. Io ho letto Il fattore Borges e mi è piaciuto moltissimo e sono un grande patito di Borges, ho letto tantissimo su di lui, pensavo fosse difficile dire qualcosa di nuovo e interessante perché è come dire qualcosa di nuovo e interessante sulla Gioconda. Eppure qui ci sono delle cose fantastiche. Mi ha colpito quando tu riprendi la critica di Doll a Borges, fatta credo negli anni Trenta. Questo critico molto feroce lo accusò di fare una letteratura parassitaria in cui tutte le sue figure erano di secondo piano, glossatori, traduttori, di cui Pierre Menard è il più famoso. Tu dici che invece è quella la sua forza e che Borges ha dato dignità e forza a queste figure di secondo piano. E’ riuscito a rivitalizzare la letteratura facendo quasi letteratura parassitaria.
Alan Pauls
Borges non solo era un lettore di enciclopedia, ma gli interessava molto anche la logica dell’enciclopedia. Si muoveva in questo territorio molto scivoloso della relazione un po’ sospetta tra la verità del sapere e la divulgazione che implica una enciclopedia. Per quanto riguarda la scrittura parassitaria, Ramón Doll è un critico nazionalista, uno dei molti nemici di Borges che il nazionalismo ha creato. Lo accusava di riscrivere male quello che altri avevano scritto bene. La cosa interessante è la risposta di Borges. Lui non si è difeso dicendo: “No, no, non è vero, io sono uno scrittore originale” ma invece diceva: “Effettivamente, tutta la mia letteratura è una riscrittura di cose che altri hanno già scritto”. Per Borges il modello stesso dello scrittore non è quello dello scrittore originale la cui ispirazione porta a delle creazioni completamente nuove. Il suo modello di scrittore sono sempre figure minori, oscure, anche mediocri, figure subordinate come il copista, il commentatore, il critico, il traduttore. Ad esempio c’è un’ampia parte dell’opera di Borges che è dedicata alle traduzioni e ai traduttori. Per lui il traduttore è molto di più che un traduttore, ma diventa il paradigma della pratica di scrivere. Egli stesso è stato un traduttore e in realtà un pessimo traduttore perché non riusciva a evitare di scrivere, anche traducendo. Ovviamente la mia è un’esagerazione. Borges ha fatto delle traduzioni straordinarie come quella di Wild Palms di Faulkner, o dell’Orlando di Virginia Woolf, ma è inevitabile accorgersi che sono traduzioni di Borges perché quando traduceva non poteva evitare di scrivere.
Per chiudere il capitolo sul nazionalismo contro Borges, negli anni Quaranta, in piena epoca del peronismo, c’è stato un famoso polemista della sinistra nazionalista argentina che si chiamava Jorge Abelardo Aramos, un tipo molto brillante, che inventò uno slogan fantastico: “Borges, come le ferrovie, deve essere nazionalizzato”.
Altra domanda dal pubblico
Qual è stata l’eredità che Borges ha lasciato a quelli venuti dopo?
Alan Pauls
E’ praticamente impossibile scrivere a partire da Borges. La sua scrittura è del tutto inconfondibile. Chiunque ci provasse verrebbe automaticamente identificato come un plagiario. Negli anni Sessanta e Settanta c’è stata una corrente di scrittori che sono rimasti un po’ intrappolati nello stile di Borges, in un certo modo di costruire i racconti, o in certi temi come la simmetria e il doppio. Credo che quello che la mia generazione ha ereditato da Borges sia piuttosto un modo di pensare la letteratura e anche di leggerla. Borges è stato un grande maestro di lettura e penso che non esista nessuno scrittore argentino, neanche tra i suoi detrattori, che possa dire di non aver imparato qualcosa da lui.
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Oltre a Il fattore Borges, Alan Pauls è autore di altri due libri, sempre editi da Sur: Storia dei capelli e Storia del denaro.