Buondì lancia asteroidi contro la famiglia felice

La protagonista dello spot Buondì Motta
La protagonista dello spot Buondì Motta

Cosa succede se un asteroide all’improvviso colpisce una tranquilla famiglia da spot?

E’ la giornata ideale per una colazione in giardino, una madre – con tanto di collana di perle – sta sistemando dei fiori nel vaso quando arriva la giovane figlia, un po’ sopra le righe a dirla tutta, ma con rassicurante fiocchetto nei capelli, che chiede una colazione leggera ma invitante. La risposta pessimista della madre: «Possa un asteroide colpirmi se esiste!»  provoca la caduta del corpo celeste proprio su di lei. Poi è la volta dell’ingenuo papà, anche lui dubbioso sull’esistenza di una colazione golosa e leggera, anche lui colpito in pieno dal secondo asteroide. Infine il malcapitato postino viene anch’egli travolto ma da una merendina gigante.

I tre spot del Buondì Motta, a cura di dell’agenzia Saatchi&Saatchi, hanno segnato un punto di non ritorno nella comunicazione del prodotto e della marca, nella loro relazione con i consumatori. L’intenzione di cambiare rotta, di prendere le distanze da una comunicazione stereotipata delle merendine –  che appartiene un po’ a tutto il settore di mercato –  è evidente e volontaria. Quindi le motivazioni dell’azienda sono abbastanza chiare, ma sarebbe decisamente insolito che non avessero previsto anche una reazione importante da parte del pubblico. Dobbiamo però chiederci perché gli spot del Buondì abbiano suscitato così tante risposte nell’opinione pubblica in particolare in rete, ma anche tra gli addetti ai lavori.

Le famiglie felici

Uno dei motivi è probabilmente lo spiazzamento che una parte del pubblico prova di fronte ad un sovvertimento dello stereotipo della famiglia felice. O meglio, la famiglia stereotipata negli spot del Buondì è presente, ma la storia si conclude con una bad end. Le premesse perché tutto si svolga in modo prevedibile ci sono tutte: la bella casa, la famiglia che si riunisce in giardino per la colazione, una mamma amorevole che si prende cura dei suoi cari, ma improvvisamente poi succede l’inatteso, spettacolare e politicamente scorretto evento. Pur avendo inserito qualche elemento surreale, come il modo di parlare della bambina, tuttavia il pubblico distratto è colto impreparato difronte al meteorite.

Inizialmente, dopo la messa in onda del commercial con la mamma, le critiche si erano concentrate su questo aspetto, indicato come sessista, violento, non adatto a un pubblico di bambini.  Tuttavia ci sono stati anche molti commenti positivi. Se l’advertising è il regno del lieto fine in cui non esiste problema che non possa essere risolto dal prodotto pubblicizzato, allora questo spot sovverte l’ordine delle cose, capovolge il meccanismo della pubblicità stessa, mina quel modello di famiglia del Mulino Bianco di cui erano popolate le campagne pubblicitarie fin dagli anni Ottanta.

mulino bianco famiglia felice
Lo stereotipo della famiglia felice

La storia della famiglia che lascia la città per trasferirsi in campagna, nel vecchio mulino appunto, divenuto luogo di pellegrinaggio di consumatori affezionati e curiosi della domenica, ha avviato una stagione che in parte dura ancora, in cui la rappresentazione del nucleo familiare ha seguito a fatica l’evoluzione della società.

Quanti non si riconoscono più in quel modello? Quanti non aspirano più a quel tipo di situazione? La pubblicità (leggi anche qui) a volte fa fatica a rinnovare gli stereotipi che propone, rimane ancorata, un po’ per comodità un po’ per pigrizia, a strade già battute. Certo il suo compito non è sovvertire, ma deve però rimanere in contatto con il suo pubblico evolvendosi, adattandosi alla realtà che muta intorno a essa.

Pubblicità e ironia

Non è la prima volta che il messaggio pubblicitario si tinge di humor nero. La pubblicità ha saputo essere ironica, giocare con se stessa, con la marca e con il consumatore in più occasioni. Ne ricordiamo una per tutte. Molti anni fa Diesel, marca italiana di jeans, si affidò ad un’agenzia svedese per sovvertire le aspettative della più classica scena western: un duello che vedeva contrapposti il buoni e il cattivo. A vincere però era il cattivo, brutto, sporco e scorretto. Nello spot “Little Rock”, vincitore del GP a Cannes Lion nel 1997 il claim era “For successful living”. In questo caso il sovvertimento era quello di uno stereotipo cinematografico relativo ai film western. Ma allora il pubblico era quello dei ragazzi cui la marca si rivolgeva e Diesel aveva una storia di comunicazione ironica e dissacrante. La campagna suscitò quindi qualche perplessità ma niente polemiche.

Oggi invece a sovvertire le aspettative è un prodotto di largo consumo, inserito in un panorama tradizionale e con una comunicazione senza grossi scossoni. Il problema è quindi ciò che ci aspettiamo dalla pubblicità o da una marca in particolare. Anche se Motta ci aveva già provato nel 2016 con lo spot del panettone che aveva preso in giro alcune mode alimentare, facendo arrabbiare i vegani.

La dimensione social

Dall’altra parte della barricata chi progetta una campagna pubblicitaria, l’agenzia in accordo con l’azienda, ha in mente un certo tipo di pubblico, con specifiche caratteristiche e un sistema di riferimenti valoriali e culturali abbastanza definiti. Ma in questo caso i commercial sono andati in onda sulle reti televisione generaliste, che hanno un pubblico allargato. Cosa succede adesso? E’ possibile prevedere uno spostamento di immagine e forse un ampliamento del target nelle direzione di un pubblico più giovane, abituato al linguaggio ironico del web e alla condivisione social, ma anche una perdita di fiducia da parte di un pubblico più tradizionale.

Taffo Buondì Motta
Instant marketing – Buondì Taffo

La grossa differenza tra la fine degli anni Novanta e i nostri giorni è anche la possibilità di replica offerta dai social media. Dopo una prima fase di reazioni di elogio o di critica si è passati alla rielaborazione del messaggio per comunicare altro. In rete abbondano le parodie dello spot a fini commerciali, una sorta di instant marketing basato sulla pubblicità stessa. Nell’instant marketing in genere si associa una campagna pubblicitaria al verificarsi di un evento come una manifestazione sportiva o una scoperta scientifica per riprendere l’accaduto in tono scherzoso o irriverente e sfruttare l’onda di notorietà dell’evento stesso per comunicare un prodotto. In questo caso la pubblicità cita se stessa per rafforzare la propria visibilità.

In pubblicità la direzione di un approccio più giocoso e coinvolgente rispetto agli interlocutori avrà la meglio nei prossimi anni, se non per tutti i prodotti e le marche, certamente per molte. Gli interlocutori sono disincantati e giocano un ruolo attivo nella costruzione della narrazione di marca. In quest’ottica dobbiamo leggere anche gli spot attuali del Buondì, che ha anche chiesto sulla pagina Facebook cos’altro far cadere dal cielo. Tuttavia, dubito che Motta continuerà con questo tono di voce nelle successive campagne, rischiando un cambiamento del suo posizionamento difficile da sostenere sul lungo periodo.

Paola Costanza Papakristo

Paola Costanza Papakristo

Sociologa, si occupa di comunicazione e pubblicità come docente e consulente per aziende ed enti pubblici. Dal 2001 è docente a contratto prima di Teoria e Tecnica della Comunicazione Pubblicitaria e in seguito di Pubblicità e Strategie di Comunicazione Digitale all’Università degli studi di Macerata. Dal 2011 insegna presso Poliarte Accademia di Design di Ancona. Ha pubblicato: con Francesca Arienzo, Sarò brief (2016), Il volto delle sirene (2013), Comunicare l’università (2010), con Daniele Pittéri Archeologie della pubblicità (2003).

Un commento

  1. La pubblicità della Motta è molto intelligente e centra un aspetto fondamentale. La famiglia perfetta, per quanto ci piacerebbe farne parte, non esiste, tant’è che quella proposta è una famiglia farsesca e “non naturale”. È proprio su questo piano che si gioca tutto il messaggio della marca di merendine, sulla naturalezza e pertanto si discosta dalla perfezione e dal modello “in vitro”. Il Buondì è naturale “davvero” e prende le distanze da quello che è innaturale; il buondì è il buono contro il bello.
    Quanto alle polemiche, sono d’accordo che non fosse previsto un così ampio sollevamento popolare; sinceramente trovo assurdo demandare al mezzo pubblicitario l’aspetto di educazione e formazione di un modello valoriale di riferimento. Tanto più è assurdo che il problema nasca laddove c’è, oltre ad una marcata ironia, un messaggio che richiama ad una maggiore attenzione al naturale “vero” a scapito della perfezione fastidiosa e farsesca.
    Nel panorama pubblicitario attuale, ci sono automobili che frenano autonomamente di fronte ad un pericolo improvviso: la pubblicità punta sul fatto che ora ci si può distrarre per vedere un bell’uomo o un paio di scarpe mentre ripercorriamo minuto per minuto la tabella di marcia della nostra giornata. In pratica vengono dati per assodati e accettati dei comportamenti socialmente devianti come la distrazione alla guida.
    Altri spot ci fanno vedere come tutto sommato un genitore può umiliare il proprio figlio a Tennis perché ha perso una partita alla PlayStation. Altri ancora giocano sul modello di bellezza e sulla figura femminile secondo stereotipi degradanti. Però il Buondì Motta che ironizza sulla famiglia perfetta e la seppellisce a colpi di asteroidi e buondì giganti, fa gridare allo scandalo.

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