Una mamma per amica Stagione 8

È passato più di un mese da quando, il 25 novembre scorso, Netflix è riuscito nel miracolo più agognato e insperato del mondo delle serie tv: riportare sullo schermo Una mamma per amica.
Correva l’anno 2007, quando David S. Rosenthal (co-produttore della serie) chiudeva baracca e burattini nell’immaginaria cittadina di Stars Hollow. Un compito impietoso, considerato l’abbandono chiacchierato – e mai del tutto spiegato – della mente creatrice Amy Sherman-Palladino che, dicendo addio alla serie insieme al marito co-autore Daniel Palladino, lasciava sulla sua strada macerie e resti di uno spettacolo grandioso. Troppo difficile eguagliare il suo spirito, impossibile mantenere lo stesso sapore, lo show aveva ormai perso i suoi ingredienti originari.

È così che Gilmore Girls (questo il titolo originale) si è andato bruscamente spegnendo. Nemmeno il tempo di un lento deperimento, nemmeno l’atto caritatevole di regalare ai fan un finale degno di questo nome. Rosenthal calava frettolosamente il sipario su un microcosmo che per sei stagioni (la settima fingiamo che non esista) aveva appassionato un’intera generazione. Non c’erano porte da aprire sul futuro, né spifferi del passato a risvegliare fantasmi; Rory si laurea, Lorelai ritrova l’amore. Auf wiedersehen, goodbye, tanti saluti. Una serie culto senza un finale, milioni di fan che non possono darsi pace.

Amy Sherman-Palladino

Così è stato per nove lunghissimi anni, il tempo necessario a risvegliare in Amy – l’inimitabile Amy – il desiderio di riprendere in mano la sua creatura. Una reunion del cast ad Austin, Texas, nell’estate del 2015. Poi l’annuncio shock, la notizia più bella dopo il revival di Twin Peaks: il ritorno, in pompa magna, delle Gilmore Girls. Per un anno, quasi, ci siamo spulciati i blog di tutto il mondo in cerca di ulteriori informazioni, finché Netflix, sempre più re Mida dal fiuto imprenditoriale, ha annunciato la data d’uscita in contemporanea mondiale, segnando un boom di abbonamenti, con la concorrenza già pronta a fare le valigie.

Ecco che il 25 novembre, Una mamma per amica. Di nuovo insieme (Gilmore Girls: A Year in the Life) è approdato sulla piattaforma streaming. Quattro episodi da 90 minuti, ciascuno collocato in una precisa stagione dell’anno. Siamo a cavallo tra il 2015 e il 2016, in estrema contemporaneità con i tempi della messa in onda, a conferma della marca forse più caratterista della serie, quell’incredibile sensazione di essere sul luogo, un qui e ora difficilmente riscontrabile altrove (vedi il trailer).

Gli elementi innovati – a partire dai colori sino all’inserimento di mirabolanti effetti pro domo Netflix – non hanno oscurato, a dispetto delle critiche, la genuinità di uno show che finalmente, quando tutto sembrava perduto, ha saputo conquistarsi la sua fine gloriosa. Quattro parole – che qui non sveleremo – per concludere finalmente, in un cerchio perfetto nella sua assurda imperfezione, una vicenda delicata, spassosa, continuamente citata nella cultura di massa coeva.

L’effetto nostalgia, quel tanto criticato sguardo all’indietro che certi critici pomposi hanno etichettato come operazione furbescamente orchestrata, si presenta, nella sua completa ed evidente riuscita, al pari di un ingrediente primario. Riportare in vita le Gilmore Girls significa dotarle del loro passato, di ciò che dal 2000, quando tutto era ancora agli inizi, ha caratterizzato le loro vite bizzarre, rendendole brand di successo da stampare su magliette e tazze da colazione. Sherman-Palladino l’ha sempre saputo ed è per questo che quando è uscita di scena tutto si è sgretolato sotto il peso di una discontinuità che faceva acqua da tutte le parti.

Sin dalla prima scena, con la neve che cade sull’idilliaco paesino del Connecticut, ci ritroviamo catapultati a diciassette anni fa, quando con i jeans a vita bassa e le magliette a righe larghe guardavamo la nuova serie USA proposta da Mediaset nel periodo estivo. È come addentare la madeleine proustiana che innesca quel cortocircuito tra realtà e finzione che caratterizzava i giorni della gioventù in cui le Gilmore sembravano essere due esilaranti vicine della porta accanto.

E così a questa figlia trentaduenne si sovrappone la Rory (Alexis Bledel) del tempo, con i suoi 16 anni pieni di timidezza e intransigenza. Una ragazza talmente modello, da generare quasi insofferenza, rinchiusa tra i suoi giudizi morali e le crisi di nervi per un voto (comunque altissimo) preso al compito di letteratura. Lei che ancora in fasce è stata portata in un paesino da fiaba – eccola, la famosa Stars Hollow in cui tutti si vogliono bene – da una madre adolescente e ribelle alle regole del ricco “clan” familiare. Lorelai (Lauren Graham) voleva per Rory un destino diverso, lontano dalla compostezza rigida e impostata delle tradizioni Gilmore, confinate da secoli nell’alta società di Hartford.

E così la fa crescere a Stars Hollow, tra zucche giganti e bizzarri personaggi di contorno. Sono una mamma e una figlia che sviluppano un rapporto speciale, a tratti inverosimile persino per chi, nella vita reale, è separato dallo stesso breve gap generazionale.

Quel che funziona, al netto di un plot apparentemente stringato, è l’assoluta verosimiglianza dei fatti che, per non si sa quale miracolo televisivo (compiuto dalla Palladino) riescono ad apparire normali anche quando sfiorano il sensazionale. Così era per le mille margherite gialle regalate a Lorelai dall’allora fidanzato (Max, il professore della figlia), così è ora, nel revival, per il momento musical sulle note di With a Little Help from My friends dei Beatles.

Rory, la splendida Rory dalla vita lineare e intransigente, avviata a una carriera da giornalista rampante, si scontra ora con i problemi della contemporaneità. Non ha un lavoro, non ha una casa, vivacchia qua e là facendo da amante all’ex fidanzato ricco (Logan, alias Matt Czuchry). È diventata umana, tanto che si concede la prima avventura di una notte a trentadue anni suonati. La stessa Lorelai, che ha perso un po’ il mordente ma resta lo stesso amabilmente esuberante, inizia a nutrire i dubbi legati all’età, a soffrire della morte del padre (interpretato da Edward Herrmann, deceduto due anni fa), a desiderare una famiglia vera con Luke (Scott Patterson). È questo il segreto di Una mamma per amica, andare al passo con i tempi adattando i caratteri e le situazioni alle congiunture, forse edulcorate, ma pur sempre storico-umane.

Alexis Bledel e Matt Czuchry

Non è stato forse così per la vita sentimentale delle due protagoniste? Un fidanzato per ogni fase della vita, da quello dolce e premuroso (Dean per Rory, Max per Lorelai) a quello fascinoso e scapestrato (Jess e Jason, somiglianze persino nei nomi), sino all’incontro con i due archetipi della stabilità rispettivamente economica e amorosa: Logan e Luke. E ancora il rapporto di Lorelai con i genitori, nemici amatissimi abbandonati e ritrovati per convenienza, profondamente rimpianti nonostante i dissapori. Un rapporto che muta al pari di ogni relazione umana, con la profondità e la leggerezza che solo il riscoprirsi, alla luce di nuovi tempi – e di altre necessità – può comportare.

È questo ciò che ha permesso a Una mamma per amica di diventare un cult. Sì è vero – come afferma la solita critique spocchiosa – che la serialità, oggi, ci ha abituato a ben altro. Ma il ritorno a Stars Hollow, lungi dall’essere una patetica resa di fronte a prodotti migliori, è stato il tratto che mancava per chiudere il cerchio a un’esperienza che ha segnato, forse più di altre, il destino e la forma di certe serie tv, dai riferimenti ossessivi alla cultura pop, all’immagine della self-made woman che cresce una figlia in giovane età svolgendo un lavoro suo, lontano da quello previsto dall’altolocata posizione sociale.

Gilmore Girls, come disse il critico televisivo Sepinwall, al suo meglio era un concentrato di felicità. Oggi abbiamo Westworld, Breaking Bad e altri sensazionali prodotti di primordine, ma quando la semplicità non era un lusso, alla televisione non si poteva chiedere di meglio. Grazie Palladino per questo revival, ne avevamo davvero bisogno.

Ginevra Amadio

Ginevra Amadio

Nata a Roma, laureata in Lettere Moderne, amante di cinema, arte e buoni libri, non riesco a immaginare a quale di queste cose potrei rinunciare. Oltre a collaborare con varie testate online, scrivo qua e là qualche appunto che nei momenti di esaltazione oso definire racconto.

2 commenti

  1. Credo che questo revival sia tanto una chiusura quanto una strizzata d’occhio al futuro (la rivelazione dell’ultima puntata ne è la prova), in perfetto stile Palladino, brillante, assurda eppure così familiare da appartenere in qualche modo a tutti gli spettatori. Le quattro puntate sono un costante omaggio a Edward Herrmann e alle passate stagioni, ma al tempo stesso sono, come hai giustamente sottolineato, super contemporanee. Imperdibile per i fan, godibile per gli spettatori “nuova generazione” alla ricerca di qualcosa di diverso dalla programmazione degli ultimi anni.

    • Questo, cara Marzia, è proprio ciò che mi è piaciuto di più. Il riuscire a coniugare passato e presente, lasciando un’apertura (forse ipotetica, forse reale) su un futuro tutto da scrivere. I tempi sono cambiati, e anche le Gilmore, forse, non sono più le stesse. Non potevamo certo pretendere da loro un’ibernazione di corpo, mente e sentimenti. Il bello della serie è sempre stato, come scrivo nell’articolo, l’andare di pari passo con lo scorrere del tempo. E ci sono riuscite alla grande, ancora una volta. Uno show davvero imperdibile, hai ragione, anche per le nuove generazioni.

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