Chi diceva più che il segreto sta tutto nel trasformare le sventure in opportunità? Condannata agli arresti domiciliari dall’ennesima inevitabile ristrutturazione, ho guardato gli otto volumi delle Memorie di Casanova e mi sono detta, ora o mai più.
Ora. Del resto, leggere Casanova non è tempo perso. Dove la troviamo un’altra cronaca così dettagliata della quotidianità italiana (ed europea) del Settecento?
Le dominazioni straniere succedutesi in Italia hanno ritardato di parecchio la nostra maturazione filosofico-letteraria, col risultato che nell’epoca dei lumi noi andavamo ancora girando armati di zolfanelli.
Certo, c’è stato Alfieri, asfissiante come un pomeriggio estivo nel Sahara; Foscolo, che come narratore ha lasciato ben poco (e ben poco di originale); quel pettegolo di Goldoni, che ripropone con un secolo di ritardo un Molière in salsa moralista (sebbene le sue Memorie influenzino in certa misura quelle del Nostro); Metastasio e Parini, troppo ecclesiastici e troppo “verseggianti” per avere una qualche utilità cronachistica; se qualcuno mi presta un calzascarpe, ci possiamo infilare un Giuseppe Gorani. Ma insomma, non facciamoci illusioni: se li pigliamo tutti quanti e ne facciamo spezzatino, non arriviamo al gusto di un cosciotto di Voltaire o di un’ala di Goethe – non a caso, figli entrambi di libere monarchie.
Casanova, invece, è cronista di tutto rispetto.
Di pretese ne ha, questo è certo, e non sempre se ne dimostra all’altezza. Ma se anche prescindiamo dal libertino – noiosetto e prevedibile quant’altri mai, ma chi si scandalizza più nell’era di Ōshima e di Genet? -, resta comunque il dongiovanni che rinnega il suo eponimo spargendo a piene mani pulsioni protoromantiche.
Resta il viaggiatore instancabile e modernissimo, mai sprovvisto di ironia. Resta l’avventuriero, che riesce a mettere nel sacco l’inquisizione veneziana. Resta l’alchimista, tanto inaffidabile quanto spassoso.
Resta il filosofo, forse della più bell’acqua (anzi, tagliamo il forse: dargli del filosofo sembra quasi denigrare Vico e Beccaria…), ma gli va riconosciuto almeno il pregio di una schietta originalità.
Resta l’osservatore borghese, sempre obiettivo malgrado una costante fissazione per l’aristocrazia e una irritabilità che manco Cyrano de Bergerac. Resta l’intellettuale, che si misura alla pari con Rousseau e Voltaire, con Da Ponte e Federico II, con la Pompadour e Caterina la Grande. Resta persino l’abate che fa sfoggio di latinorum, secondo le migliori tradizioni nostrane.
Resta, infine, un uomo che riesce a sopravvivere alle umiliazioni della vecchiaia grazie ai suoi inesauribili ricordi. E scusate se è poco.
Ma li hai letti proprio tutti? E che stai ristrutturando, un castello? 🙂
Sono una lettrice veloce, Stefano mio… I primi cinque volumi me li sono bevuti nelle quattro settimane dei lavori, per gli altri tre sono andata più a rilento, tant’è che sto a duecento pagine dalla fine dell’ultimo e vorrei francamente passare ad altro – se qualcuno mi parla di sesso, flirt o seduzione, caccio l’urlo. Altro che le sfumature di grigio (che non ho letto): di fronte a Casanova, sbiadiscono tutt’e cinquanta…
🙂
Buona estate!