Le serie tv, grazie alla estensione temporale dell’arco narrativo che ha a disposizione rispetto ad un film tradizionale, si presta in modo naturale al racconto di cambiamenti epocali. Le rivoluzioni, infatti, sono processi complessi, talvolta lenti, talvolta più esplosivi. Ma, in ogni caso, mettono in relazione talmente tanti fattori fra di loro, che spesso un film non basta ad evidenziarli. Per questo le serie le amano così tanto. Ed i grandi registi amano confrontarsi con loro.
Due serie sull’avventura musicale degli anni ’70 e ’80
Il 2016 ha visto illustri registi cimentarsi con una rivoluzione piuttosto particolare del mondo culturale. Quella musicale avvenuta tra la fine degli anni ‘70 e la prima metà degli anni ’80, con il cuore pulsante a New York.
Stiamo parlando, nell’ordine, dell’ascesa del rock e del punk viste con gli occhi di Martin Scorsese, Mick Jagger, Rich Cohen e Terence Winter attraverso Vinyl, in produzione per HBO (10 puntate andate in onda a partire da febbraio 2016); e dell’ascesa dell’hip-pop raccontata da Baz Luhrmann con The Get Down per Netflix (6 puntate su 12 rilasciate dal 12 agosto), ed il tentativo, sebbene fallito, di raccontare la nascita del videoclip grazie a Video Synchronicity di David Fincher (bloccata dopo la registrazione della quarta puntata, e quindi mai andata in onda) sempre per HBO. Non male, no?
Produzioni tutte costosissime, 100 milioni di dollari circa spesi per Vinyl, 120 per The Get Down, che hanno deciso di utilizzare l’ingrediente emotivamente più impattante del mondo della comunicazione, la musica, per sviluppare storie da record. Ma non ci sono riusciti allo stesso modo.
Vinyl
Vinyl racconta la storia di Richie Finestra (uno strepitoso Bobby Cannavale): discografico sull’orlo della bancarotta. Richie è uno dei proprietari dell’etichetta musicale American Century, le cui speranze di restare nel giro che conta sono ormai ridotte all’osso. Nella ricerca di una soluzione per tenere in vita il suo sogno dopo anni di ‘duro’ lavoro, Richie decide di promuovere il sound aggressivo della punk band emergente Nasty Bits. Questa è capitanata da Kip Stevens (niente meno che il figlio di Mick Jagger, James Jagger che si dimostra un ottimo performer). Il rapporto che nasce tra questi giovani ed il protagonista, rappresenta e determina l’evoluzione caratteriale e narrativa dell’intero show: il rapporto con gli altri soci, la moglie (Olivia Wilde), ecc.
La puntata pilota diretta da Scorsese
La puntata pilota di una durata di quasi due ore, diretta da Scorsese è, a di poco, esilarante, ma promette forse troppo: promette musica ricercata e di impatto, fotografia encomiabile, storie e sceneggiatura di altissimo livello (grazie alla penna di Terence Winter, già collaboratore di Scorsese con la serie Boardwalk Empire e la pellicola The Wolf of Wall Street), episodi rocamboleschi, tanta droga e tanto sesso. Ma non tutti questi semi vengono raccolti in modo coerente, tanto che la serie, che è andata in onda a febbraio, dopo aver annunciato un felice prosieguo, non vedrà una seconda stagione l’anno prossimo.
Il finale è deludente, la maestria tecnica del pilota sbiadisce pian piano, il dinamismo ipnotico della prima puntata si perde completamente ed i dialoghi spesso smettono di essere taglienti per diventare troppo verbosi, sebbene la regina della serie, la musica, non smetta mai di incantarci. Tra tutti gli omaggi proposti, infatti, impossibile non ricordare la puntata dedicata a David Bowie con una cover di Life on Mars mozzafiato. La fotografia è evocativa e simbolica e rimanere a guardarla è sempre un piacere, ma di certo, quando ci sono così tanti soldi in ballo e così pochi spettatori a sostenere il gioco, tutto questo non basta (leggi anche qui).
The Get Down
Diversa, ed a mio avviso a ragione, l’evoluzione della serie di Luhrmann sull’hip-hop. Netflix ne ha rilasciato solo 6 puntate per ora, dovremo aspettare il 2017 per vedere le altre, ma abbiamo già capito che ha tutte le carte per far parlare di sé: più di Vinyl.
Il protagonista di The Get Down, Ezekiel Figuero (interpretato da un giovanissimo Justice Smith), pianista della chiesa di quartiere, è innamorato di Mylene (Herizen Guardiola), figlia del pastore Ramon Cruz (un irriconoscibile Giancarlo Esposito, ‘Gus’ per gli amici di Breaking Bad); è un poeta in erba ed ha un talento naturale come paroliere, cosa che gli permetterà di diventare un astro nascente della musica hip-hop. Come lui, anche Mylene cova in segreto un sogno, quello di diventare una star della disco music (una curiosità, la Guardiola esegue lei stessa tutti i suoi pezzi). Per questo chiede aiuto allo zio Francisco, politico locale dalla dubbia collocazione morale.
Le prime sei puntate procedono secondo una linea narrativa tanto lineare quanto esplosiva. Ezekiel, per conquistare la sua donna, si dedica completamente alle parole, cosa che gli farà incontrare Shaolin Fantastic (Shameik Moore), criminale di bassa lega con aspirazioni da dj e Grandmaster Flash (Joseph Saddler), pioniere della musica hip-hop. Insieme affronteranno sfide clandestine di musica e parole (chiamando a collaborare con loro anche altri ragazzi tra cui Dizzie, interpretato da Jaden Smith, figlio di Will Smith), criminalità organizzata e soprattutto la pista da ballo del Disco Inferno.
La puntata pilota diretta da Luhrmann
La puntata pilota di un’ora e mezza diretta da Luhrmann è una dichiarazione di stile, oltre che un grande contenitore di aspettative; cosa che non ci stupisce se ricordiamo come lo stesso regista abbia saputo, con sfacciataggine e maestria, trasformare i Montecchi e i Capuleti di Shakespeare in due bande rivali di teppisti di Venice Beach…
Al contrario di Vinyl, in cui il pilota ci aveva consegnato elementi definiti che sono poi diventati rarefatti, Luhrmann ci confonde per un’ora e mezzo con personaggi abbozzati, trama corale ma fumosa, scene musicali apparentemente inappropriate, per poi aprirci all’emozione piano piano. Emerge l’importanza di una serie di figure secondarie, ma, soprattutto, esplodono l’arte e la musica della strada con i loro risvolti sociali e politici più scomodi. L’anima del Bronx.
Forse alcune situazioni sono un po’ scontate (Ezekiel diviso tra l’amico e l’amata ricalca scene un po’ troppo stereotipate e ciclicamente identiche), ma questo climax ascendente ritengo sia vincente. Negli ultimi episodi rilasciati, infatti, lo sguardo si apre ad orizzonti di speranza e a sconvolgimenti imprevedibili. Staremo a vedere.
Intanto non perdetela. E… God bless the music!