Quali sono le principali caratteristiche che accomunano i gialli scandinavi? La neve e i nomi difficili da pronunciare? Bianchi paesaggi sconfinati contrapposti a piccole città dove tutti si conoscono?
Questi sono elementi buoni più che altro per una campagna pubblicitaria da ufficio turistico e non spiegano l’enorme successo riscosso nelle librerie di tutto il mondo dai gialli scandinavi, come la trilogia di Stieg Larsson Millennium. Eppure, per qualche strana ragione che a nessuno è dato comprendere, i responsabili dell’adattamento cinematografico de L’uomo di neve, uno dei titoli più noti del norvegese Jo Nesbø, devono aver pensato che fossero sufficienti a portare a casa il film. Il colpo di scena, ahinoi prevedibile, è che non è affatto così.
Harry Hole
Come sanno i moltissimi fan di Nesbø, ciò che rende i suoi gialli-thriller letture appassionanti difficili da abbandonare è ben altro. Innanzitutto i personaggi, a partire da Harry Hole, l’investigatore protagonista dei suoi maggiori successi letterari. Un antieroe sulla scorta di quelli dei noir americani, ma estremamente umano e contemporaneo. Sorta di alter ego dello scrittore, Harry Hole è un alcolizzato perennemente in lotta con i suoi demoni, con tendenze asociali e autodistruttive che di romanzo in romanzo vediamo dibattersi per restare a galla. Hole è capace di risolvere delitti perché per lui investigare è sostituire una droga con un’altra, l’alcol con la caccia.
“Sentì la botta, il fremito che lo prendeva sempre la prima volta che fiutava la bestia. E dopo la botta arrivava la Grande Ossessione. Che era tutto nello stesso tempo: innamoramento e droga, cecità e perspicacia, ragione e follia.”
Ecco, il lettore dei romanzi di Nesbø è un po’ come Hole. E’ nella sua stessa posizione nei confronti della lettura e al tempo stesso è sempre un mezzo passo indietro, com’è giusto che sia. I gialli infatti funzionano finché il lettore pensa di aver capito tutto ma dopo un paio di pagine viene spiazzato da un nuovo indizio, una nuova pista che sembra contraddire le altre. Così come ne L’uomo di neve, dove i potenziali aspiranti al titolo di primo serial killer riconosciuto della Norvegia sono ben quattro, in successione sempre più rapida. Nesbø maneggia con sadica abilità l’arte del crescendo. Le indagini partono sempre a rilento, ci sono pochi indizi, o troppi che guidano in direzioni opposte. Finché non resta spazio che per una sola pista da seguire in fretta, prima che sia troppo tardi, prima che tutto precipiti.
Il pettirosso
Ne Il pettirosso, il più poetico della serie di Harry Hole, l’indagine è in qualche modo doppia: in una linea temporale c’è un mistero, diretto al solo lettore, e nell’altra c’è un’indagine più classica, dove seguiamo Hole.
Il legame fra passato e presente si delinea nelle ultime pagine, chiaro, lampante e intricato al tempo stesso. Nesbø non ha paura di mostrare le debolezze del suo protagonista, ma neppure di svelarne la sensibilità, la profonda umanità, la capacità di empatia.
L’amore per Rakel, la donna della sua vita, e per il figlio di lei Oleg, di cui finisce per diventare la figura paterna più importante, controbilanciano l’orrore che fronteggia sul lavoro e la perdita dei colleghi più cari.
Sete
In Sete, uscito quest’anno, la stabilità raggiunta con tanta fatica viene minata.
Harry è diventato più maturo e, forse, più saggio, ma si porta dietro cicatrici che il lettore fedele conosce bene quanto Rakel stessa.
Cicatrici ed esperienza sono però gli strumenti dei quali si serve per individuare il colpevole, mettendosi in gioco corpo e anima. Insomma, i romanzi di Nesbø, e quelli con protagonista Harry Hole in particolare, sono delle letture che si staccano dal puro intrattenimento senza pretendere di farlo.
Ci riescono così, semplicemente, perché creano dei personaggi umani e realistici, con incongruenze assolutamente naturali. E perché sono costruiti in maniera brillante, come meccanismi precisi, un puzzle da rimontare con tensione crescente, senza indulgere nel torbido una riga più del necessario ma senza ombra di pudore.
L’uomo di neve
Quindi non si capisce perché, avendo trovato l’attore perfetto per incarnare sul grande schermo il commissario Hole e avendo scelto di adattare L’uomo di neve, edito da Piemme, il suo romanzo dall’andamento tutto sommato più lineare, il film debba risultare, a voler essere gentili, noioso.
Non c’è nulla di noioso o prevedibile nei romanzi di Nesbø, tutto si spiega a suo tempo, nel momento giusto. Ma Tomas Alfredson, pure regista di un adattamento riuscito come La talpa, avvalendosi della complicità di ben tre sceneggiatori, tra cui l’Hossein Amini di Drive, è riuscito nell’impresa di scompaginare il materiale di partenza fino ad annacquarlo e renderlo fumoso. Le scene migliori, quelle più ricche di pathos e tensione, sono sparite nel nulla, come le vittime del serial killer.
L’assassino ha una storia familiare alle spalle completamente diversa da quella cartacea e questo rende la sua motivazione blanda e confusa. Michael Fassbender/Harry Hole spreca la sua intensità con un personaggio dalle battute piatte, perenne preda di postumi di sbornia che si aggira per le scene del crimine e risolve il mistero senza indagare, facendo due domande insignificanti in tutto il film. Il confronto finale tra commissario e assassino sfiora addirittura il ridicolo, così come le scene fra Rakel, una scipita Charlotte Gainsbourg, e Harry, che appaiono forzate e incongrue. In realtà è tutta la trama a risultare incongrua, con snodi narrativi ingolfati come il motore di un’auto nella morsa del gelo norvegese (vedi il trailer).
Lo spettatore non viene depistato e anche quando si prova a farlo, il tentativo fallisce miseramente perché troppo tediato per cogliere lo svogliato ammiccamento del regista. L’impressione è che nessuno credesse in questo film, né il regista né gli sceneggiatori, lasciando al cast, peraltro prestigioso, l’ingrato compito di metterci la faccia.
Chi non ha letto L’uomo di neve romanzo, vedendo il trailer avrà probabilmente pensato che non ci fosse nulla di inquietante in un pupazzo di neve. Bene, non è così, leggere per credere. E per dimenticare uno dei peggiori adattamenti cinematografici di sempre.
Una recensione utile e scritta egregiamente. Complimenti all’autrice!
Le faccio i miei complimenti per non aver sprecato neanche una parola, arte davvero difficile; la penso esattamente come lei e fa sempre piacere scoprire di non essere soli nell’universo.
Grazie Stefano e grazie Giulia! Cronache Letterarie è nato proprio come luogo di confronto e condivisione di idee, quindi sono molto contenta di sapere che c’è chi sperimenta la soddisfazione di trovare in un mio articolo un riflesso delle sue impressioni…Ma aspetto con curiosità anche chi la pensa diversamente!
Leggo Jo Nesbo da sempre e ho visto il film tratto da l’uomo di neve ieri sera sullo schermo, forse Sky ma non ricordo. Condivido al 100% la recensione perfetta. È passato qualche tempo ma ben ricordo il libro che non ho riconosciuto nel film appena visto. ho trovato conferma nella vostra recensione, Grazie . Zita