“A 50 anni si è troppo giovani per andare in pensione,
ma a 30 si è già troppo vecchi per trovare lavoro”.
Siamo a Parigi, Alain Delambre è un cinquantenne che fa una vita normale, serena e agiata. Ha una moglie che ama e due figlie grandi che vivono per conto proprio. Lui è un dirigente, o meglio un quadro, responsabile delle risorse umane per una grande azienda. Ma all’improvviso viene licenziato. Dopo quattro anni di disoccupazione lo troviamo al limite della sue possibilità economiche e psichiche. Si sente svilito perché non ha più un ruolo nella società, né in famiglia. L’autostima cala di pari passo con il suo conto in banca che è quasi a zero, mentre cresce la sua rabbia.
Nel frattempo ha accettato lavori sempre più umilianti come scaricare cassette, fare pulizie negli uffici di notte, distribuire volantini. Uno strazio condiviso con la moglie che ama molto, ma con la quale è sempre più difficile comunicare. Al momento si alza alle quattro del mattino e smista scatoloni di medicinali per una paga da fame. Questo finché il suo capo, un turco che parla il francese come un bambino di dieci anni, gli dà un calcio nel sedere. Lui reagisce e lo licenziano.
A questo punto gli si presenta l’occasione di un nuovo lavoro: cercano un responsabile delle risorse umane, esattamente il suo ruolo. Per essere assunto però dovrà superare una prova. Organizzano un falso sequestro di persona per valutare come si comporteranno i dirigenti dell’azienda in una situazione estrema. Quelli che dimostreranno sangue freddo e controllo non saranno licenziati. Lui e gli altri candidati dovranno guidare il gioco di ruolo e fare questa selezione.
Nella speranza di riavere un lavoro dignitoso, Alain è pronto a tutto e per prepararsi alla prova investe ogni suo bene. Tira fuori un talento che potremmo definire machiavellico, ma è talmente ansioso di vincere che non si accorge che il gioco è truccato.
Il romanzo, dagli sviluppi sorprendenti, è un thriller diviso in tre parti in cui cambia il punto di vista. La prima è narrata in prima persona dal protagonista, la seconda da un antagonista e infine si torna al racconto del protagonista.
Leggere questo libro di questi tempi è dolorosissimo perché se è vero che “per chi non ne è direttamente toccato, la disoccupazione è solo un rumore di fondo”, è pur vero che questo rumore lo sentono tutti e fa molta paura. L’immedesimazione è inevitabile e, soprattutto nella prima parte, noi soffriamo molto per Alain Delambre.
Come in Breaking Bad il protagonista, un buon padre di famiglia e marito premuroso, dopo quattro anni di disoccupazione che lo tortura a fuoco lento, dà di matto e cambia di segno, diventando cattivo. Abbandona la retta via per una strada sbagliata che però sembra l’unica praticabile. Un simile cambiamento succede di rado a cinquant’anni, proprio l’età di Walter White – il protagonista della serie tv – quando gli viene diagnosticato un cancro ai polmoni che cambia la sua natura di uomo pacifico e remissivo.
Pierre Lemaitre ha aspettato vent’anni prima di riuscire a pubblicare il primo romanzo. Nato a Parigi nel 1951 è stato professore di letteratura e di cultura generale.
Ora i suoi libri sono tradotti in trenta lingue e hanno ottenuto i massimi riconoscimenti come il Goncourt, nel 2013, per Ci rivediamo lassù (leggi qui la nostra recensione).
Il tema della disoccupazione, che qui è centrale, lo troviamo anche in quel romanzo, dove i disoccupati sono tutti i soldati tornati a casa dopo aver combattuto nella Grande Guerra. Per Lemaitre c’è anche un avvenimento biografico: a 56 anni suo padre ha perso definitivamente il lavoro.
Il libro si ispira inoltre a un fatto di cronaca accaduto in Francia nel 2005. Durante un seminario organizzato da un’azienda per i suoi dirigenti, nove uomini armati hanno fatto irruzione e per un’ora e un quarto hanno tenuto in ostaggio i partecipanti, sottoponendoli a tortura psicologia per mettere alla prova il loro sangue freddo.
Scrittore di gialli e noir, sceneggiatore, Lemaitre si è formato sul romanzo popolare. La scrittura di gialli gli fa dosare la suspense in modo molto efficace. L’autore sostiene che sono i “buoni personaggi che fanno delle buone storie, raramente è il contrario. Sono loro che rendono la storia appassionante”. Cresciuto a Drancy, da genitori che uscivano poco, Pierre Lemaitre dice di aver avuto un’infanzia fortunata ma triste.
“In tutti gli anni che ho insegnato, ho imparato molto anch’io. Ho consolidato la mia cultura, sistematizzato le mie conoscenze e colmato le mie lacune”.
Racconta che in vent’anni ha scritto due romanzi “non molto buoni” per i quali ha sempre ottenuto rifiuti. Questo finché la sua seconda moglie, Pascaline, gli ha chiesto di leggere qualcosa che aveva scritto. Lui le ha dato il manoscritto di Irene (Travail soigné) e lei gli ha detto che di certo lo avrebbero pubblicato. Allora lui lo ha un po’ riscritto e lo ha inviato a 22 due editori dai quali ha ricevuto 22 lettere di rifiuto. Poi, dopo otto giorni, un editore lo ha chiamato dicendogli che ci aveva ripensato. Così è stato pubblicato Irene nel 2006, quando l’autore aveva 55 anni. Quindi è seguito L’abito da sposo (Robe de marié) nel 2009 e Lavoro a mano armata (Cadres noirs) nel 2010.
Da questo romanzo nel 2013 è stato tratto il film omonimo, Cadres noirs, con Albert Dupontel e Sandrine Bonnaire. Al cinema sono da segnalare due eccellenti antecedenti sullo stesso tema: A tempo pieno (L’Emploi du temps), il film del 2001 di Laurent Cantet, in cui si racconta di un consulente finanziario, sposato e padre di tre figli, che viene licenziato, non ha il coraggio di dirlo in famiglia e dunque finge di continuare a lavorare, inventandosi una vita parallela. Nel 2002, sempre in Francia, esce L’avversario, tratto dal romanzo omonimo di Emmanuel Carrère. Entrambi i film sono ispirati, più o meno liberamente, al caso di Jean-Claude Romand che dopo aver finto per 18 anni di fare il medico, ha sterminato moglie, figli, genitori, ha tentato di strangolare l’amante e poi ha cercato di uccidersi ingerendo dei barbiturici. Condannato all’ergastolo, è tuttora in carcere.
Di Lavoro a mano armata abbiamo parlato nel Book club di Cronache Letterarie, con ospite lo scrittore di gialli Enrico Pandiani. Il romanzo è stato “fatto a pezzi” e come sempre ci sono stati ammiratori e detrattori. Qui vi racconto più in dettaglio com’è andata.
ll
Ottima recensione, ricca di riferimenti ad altre opere simili e di informazioni sulla vita di Lemaitre e gli altri suoi lavori.
Come faccio a non sentire l’esigenza di leggerlo???Dopo 4 anni trascorsi quasi interamente inoccupata,raramente a 50 anni qualcuno ti cerca nonostante la dimostrazione di un forte spirito di adattamento (ormai da tempo ho raccolto parecchi esempi personali sulla strumentalizzazione da parte di certa gente senza scrupoli, cose che alle persone x bene non verrebbero mai in mente). Non è vero che gli altri fuori di casa tua sentono questo rumore di fondo, semplicemente se ne fottono (permettetemi) e tu, già svilito e depresso, ti defili per non disturbare con le tue angosce, devi sempre dire che tutto è ok etc…La rabbia è normale che salga (dopo un po’ è un atto dovuto) per cui leggero’ con interesse questo libro se non altro nella brama di trovare e fare finalmente mia la giusta cattiveria ormai necessaria x sopravvivere in questa nostra società. Ma l’autostima….quella no! Al limite quello dovrebbe essere (e ahimè non lo è) il problema delle menti eccelse che portano con metodo e tenacia una società prestigiosa al fallimento. Scusate il taglio personale del commento.
Mi dispiace Violamara e capisco il tuo sfogo.
Capisco pure che tu voglia tutelarti dicendo che tutto va bene, ma questo rende più difficile agli altri comprendere.
Non voglio dirti niente e ne riparleremo quando avrai letto il libro. Sto per pubblicare un post in cui discutiamo di questi aspetti del romanzo, solo che ti sconsiglio di leggerlo prima di averlo letto.
In ogni caso un grande in bocca al lupo!!!