Più o meno un anno fa, Alex Zanardi vinceva il suo quarto oro paralimpico. Se l’immagine di lui che solleva la sua handbike a Londra nel 2012 ha fatto il giro del mondo (oltre ad essere stata votata come la foto più rappresentativa di tutta l’Olimpiade e non solo della Paraolimpiade), le sue lacrime al risuonare dell’inno di Mameli sul podio di Rio 2016, sono ancora impresse nei cuori di molti di noi.
Parlare e scrivere di Zanardi non è facile; il rischio di cadere nella retorica o addirittura arrivare all’apologia è molto alto, ma come iniziare questa nostra rubrica dedicata alle leggende dello sport se non con lui? È l’eroe sportivo perfetto, l’icona perfetta, e poiché anche una punta di nazionalismo non guasta, la scelta è stata semplice. Come semplici, d’altronde, sono le origini di Alessandro Zanardi che viene da Castel Maggiore, provincia di Bologna. Origini che di certo non hanno rappresentato un vantaggio per lui, visto che negli sport motoristici i soldi non bastano mai ed i sedili si comprano, oggi come allora. Il ragazzo, però, è veloce, ha talento e determinazione e, dato che impavido lo è da sempre – la sua maestra elementare adorava definirlo così – , i risultati arrivano, come l’opportunità in Formula 1, l’Olimpo delle corse automobilistiche. Esordisce nel GP di Spagna con la Jordan, è il 1991. La maggior parte delle soddisfazioni nel motorsport per Zanardi arrivano, però, dagli USA. Nel 1996, stagione d’esordio in Formula Cart, massima espressione d’oltreoceano per quanto riguarda le “open wheels”, è protagonista di “The Pass”: un sorpasso incredibile all’ultimo giro dell’ultima gara nella mitica curva del Cavatappi a Laguna Seca. Il video ha più di 500 mila visualizzazioni su YouTube. Nei due anni successivi, si laurea campione di quella categoria. Dopo un’altra poco appagante avventura in Formula 1, Alex torna nuovamente a gareggiare negli Stati Uniti. È il 2001, l’auto stavolta, però, non è competitiva. I risultati scarseggiano. E nel momento in cui un raggio di sole sembra finalmente sbucare tra le nuvole di una stagione complicata, concretizzandosi in una vittoria al Lausitzring, è coinvolto in un terrificante incidente sul circuito tedesco.
Mancano 13 giri al termine della gara, Zanardi esce dai box dopo l’ultimo rifornimento, ma va in testa coda, scivolando su una chiazza d’olio e si intraversa sul tracciato. Viene centrato in pieno, a 300 km/h, dall’incolpevole canadese Alex Tagliani.
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Zanardi viene portato via in elicottero che non ha più le gambe, ma, soprattutto, ha perso quasi tutto il sangue che serve ad un corpo umano per funzionare. È più morto che vivo, il cappellano della serie automobilistica gli ha già somministrato l’estrema unzione. Eppure supera 8 arresti cardiaci, 3 giorni di coma e 16 operazioni in anestesia totale. Affronta una lunga riabilitazione e, dopo aver completato i 13 giri mancanti, non tanto per esorcizzare l’incidente, ma piuttosto in onore al suo proverbiale pragmatismo, nel 2003 torna a gareggiare in pista contro dei normodotati. Nel 2005 conquista anche la vittoria sul circuito di Oschersleben.
Nel 2007 avviene l’incontro che determina l’inizio della sua seconda vita sportiva. In un autogrill sulla Genova-Ventimiglia, sul tettuccio di un’auto vede, per la prima volta, una handbike. È una vera e propria folgorazione. Il proprietario di quello strano aggeggio è Vittorio Podestà. I due stringono una fortissima amicizia e Vittorio diventa dapprima il mentore di Alex e, successivamente, suo compagno di medaglie nelle staffette paralimpiche di Londra e Rio. Fatto sta che Zanardi si dedica a questa nuova avventura letteralmente con anima e corpo, trasformando un evento drammatico, una vera e propria tragedia, in una opportunità.
Mai travolto dagli eventi, ma anzi forgiato dalle avversità, si riscopre esploratore entusiasta, impavido ma pignolo, esigente con se stesso e coinvolgente con chi lo circonda. Sognatore instancabile, ma anche sperimentatore accanito, finisce addirittura per progettare e realizzare un mezzo col quale gareggia più volte. Perché Zanardi è anche uno che ha sempre voglia di sporcarsi le mani; uno che stupisce per la precisione, per il metodo, per la capacità di elaborare e rielaborare input provenienti da discipline diverse per asservirli ai suoi scopi realizzativi e garantire ai suoi sogni lucidità e accuratezza. Poi in gara, beh, all’interno della competizione sportiva, come dice il suo grande amico Dottor Costa – storico e mitico, anzi forse mitologico, medico delle gare motoristiche su due ruote: “Alex Zanardi è uno di quegli esseri umani che riescono ad andare “oltre”, che quando desiderano qualcosa ferocemente riescono ad attivare dei meccanismi che annullano le protezioni di cui tutti siamo provvisti per natura e che servono ad evitare che la fatica ci faccia male”. E ovviamente arrivano vittorie anche in handbike. 8 Mondiali su strada. 2 ori e 1 argento olimpici a Londra 2012. Altri 2 ori e 1 argento olimpici a Rio 2016. Invito a partecipare alla tappa finale dell’Iron Man a Kona (Hawaii).
Ed in mezzo qualche gara automobilistica, perché per inseguire la sua passione ed il suo sogno, ad un certo punto Zanardi si dedica quasi esclusivamente all’handbike, pur non dimenticando mai il suo primo amore: 24H di Spa-Francorchamps nel 2015 e gara di chiusura del Campionato Italiano Gran Turismo nel 2016 al Mugello.
Nel 2010 debutta come conduttore televisivo e nel 2012 gli affidano il famosissimo programma di Rai 3 Sfide (a chi se non a lui?). E poi ancora partecipazioni ad altre trasmissioni televisive, inviti a convegni di ogni genere. Perché, se la carriera ed i successi automobilistici lo avevano reso famoso soprattutto al pubblico degli appassionati, le imprese successive all’incidente gli hanno regalato una popolarità pazzesca. Pian piano, Zanardi è diventato manifesto vivente della determinazione, dell’umiltà, del sacrificio: un vero e proprio orgoglio italiano come riconosciutogli pubblicamente dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano durante una celebrazione degli atleti olimpici in Campidoglio.
A sentir parlare Zanardi, quello che più colpisce è l’autocoscienza, nel senso più hegeliano del termine, che deriva proprio dall’umiltà. Egli non si sente un eroe, anzi: per lui i veri eroi sono quelli che nonostante il loro sacrificio quotidiano fanno terribilmente fatica a garantire ai propri cari un’esistenza dignitosa. Egli al contrario si sente privilegiato, quasi avvantaggiato dalla sua popolarità che, eliminando l’imbarazzo dell’handicap, gli ha addirittura migliorato la vita pubblica.
E sfruttando l’esposizione mediatica quale simbolo della capacità di reagire non perde occasione per restituire (a suo dire) qualcosa al pianeta del “paratletismo” promuovendo iniziative a favore di chi ha la capacità di fare le cose in modo “diverso”. Ed ecco che lo vediamo allora, tra le altre iniziative, testimonial del progetto Bmw SpecialMente e fondatore della Onlus Associazione bimbi in gamba. L’ultima e più affascinante sfida che il campione ha deciso di promuovere personalmente si chiama Obiettivo 3, nata per mostrare ancora una volta come lo sport sia fenomenale nel generare motivazione, ispirazione e modelli positivi. L’idea è stata maturata la sera prima della sua ennesima medaglia ai Giochi Paralimpici di Rio 2016 ed è legata al suo desiderio di avvicinare ed avviare allo sport quante più persone disabili possibili, per poterne poi individuare almeno tre capaci di crescere fino a centrare la qualificazione ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020. Un progetto ambizioso, per la cui diffusione e realizzazione sono state utilizzate tutte le principali piattaforme social. In poco tempo questi spazi virtuali si sono riempiti di autocandidature, storie e, soprattutto, sogni. A sottolineare ancora una volta, il vero filo conduttore della vita leggendaria di questo sportivo eccezionale: la passione, per lo sport, per la vita.
Che poi, oltre ad essere un denominatore comune, è il vero gran segreto di Zanardi. Puntare sulla passione che è sinonimo di piacere, divertimento, entusiasmo, emozioni. Non tanto un sentimento scevro e affrancato da quegli aspetti che ne costituiscono la radice etimologica, quanto piuttosto un vero e proprio modus vivendi, nel quale sacrificio, impegno, sofferenza, ostinazione sono relegati a ruolo marginale, secondario, quasi strumentale. Provarci sempre, dare tutto. Come poi finisca è un dettaglio. Nessuna ossessione per la vittoria, per il risultato, in pista come in strada e nella vita. Sono il viaggio e la sua bellezza che contano, e di questi possono godere tutti, non solo i vincitori. Perché se l’ambizione fornisce una spinta incredibile, quando però poi domina e prende il sopravvento sulla passione diventa un limite. Limiti che la passione invece non ha e non dà.
Se la vita di Zanna nasconde una lezione: è proprio questa.