L’arminuta Donatella Di Pietrantonio

Foto di Vivian Maier

“Sto leggendo un romanzo che finalmente mi emoziona come non mi succedeva da tempo” mi ha detto un’amica. “Mi piace, non tanto per la storia, che tutto sommato è banale e prevedile, quanto per la scrittura. Ti è mai capitato che un romanzo ti piaccia più per come’ è scritto che per la trama?”
“Be’ ” le ho risposto, “mi capita più spesso il contrario”.
E’ più facile trovare romanzi con un bel plot e una scrittura piatta, con una scrittura senza infamia e senza lode al servizio della storia. Quello che mi ha sorpreso in tutto ciò, è che la scrittrice fosse italiana. Poi, nel giro di qualche giorno, un’altra persona, una libraia, mi ha parlato dello stesso libro, proprio negli stessi termini.
A questo punto non ho resistito e ho comprato L’arminuta (in abruzzese “la ritrovata”) di Donatella Di Pietrantonio

Dirò subito che non ho trovato la storia né banale, né prevedibile. Narra infatti di una ragazzina di tredici anni che un bel giorno scopre di non essere figlia dei genitori con cui è cresciuta, ma di un’altra famiglia alla quale viene improvvisamente rispedita, senza alcuna spiegazione. Figlia unica, ben educata, vive in una città di mare, prende ottimi voti a scuola, tra lezioni di danza classica, piscina, amiche, si ritrova di colpo in una famiglia di cinque figli, poverissima, dove ci sono a malapena i soldi per mangiare, ma non troppo, e mancano quelli per tutto il resto, compresi i vestiti e il riscaldamento.

Tutti i figli dormono nella stessa stanza e per lei non c’è neanche il letto, perciò viene messa a dormire con la sorella più piccola che tutte le notti si fa la pipì sotto e bagna il materasso. Inoltre subisce le avances del fratello più grande che, non avendola mai vista, non riesce a credere fino in fondo che sia sua sorella.

Agota Kristof Trilogia della città di K.Cacciata da una famiglia in cui si è sempre sentita amata, si ritrova in una famiglia in cui nessuno la vuole. Lei non sa perché da piccola sia stata data a quelli che credeva i suoi genitori, né perché sia stata rimandata a casa. Nessuno le dice niente. Non sa neanche che cosa è successo ai suoi genitori. E’ una storia crudele come le migliori favole.

Donatella Di Pietrantonio è una dentista pediatrica che vive e lavora in Abruzzo. Dice che uno dei suoi romanzi preferiti è La trilogia della città di K, lo straordinario romanzo di Agotha Kristóv, con il quale, secondo me, L’arminuta condivide “un’aria di famiglia”, ovvero la crudeltà dei grandi verso i bambini.

“Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso”.

Siamo nel 1975 quando lei passa da una famiglia all’altra, dalla città al paese e come Pollicino, abbandonata.

L'arminuta Donatella Di Pietrantonio“Ero troppo giovane e sospinta dalla corrente per vedere il fiume in cui mi trovavo gettata”.

Ma questa ragazzina tenace, intelligente e laboriosa fa la sua indagine personale per venire a capo del mistero che la circonda, che è un mistero tutto costruito dagli adulti che sanno e non vogliono dirle niente. La mancanza di un’origine e di un’identità pesa su di lei come un marchio sociale che è suggellato da questa parola l’arminuta con cui la designano e la sbeffeggiano. Anche se lei “parla un’altra lingua e non sa più a chi appartenere”, stabilisce un rapporto con i fratelli, in particolare con la sorella più piccola e il fratello grande, e mette da parte i soldi per andare fino alla sua casa davanti al mare. Ci va in spedizione insieme al fratello e alla sorella che il mare non l’ha mai visto, perciò lo guarda con diffidenza temendo che possa “straboccare”.

“Mia sorella non voleva bagnarsi neanche i piedi per paura che il mare se la tirasse dentro. Si è accoccolata all’asciutto, con il mento sulle ginocchia e lo sguardo diluito in tutto quel blu”.

Un romanzo breve (176 pagine) che si legge tutto di un fiato.
Sì, il tema è melodrammatico, è tragico, ma mai banale.
Altra considerazione. Perché questo bel romanzo non è in lizza per lo Strega?

Tiziana Zita

Tiziana Zita

Se prendessi tutte le parole che ho scritto e le mettessi in fila l'una dopo l'altra, avrei fatto il giro del mondo.

2 commenti

  1. Uno dei libri più belli che abbia letto! Dritto in maniera incisiva e scorrevolissima! Bravissima Donatella

  2. Bellissimo. Una prosa secca e allo stesso tempo poetica, per un racconto di dolore ambientato in un’Italia quasi arcaica, dove niente degli anni 60/70 ha lasciato traccia. Nella recensione avrei sottolineato anche il rapporto tra le due sorelle, la ” ritornata” e quella che, presumibilmente, ha preso il suo posto . E anche la difficolta’ estrema della madre ad amare, o meglio ad esprimere con gesti – che non siano botte- e parole – che non siano rimproveri chiusi in un cupo dialetto- l’amore.
    Da leggere, per scoprire la bellezza di una letteratura italiana che, come un fiume carsico, continua il suo percorso.

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