Intanto il titolo, L’avversario. Inizialmente non mi sembrava attinente alla storia di un uomo che nel 1993 uccise moglie, figli e genitori nello stesso giorno, tentando poi di suicidarsi senza riuscirci. Poi a pagina 17, parlando del momento della morte dei suoi genitori per mano del loro stesso figlio, Carrère scrive:
“Avrebbero dovuto vedere Dio e al suo posto avevano visto, sotto le sembianze dell’amato figlio, colui che la Bibbia chiama Satana, l’avversario”.
Facendo una ricerca in internet ho imparato che la parola avversario è di origine ebraica e si trova in molte parti dell’Antico e Nuovo Testamento. Questo ha dato tutto un altro significato al testo che stavo leggendo. Come se “lui”, l’angelo disobbediente, sotto le sembianze di Jean-Claude Romand, fosse il vero protagonista della storia.
Diciamo che se fosse vero che il male esiste sotto forma di uno spirito che si impossessa di noi e ci fa soffrire o compiere delitti, guerre, violenze di ogni genere, sarebbe tutto più semplice. Perlomeno nel dare un senso, una spiegazione definitiva a tutto quello che di “male” compiamo verso noi stessi e gli altri.
Pur essendo il resoconto fedele di fatti realmente accaduti, questo libro non è una biografia, ma un testo che si può definire fiction, anche se Carrère in un’intervista afferma di non volerne dare una definizione precisa.
Alla domanda: “Come definirebbe i suoi libri?” risponde: «Non lo so, preferisco non dargli un nome. Sono libri, è basta. Non li chiamerei romanzi, perché il romanzo prevede invenzione, ma neanche non-fiction, che mi sembra abbia una connotazione negativa. Adesso si usa auto-fiction, considerandolo un genere nuovo. Ma io penso che questa sia una delle più antiche modalità di scrittura e anche uno dei motivi per cui si scrive. Raccontare la propria esperienza, cosa si è imparato dalla vita, la nostra e quella degli altri”.
La storia è raccontata in prima persona dallo stesso Carrère. Tutto è vero, fatti, nomi, date, ma c’è sempre lui, Carrère e la sua impossibile domanda: perché una persona normale a un certo punto diventa un “mostro”?
Jean-Claude Romand è un uomo stimato da tutti, padre e marito amorevole, ma per diciotto anni ha fatto finta di essere un medico, ha sperperato i soldi che amici e parenti gli avevano affidato affinché li utilizzasse in investimenti sicuri e infine ha fatto una carneficina delle persone a lui più vicine. E mentre leggiamo, anche noi lo vogliamo capire perché lo ha fatto e ci identifichiamo totalmente nella voce narrante. Anche noi che ogni giorno ci domandiamo perché il male avviene, perché lo compiamo, perché ne siamo vittime e perché ne sono vittime milioni di persone.
Carrère ne è addirittura ossessionato e per raccogliere materiale e scrivere il libro – un piccolo libro di 161 pagine – ci mette sette anni. Vuole entrare nella mente di Romand e per farlo deve mettersi al pari con lui, non deve considerarlo come tutti un mostro. Lo scrittore-narratore non lo considera né diverso, né peggiore di sé. Afferma di vedere in Romand “Non un uomo che ha fatto qualcosa di terribile, ma uno a cui è accaduto qualcosa di terribile, vittima sventurata di forze demoniache”.
Carrère ha affermato di esserci ispirato al Truman Capote di A sangue freddo – il resoconto dettagliato del quadruplice omicidio della famiglia Clutter – quando ha cominciato a pensare al libro.
“Tutte le teorie di Capote sulla non fiction novel mi hanno aiutato a trovare questa forma che è molto libera e nella quale mi sento molto a mio agio”.
“Però a un certo punto ho dovuto passare alla prima persona singolare. Cosa che Capote non fa, anzi, al contrario: lui si tira fuori, pretende una grande obiettività, che naturalmente non ha. Fa finta di non essere implicato, ma non è vero, è una gran balla. Io ho scelto – o forse non si è trattato di una scelta, quanto di un passaggio obbligato – di entrare in scena. Di entrare anche io dentro”.
Tutta la vicenda di Romand comincia con una prima bugia detta in famiglia quando era studente del secondo anno della facoltà di Medicina. Non ha sostenuto un esame e lo ha tenuto nascosto. Da lì, da una prima piccola bugia facilmente rimediabile nascono tutte le altre. Fa finta di sostenere tutti gli esami fino a laurearsi, infine dice di essere stato assunto in un istituto di ricerca a Ginevra. Intanto si è sposato e ha fatto due figli.
Ogni giorno parte da Ferney-Voltaire, vicino a Lione, e fa finta di recarsi a Ginevra. Invece passa il tempo nei bar di Lione, o a passeggiare nei boschi, oppure in macchina a leggere riviste. Nessuno ha mai dubitato di niente. Neanche del fatto che non avesse dato a sua moglie il numero di telefono del suo ufficio. A casa portava un buono stipendio e per riuscirci ha attinto per anni al conto in banca dei genitori, del quale aveva la delega.
Né loro si meravigliavano vedendo assottigliarsi il conto: pensavano che il figlio li avesse investiti altrove. Lo stesso successe con altri parenti.
Poi, dopo qualche anno si innamorò e cominciò a spendere somme ingenti per andare ad incontrare la sua amante negli hotel di lusso a Parigi. La storia d’amore tra i due finisce, ma lei ha talmente fiducia in lui, da affidargli i suoi 900 mila franchi affinché li investa per farli fruttare. Romand se ne servirà per tirare avanti mantenendo l’alto tenore di vita della famiglia. Alla quale, come a tutti gli amici e parenti e alla stessa amante, aveva raccontato di essere malato di cancro. Questo per potersene stare a casa senza dover andare ogni giorno a passare la giornata da qualche parte.
Passano i mesi e verso la fine dell’anno del 1993, Romand capisce che è alla resa dei conti. I soldi in banca stanno finendo e lui non ha nessuna possibilità di rimpinguarli. Va a Parigi per incontrare un’ultima volta la sua amante: le dà appuntamento per il 9 gennaio per restituirle tutti i suoi soldi. Al ritorno a casa decide che si ucciderà entro quella data. Ma la sera dell’ultimo dell’anno al ritorno da una cena a casa di amici con moglie e figli, Jean-Claude pensa che non può farlo.
Non può lasciarli con il suo suicidio, nudi di fronte al mondo con quella orrenda verità sulla sua doppia vita che li marchierebbe per sempre. Da qui in poi il racconto di Carrère è quello di un destino che si compie. Romand si comporta come un automa, compra una carabina con relative pallottole e un dissuasore elettrico, ma ancora non dice a se stesso che è “per ucciderli”. Li compra come se servissero a qualcos’altro.
E poi ci sono le terribili pagine in cui, durante il processo, Romand racconta come uccide la moglie e i figli e subito dopo i suoi genitori… come dopo aver ingerito del barbiturici dà fuoco alla casa e si sdraia sul letto accanto alla moglie morta da parecchie ore. Ma mancandogli il respiro corre alla finestra e la apre. Lo salvano. E’ costretto a confessare tutto.
Nell’ultima parte del libro c’è la descrizione della sua vita in carcere. La perplessità degli psichiatri rispetto al suo comportamento sempre calmo e misurato come se recitasse ancora la parte del Romand medico, buon padre di famiglia.
Infine c’è il resoconto di alcune parti del processo. Qui la situazione diventa davvero spiazzante per il lettore. Si viene a sapere in tribunale che la maestra di uno dei figli di Romand ha iniziato una relazione con l’assassino, con tanto di lettere d’amore e poesie di lui. Ci sono dunque persone che continuano ad avere fiducia in Romand persino dopo quello che ha commesso. Anche una volontaria del carcere, interrogata dal pubblico ministero, dimostra comprensione per l’assassino. Come pure un altro volontario che diventa suo amico e lo va a trovare ogni settimana. Questi due volontari, cattolici ferventi, hanno così tanta fede nel suo ravvedimento, da invitarlo a fare una catena ininterrotta di preghiere con loro.
Carrère ne è scandalizzato. Si chiede se non sia la sua consueta strategia della menzogna, ma poi dichiara: “Sono sicuro che non stia recitando per ingannare gli altri, mi chiedo se il bugiardo che c’è in lui non lo stia ingannando… non sarà caduto ancora una volta nella rete dell’avversario?”.
Romand crede al proprio ravvedimento o è di nuovo il diavolo a farglielo credere e a spingerlo in questa farsa? E’ veramente L’avversario l’artefice del male nel mondo? O forse Satana siamo noi, che mentiamo a noi stessi e di conseguenza agli altri, che facciamo guerre, stermini e intanto troviamo spiegazioni che ci assolvono? Il male è compiuto da persone banali, normali, che la sera dopo aver ucciso tornano a casa stanchi e guardano la TV.
Lontano anni luce dalla grandezza del rimorso di personaggi non reali ma emblematici come un Raskolnikov di Delitto e castigo, o di un Ivan de I fratelli Karamazov, oppure di Padre Cristoforo de I Promessi Sposi che si porta dietro per tutta la vita il pane del perdono per non dimenticare il male che ha compiuto, Carrère afferma che se avesse inventato una storia del genere e poi l’avesse proposta al suo editore gliela avrebbe rifiutata perché inverosimile.