Lei ha dodici anni e sembra la Venere del Botticelli, lui è un aitante quarantenne che piace molto alle donne. Si descrive come «un maschio di straordinaria bellezza; alto, lento nei movimenti, con soffici capelli scuri e un’aria tetra che non fa che accrescere il mio fascino». Una virilità fuori del comune, dice, tanto che «mi sarebbe bastato schioccare le dita per avere qualsiasi femmina adulta di mia scelta».
Lui però ama le bambine. E’ «consumato da un’infernale fornace di specifica lascivia per ogni ninfetta di passaggio» che abbia dai nove ai quattordici anni.
«Se un’estate in un principato sul mare, io non avessi amato una certa iniziale fanciulla…» Da bambino Humbert Humbert si è innamorato di una sua coetanea: «In noi lo spirito e la carne si erano fusi con una perfezione che deve risultare incomprensibile ai rozzi, prosaici giovanotti di oggi, coi loro cervelli fatti in serie». Ma, lei, ahimè, muore e lo shock gli impedirà ogni successiva storia d’amore.
Allora, in quell’estate remota, ebbe origine la crepa che percorre la sua vita. Delle donne non sa che farsene, lui vuole le bambine, vuole Lolita. Lolita delle sue brame. Così, pur di starle vicino, ne sposa la madre.
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.
Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta».
«Agogno un terrificante cataclisma.» Registra sul suo diario, «Un terremoto. Un’esplosione spettacolare. Sua madre viene eliminata in modo antiestetico, ma istantaneo e definitivo, e con lei ogni essere umano in un raggio di molte miglia. Lolita piagnucola tra le mie braccia. Libero, godo di lei tra le rovine».
Come si vede, Humbert non manca di umorismo. Questo il suo sogno, che sorprendentemente – ed è un bellissimo colpo di scena la morte di Charlotte Haze – si avvera.
Dopo averne “approfittato tra le rovine”, i due girano il mondo, mentre lui le compra lecca-lecca, giochi, giornaletti e vestiti. Baratta, promette, minaccia il riformatorio, offre soldi ma non mantiene le promesse, trova i nascondigli e si riprende i soldi. In cambio fa tanto sesso con Lolita. Lolita che piange.
Pensavo che Lolita (edito da Adelphi) fosse la storia di un’adolescente precoce e di un vecchio porco, ma quella delle bambine precoci e maliziose è una panzana che lui s’inventa per giustificarsi. Le chiama “ninfette” ed è solo un modo per non chiamarle “bambine”, un diversivo per nascondere il suo crimine. Attribuisce a tutte loro e a Lolita un’intenzione maliziosa, anche quando palesemente non c’è. Ne ha bisogno per non sentirsi schiacciato dal senso di colpa ma intanto gode del suo sadismo. Humbert vorrebbe convincere i giurati e i lettori della sua innocenza, ma qualcosa lo tradisce: non riesce a non vantarsi della sua impresa. Trova tutte le giustificazione possibili però alla fine ammette: «Perché dunque non riesco a scrollarmi di dosso questo senso d’orrore?»
Perché Lolita è una bambina e lui la violenta. Lei glielo dice fin dalla prima volta che l’«adulto nerboruto e maleodorante aveva avuto», con quella bimba derelitta e orfanella, «per tre volte nella stessa mattina, vigorosi rapporti sessuali».
«”Imbecille!” mi disse con un sorriso soave. “Schifoso! Ero una fresca margheritina, e guarda cosa mi hai fatto! Dovrei chiamare la polizia e dire che mi hai violentata. Puah, vecchio sporcaccione!”»
Poi aggiunge che vuole chiamare la mamma in ospedale: questo le ha raccontato Humbert quando è andato a prenderla al campeggio estivo, che la madre è in ospedale. Con un perfetto tempismo e l’abituale sadismo, lui le dice che non può perché la madre è morta.
Girano così per anni, senza una meta precisa, lui sembra voler seminare inseguitori immaginari, essere trasparente al mondo per poter continuare il suo viaggio incestuoso con Lolita. «Per me non aveva molta importanza dove avremmo abitato, pur di rinserrare la mia Lolita in un posto qualunque».
Humbert esige continue prestazioni sessuali e Lolita non può scampare, ma la notte piange. La loro vita «Era solo un insieme di cartine con le orecchie, guide squinternate, pneumatici consunti e i suoi singhiozzi nella notte – ogni notte, ogni notte – non appena io fingevo il sonno».
Lolita non è lo stupro di una ragazzina da parte di un vecchio sporcaccione. Humbert la sequestra come i mostri che rapiscono le adolescenti e le tengono rinchiuse in cantina per anni, solo che il suo è un sequestro itinerante. Grazie al loro continuo spostamento, le impedisce di stabilire rapporti con gli altri e le costruisce intorno della mura più alte di una prigione. E poi, anche se fuggisse, dove e da chi potrebbe andare?
In tutta la prima parte, l’uomo sembra un pazzo perso nel suo delirio, un criminale che medita il suo crimine. Poi c’è la morte di Charlotte Haze: proprio quando lui viene smascherato e ci si aspetterebbe una punizione esemplare, la donna muore lasciando la figlia nelle sue grinfie.
«Ti prego lettore: per quanto possa esasperarti il protagonista di questo libro, col suo cuore tenero, la sua sensibilità morbosa, la sua infinta circospezione, non saltare queste pagine essenziali!»
Humbert è abilissimo a conquistare la comprensione e la simpatia dei lettori e con uno straordinario capovolgimento si dipinge come la vittima. Lui è quello che ama Lolita, che l’adora, e facendo leva sul suo sentimento morboso riesce quasi a far dimenticare di essere lui il cattivo (almeno con alcuni gli riesce…). Come può un pedofilo che abusa di una ragazzina di dodici anni, per di più orfana, portare il lettore dalla sua parte e muoverlo a compassione?
Che in parte ci riesca lo dimostrano anche le trasposizioni cinematografiche del romanzo, prima quella di Kubrick (del 1962), che ne amplifica gli aspetti tragicomici, e poi Lolita di Adrian Lyne (del 1997): in entrambe si accentua il comportamento malizioso e provocatorio della ragazzina che diventa una piccola viziosa. E’ lei che prende l’iniziativa, che provoca, addirittura è lei che conduce il gioco. Eppure nel romanzo Lolita è una normale dodicenne, prelevata dal campeggio estivo, portata in una stanza d’albergo e stroncata da una dose di sonnifero.
Da notare che la Lolita di Kubrick, Sue Lyon, ha 14-15 anni al momento delle riprese (per non incorrere nella censura, nel film non viene mai precisata la sua età) e la Dominique Swain di Adrian Lyne ne ha 15-16. Lolita però ne ha dodici, signori della giuria!
Com’è possibile normalizzare il comportamento di Humbert? Nabokov ci riesce con le parole, offrendoci la prova definitiva che sono i cattivi i più amati in letteratura. In questo lo scrittore è geniale. Humbert stabilisce un rapporto intimo con il lettore, lo interpella, lo blandisce, lo seduce, vuole che resti attaccato al testo e lo raggira con le sue “acrobazie verbali vertiginosamente erudite”. “Lolita e la madre sono condannate ancor prima della loro comparsa in scena” scrive la Nafisi in Leggere Lolita a Teheran; per quanto riguarda la madre “Humbert fa a pezzi la donna nell’atto stesso di descriverla” e con il suo linguaggio forbito instaura con il lettore una complicità nel disprezzarla.
Eppure né la sua scrittura straordinaria, i suoi giochi di parole, l’umorismo e il fatto che si finga la vittima, bastano a nascondere che per due anni tiene prigioniera Lolita, usandola come la sua “schiava-bambina”.
Alla fine il criminale-poeta trova e uccide l’uomo che gli ha portato via Lolita: Claire Quilty. A questo punto ho pensato che avrebbe ucciso anche lei come nel più classico dei delitti che riempiono le pagine dei giornali: lui ammazza la donna che lo ha lasciato insieme all’uomo che gliel’ha portata via. Invece nel suo diario Humbert si mostra generoso col nuovo compagno di lei, regala soldi alla coppia e augura ogni bene a Lolita, il marito e il bambino che aspetta.
Ma è l’ennesimo inganno e in realtà alla fine “uccide” Lolita, anzi all’inizio: quando si mostra magnanimo, lei è già spacciata. Humbert-Nabokov la uccide in sordina, di nascosto, usando il suo nome da sposata che a quel punto noi ancora non conosciamo: «La moglie di Richard F. Schiller è morta di parto, dando alla luce una bambina senza vita, il giorno di Natale».
“Sono probabilmente responsabile dello strano fatto che la gente sembra non dare più il nome Lolita alla proprie figlie”, diceva Vladimir Nabokov, che ha definito Humbert: “un miserabile vanitoso e crudele”. L’idea di base di un molestatore e della sua vittima bambina che girano gli hotel come padre e figlia ritorna spesso nei suoi scritti. Mi piacerebbe indagare cosa pensasse Nabokov del suo romanzo, ma questo sarebbe un altro capitolo. Dopo averlo letto, a poco a poco ho superato il disagio e ho capito che Lolita è una trappola. E’ il racconto del carnefice, è dalla sua parte, noi sentiamo solo la sua voce. Vuole sedurre Lolita come vuole sedurre noi lettori (che siamo anche i giurati). Lolita ce l’ha fatta, è riuscita a fuggire, ma lui l’ha uccisa. Ora sta a noi tirarcene fuori, eludendo il suo canto.
I romanzi, la letteratura non servono, per dare giudizi morali sui personaggi delle storie narrate. Per questo ci sono già i preti, i moralisti della TV, gli insegnanti, i genitori… La Letteratura ci serve a descrivere e capire un pochino meglio quella creatura oscura, tenebrosa e malata, che è l’essere umano. Non leggo un romanzo, per avere il malcelato piacere di ergermi a giudice dei suoi personaggi. Un romanzo è per me prezioso, quando mi aiuta a capire qualcosa di più dell’essere umano, cioè di me stesso.
Credo, Vincenzo, che la letteratura sia una lente d’ingrandimento sull’animo umano. In questo siamo d’accordo. Leggere un romanzo ci fa emozionare in tanti modi e perché no, parteggiare per qualcuno, piuttosto che per un altro. E’ anche questo il bello. E’ poter vedere il cattivo, seguirne il comportamento e gli intrighi come mai potresti fare nella vita e anche detestarlo. O no?
Fin da quando leggiamo (o guardiamo) Cenerentola e Biancaneve, sappiamo che perfide streghe e sorellastre minacciano di uccidere le nostre eroine. Il male esiste. Poter riconoscere i mostri che si insinuano tra noi è già qualcosa. D’altro canto hai letto cosa diceva Nabokov di Humbert?