Come sugli alberi le foglie di Gianni Biondillo

Come sugli alberi le foglie di Gianni Biondillo

Una generazione di ragazzi che all’inizio del ‘900 rivoluzionarono l’arte.

C’è Umberto, con la sua inventiva e le sue incrollabili convinzioni, unite a un pizzico di snobismo. C’è Carlo, più semplice, quasi volgare, ma non meno cocciuto. Che ci tiene alla sua arte e alla sua vita. C’è Filippo, il visionario trascinatore, l’intellettuale che afferra tutti nel suo vortice e non guarda in faccia a nessuno. Poi Luigi, con la sua musica contro gli schemi… e infine Antonio, che per metà appartiene al suo paese e alla sua famiglia e per metà è più avanti di tutti, straniato dalla sua creatività, dalla sua passione per il futuro.

Antonio è Antonio Sant’Elia. L’architetto italiano più geniale del primo Novecento, che ha lasciato disegni e progetti bellissimi, mai realizzati. Perché Antonio è morto a soli 26 anni, a quota 85, in trincea, nel 1916. La sua matita non ha più potuto scorrere su un foglio per tracciare quei sogni urbani dove la vita e il flusso delle auto scorrono senza mai fermarsi, efficienti, pratici e al tempo stesso di una bellezza che incanta ancora oggi.

Come sugli alberi le foglie di Gianni Biondillo
Antonio Sant’Elia. Stazione di aeroplani e treni ferroviari con funicolari e ascensori, per la città futurista. 1914

Come sugli alberi le foglie

L’uomo che progettava qualunque cosa, dal cimitero alle case popolari, dalle industrie alle chiese, è stato uno dei tanti ad aver perso la vita in quell’ “inutile strage”. Inutile come tutte le guerre, è stata una strage che ha quasi annientato una generazione, senza peraltro che la successiva ne traesse alcun insegnamento.

Come sugli alberi le foglie, il bel romanzo di Gianni Biondillo, edito da Guanda, parla tanto della Grande Guerra come di quel manipolo di artisti, pazzi, visionari e ingenui, che tanto la promossero e che ne furono tragicamente segnati. Umberto Boccioni e Carlo Carrà, “il marxista, con il suo sguardo tenebroso e il physique du rôle dell’artista maledetto” e “l’anarchico, tracagnotto, grezzo, dalle mani grosse e il cervello fino”. E poi Luigi Russolo, con i suoi intonarumori apprezzati anche da Stravinskij. Ma soprattutto Filippo Tommaso Marinetti, il poeta, la guida morale del gruppo più all’avanguardia d’Italia e forse d’Europa, che si riunisce nella sua “casa rossa”. L’uomo che con le sue teorie ha convinto gli artisti più brillanti del movimento da lui promosso, il Futurismo, ad arruolarsi in massa, volontari, per dare l’esempio, per trascinare, per buttarsi a capofitto come la civiltà moderna richiede.

Marinetti. Come sugli alberi le foglie, il bel romanzo di Gianni Biondillo
Filippo Tommaso Marinetti. Manifesto Futurista. 1909 – Motociclista di Mario Guido Dal Monte

Il romanzo di Gianni Biondillo spazia nei luoghi e negli anni. Segue lo sviluppo di Sant’Elia dalla prima mostra da lui visitata fino alla morte sulle montagne. Così vicino a una Trieste per lui tragicamente irraggiungibile. L’autore alterna i punti di vista e tratteggia il ritratto di un’epoca attraverso questo gruppo di giovani artisti, apripista sotto tanti aspetti.

Il Futurismo, come tutte le avanguardie, ha infatti avuto l’onere e l’onore di aver anticipato i tempi. La celebrazione della città, il mito della velocità, il desiderio di uscire dalle accademie per proiettarsi verso il futuro rifiutando, talvolta troppo ciecamente, i miti del passato. Tutti gli ideali del Futurismo sono stati poi adottati, in modo più o meno consapevole, dal resto della società. Dimenticando però quello che Biondillo fa invece trasparire chiaramente. Ovvero che il duro confronto con la realtà della guerra aveva donato a quegli stessi artisti una visione ben diversa di quella “igiene del mondo” che tanto avevano invocato.

Carlo Carrà. Verso il tramonto. 1927

Il disincanto si era insinuato perfino in Boccioni. Morto per una brutta caduta da cavallo, una perdita immensa per l’arte italiana, così assurda da sembrare inventata. Lo stesso disincanto e disinteresse, se non avversione, lo ritroviamo in Sant’Elia, sebbene decorato dalla medaglia d’argento al valor militare. Antonio si ritrova a chiacchierare con i suoi commilitoni che scrivono lettere struggenti a casa e che leggono poesie di altri soldati, che a Biondillo non serve neppure citare apertamente. Perché quei versi “brevi, asciutti, scarnificati”, che parlano di un “porto sicuro” e di “paesi straziati” sono, si spera, incisi nella memoria di ogni lettore, memore di Ungaretti fin dal titolo del romanzo.

Biondillo riempie le sue pagine di citazioni che strizzano l’occhio al lettore e che svelano contemporaneità dimenticate, come l’incontro (sarà vero? Inventato? Ma poi che importanza ha?) di Sant’Elia con Salgari all’insegna della comune passione per un futuro fatto di treni e macchine volanti. Al di là di queste gustose comparsate e del racconto anche ironico delle beghe futuriste, quello che traspare sopra ogni cosa è l’ammirazione dell’autore per l’architetto, con cui condivide la professione. Un mestiere che vede lontano, un’arte che “deve sapere anticipare la tecnologia” perché “ha tempi più lunghi, dura di più. Per questo deve prevedere il cambiamento, indirizzarlo”. Non a caso Sant’Elia progetta una stazione ferroviaria che è anche aeroporto, su tre piani stradali, collegati fra loro da ascensori, in largo anticipo sui tempi.

Giacomo Balla. La guerra. 1916

Gianni Biondillo però non dimentica mai la guerra, una faccenda brutale, imbevuta di morte, anche se motivata dai nobili ideali di patrioti come Cesare Battisti.
In tempi di divisioni campaniliste fa bene rileggerne la storia. Ricordare il sacrificio di questi eroi normali, uomini nati in un’epoca in cui i confini erano ancora più forti della cultura, diversamente da come (dovrebbe) essere oggi. Come sugli alberi le foglie stavano i nostri soldati in trincea e quella stessa impressione di fragilità e precarietà viene trasmessa da ogni pagina, grazie alla continua alternanza tra il prima e il dopo.

Il patriottismo, le ragioni di una guerra, le ragioni dell’arte, il cameratismo, la morte di tanti ragazzi, ridotti a numeri di un’ecatombe: l’autore sembra voler aggiungere troppi spunti ma alla fine li domina tutti, forte di una scrittura asciutta che sa imitare i toni dell’epoca quando necessario. E sa anche sfiorare la poesia: come nel personaggio di Clio che accompagna Antonio sin dall’infanzia e ne piangerà la morte.
“Lei lo ha sempre saputo, lo ha sempre detto. […] Lei capirebbe come sia possibile che nel fango e nel sangue si possa ancora scrivere un canto d’amore”. Perché Clio capisce l’arte e gli uomini, e alla fine riuscirà a capirli anche il lettore.

Marzia Flamini

Marzia Flamini

Prima di approdare alla Finarte, sono stata assistente in una galleria d'arte a Via Margutta, guida turistica e stageur fra musei, case d’asta e la rivista ArteeCritica. Vivo circondata dai libri, vado al cinema più spesso di quanto sia consigliabile e viaggio appena posso.

2 commenti

  1. Capperi! Questo libro non me lo perdo. Grazie per la bella recensione. Il futurismo è stato un movimento artistico culturale fondamentale, di cui da noi in Italia si parla poco e malvolentieri, perché, come sappiamo, il futurismo è sempre stato accusato di aver fiancheggiato il fascismo. Non saprei dire se il futurismo abbia fiancheggiato il fascismo. So per certo che molti artisti e pensatori hanno avuto grandi simpatie per il fascismo: Ezra Pound, Norberto Bobbio, Giovanni Gentile, Indro Montanelli e potrei continuare a lungo… Penso che sarebbe veramente ora che in Italia si riconosca il ruolo fondamentale del futurismo nella cultura del novecento e si smetta di condannarlo per le sue simpatie verso il fascismo.

    • Caro Vincenzo, da storica dell’arte sono convinta dell’assoluta importanza del futurismo come movimento artistico, cui non a caso tanti artisti attivi a Parigi nei primi anni del ‘900 guardarono…certamente sul giudizio diffuso su questi grandi artisti pesa il macigno dell’infatuazione per il fascismo, innegabile, a partire da Marinetti. D’altra parte non si può non contestualizzarla all’interno di un clima culturale ben preciso: la rottura cui il futurismo ambiva era contro un’arte e un’immaginario “ufficiale” ancora legato a valori ottocenteschi che stavano per essere spazzati rapidamente dalla storia, anche attraverso la Prima Guerra Mondiale…Forse la posizione più equilibrata verso i futuristi è proprio quella di apprezzarne la produzione artistica e adottare un maturo filtro critico sulle posizioni politiche. Letture come questa e le mostre che fortunatamente cominciano a girare possono senz’altro aiutare!

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