“E’ di un linfoma che è morto Silvio d’Arzo nel 1952, all’età di trentadue anni… Quando la malattia si è manifestata, aveva al suo attivo alcune raccolte di versi e delle opere in prosa, fra cui un romanzo – niente d’indimenticabile. La vita non gli lasciava che un pugno di mesi di supplizio per produrre il suo capolavoro, il libro che portava in sé senza conoscerne una frase, forse senza neanche sospettarne il tema.
Immagino che abbia tagliato i ponti col mondo e si sia sistemato come un trappista per mettere su carta Casa d’altri: sessanta pagine toccate dalla grazia, abbaglianti di semplicità e delle quali è difficile credere che siano state scritte col fiato della Bestia sul collo. Destini solo abbozzati, ma tutti con una portata universale, un suicidio appena suggerito, la cui tragica banalità scuote tutto il senso che sei riuscito a mettere nella tua breve vita spuntata fuori dal nulla. Se ne esce strizzati e gelosi, pronti a dare il proprio regno e non solo, per scrivere un simile libro – e poi ci si torna su, se ne addomesticano le immagini come le curve di un sentiero, le parole come alberi o pietre, e si continua a non capire come un moribondo abbia potuto scrivere tutto ciò”.
E’ quanto dice Emmanuel Venet – medico e scrittore – di Casa d’altri che, se non bastasse, è stato definito da Montale “un racconto perfetto”.
“Un’assurda vecchia: un assurdo prete: tutta un’assurda storia da un soldo” è il pitch che ne fa il suo autore Silvio D’arzo, che in realtà è uno dei tanti pseudonimi di Ezio Comparoni: emiliano, figlio illegittimo, profondo conoscitore ed estimatore della letteratura angloamericana, morto di leucemia a 32 anni.
In Casa d’altri, Silvio D’Arzo narra di un prete di campagna a cui viene l’ossessione per una vecchia, una che si è da poco trasferita nel minuscolo paese di Montelice: sette case, due strade di sassi, un cortile che chiamano piazza. “E che succede?” “Niente, v’ho detto. Non succede niente di niente” … “Solo nevica e piove. Nevica e piove e nient’altro”. Il motivo è che la vecchia lo evita. Non va in chiesa e se ne sta con la sua capra al fiume, al tramonto, a lavare gli stracci.
Finché un giorno si reca da lui e gli chiede una cosa. Il prete le risponde accalorato, arrabbiato. Ma poi si rende conto che quella domanda era una specie di trabocchetto per vedere la sua reazione. Per indagare il prete stesso, e che la domanda che preme alla vecchia lavandaia non era quella. Così il prete di campagna vuole assolutamente scoprire il segreto della donna. Una che in vita sua non è mai andata dal medico, neanche quando il mulo dei carbonai le ha dato un calcio alla schiena. Una che possiede solo una capra e fa una vita da capra.
La vecchia diventa per lui un enigma e una fissazione. E quando alla fine questo segreto lei glielo svela e gli pone la sua terribile domanda, lui resta muto, non le dice niente. Prova vergogna di tutte le parole del mondo e resta muto. Proprio come lei aveva previsto. Mentre sta “per venire la morta stagione, gli sterpi secchi, le passere uccise dal freddo, la notte che arriva alle sei, i fossi ghiacciati, i vecchi che se ne muoiono in fila…”.
Grazie per la bella recensione, che ci fa ricordare questo capolavoro. Se si vogliono comprendere le radici spirituali di questo bellissimo racconto, mi permetto di suggerire la lettura di “Lettera a Diogneto”, un testo anonimo della fine del II secolo, riscoperto “miracolosamente” nel 1436 da Tommaso d’Arezzo, un chierico, che si trovava a Costantinopoli per imparare il greco. “A Diogneto” è uno dei pochissimi testi, che ci permette di gettare una luce sul Cristianesimo precostantiniano e sulle radici spirituali dell’Occidente, che oggi sembrano irrimediabilmente perse.
Grazie Vincenzo! 🙂 Anche del suggerimento. Pensa che volevo leggere la prefazione di Eraldo Affinati a una vecchia edizione del libro, ma è stato impossibile trovarla. In effetti c’è un che di misterioso, ma non ho voluto svelare più di tanto per non rovinare il piacere della lettura.
Grazie Tiziana. Sempre un piacere leggerti e trovare spunti nella delicatezza delle tue tessiture.
Grazie cara Antonella 😉