Né uomo, né donna, né angelo, né diavolo, né ali, né peli, né coda… comincia con una serie ininterrotta di negazioni parossistiche la sorprendente raccolta di racconti di Andrea Alessio Cavarretta.
Il testo potrebbe senz’altro definirsi un “romanzo a racconti” perché ogni singola storia è la tappa di un viaggio, una cartolina dell’autore da un luogo della sua anima e del mondo, che lui ha appena scoperto e che ci mostra usando toni diversi e contrastanti: il surreale, il metafisico, il giallo, addirittura il thriller, e poi la commedia, il dramma e anche, perché no, un sofferto realismo.
Il testo si legge quasi come una partitura musicale. I primi sette racconti sono una cavalcata senza fiato nell’assurdo, tra i vizi e le ossessioni di questo mondo fatto di selfie, che vengono riconosciuti e cristallizzati, ma non stigmatizzati. Di fondo, forse, c’è una domanda: si può essere diversi da così? Diversi da chi deve mettere su Facebook qualsiasi cosa, perfino un delitto? Da chi pur di avere successo è disposto a fare un hamburger dalle carni della propria madre?
Si? No? Il lettore darà la sua risposta…
All’ottavo racconto, inaspettatamente, l’autore, forse consapevole di averci sballottato su una giostra, apparentemente senza controllo, si rivela, e con toni morbidi, lenti, prende una parte di sé davvero intima, sofferta e malinconica e la regala: “(…) io e il mio lui (…) siamo andati erranti per innumerevoli uffici, provando irripetibili sensi di disagio individuale, una sensazione di peccato non proprio originale che riaffiorava sempre con un misto di paura, perché qualcuno ti avrebbe potuto dire, con voce roboante, davanti a code interminabili di persone: tu inutile essere destinato all’incompletezza perenne cosa vuoi fare? (…)” Solo sposarmi ad Oslo, con il mio amore, avrebbe risposto Andrea.
C’è sofferenza e forza in questa “pausa realistica” di Alessio Cavarretta (è il suo cognome), ma c’è anche ironia, malinconia, divertimento.
Quindi, forse per il pudore di essersi esposto troppo, ecco che dal racconto numero nove, “troppo tondo”, ci riporta letteralmente nel visionario, nel nonsense, in una cavalcata finale, dove perfino gli animali hanno voce e dove la conclusione più sana di una giornata non può essere altro che mandare una purificante lavatrice.
Ci sono dei temi che ritornano in questa “centrifuga”, la vecchiaia, l’autoreclusione, i rapporti irrisolvibili tra genitori e figli, la follia. E anche lo stile, per quanto diverso – rapido, nervoso, a volte inquietante, a volte nostalgico e buffo – sembra pronto per una messa in scena teatrale.
Sarà la sua vocazione mai sopita di drammaturgo, che appunto mette in scena se stesso, rivelandosi e nascondendosi, lasciando il lettore/spettatore con più di un interrogativo aperto sulle storie e sulla vita. E proprio per rispondere a qualcuno di questi interrogativi, ho posto all’autore la fatidica domanda.
Due domande all’autore
Allora Andrea mi riveli quanto di segreto è nascosto in queste pagine, quello che il lettore, senza un aiuto da parte tua non potrebbe mai capire?
“Ti piacerebbe” mi risponde, sorridendo sarcastico.
Lo guardo, pietosa, e allora lui, voltandosi un attimo indietro, come se avesse visto un’apparizione mi fa: “Sono tanti i segreti disseminati all’interno del libro, ma vorrei che fossero i lettori a trovarli e che vi trovassero anche i loro, di segreti…”
Uhmm, allora preferisco non insistere, dovessi scoprire di me qualcosa di troppo inquietante…
Oltre ad essere drammaturgo, sei stato anche un attore. E’ più difficile scrivere o recitare?
Ci si mette in gioco completamente tanto nella scrittura quanto nella recitazione. Ma più che in gioco, sia scrittore che attore devono essere disposti a mettersi a nudo, se vogliono arrivare profondamente al pubblico.
Classe 1972, romano d’adozione, Andrea Alessio Cavarretta, oltre che drammaturgo e poeta, è addetto stampa, consulente letterario, speaker radiofonico, nonché creatore della corrente culturale Kirolandia. Centrifugo senza rispetto è la sua prima opera.