“Sono una spia, un dormiente, un fantasma, un uomo con due facce. E un uomo con due menti diverse”.
Inizia così l’opera vincitrice del premio Pulitzer per la Fiction 2016, Il simpatizzante, uno dei pochissimi libri sulla Guerra del Vietnam che, scritto da un vietnamita e con un’inedita prospettiva vietnamita, ha conosciuto un successo internazionale.
Sì perché di quella guerra, stranamente, sono stati i vinti a scriverne la storia, e quello che conosciamo è alla fine solo il punto di vista americano, diffuso da quella onnipotente macchina di propaganda che è Hollywood, dove retorica e omologazione del pensiero contribuiscono a creare luoghi dell’immaginario collettivo a uso e consumo di una platea planetaria.
Il racconto inizia nel 1975 con le scene apocalittiche della caduta di Saigon, poi ribattezzata Ho Chi Minh City, che ha segnato la fine di quella che noi occidentali chiamiamo Guerra del Vietnam, nota invece tra i vietnamiti come “Cuộc chiến tranh Mỹ”, cioè “The american war”.
Si tratta di una confessione, che il protagonista è stato obbligato a scrivere (cosa che scopriremo solo alla fine), in bilico tra l’introspezione e la riflessione politica, fatta da un uomo dalla doppia coscienza e con una mente ambivalente, in grado di osservare il contesto da entrambi i punti di vista, incapace di abbracciare un’ideologia perché le abbraccia tutte, sempre schizofrenicamente in mezzo al guado.
“Sono semplicemente in grado di considerare qualunque argomento da due punti di vista antitetici. A volte, per adularmi da solo, mi dico che si tratta di un talento vero e proprio, e benché non valga poi tanto, è anche l’unico talento che possiedo. Altre volte, quando rifletto più a fondo sul fatto di non poter fare a meno di osservare il mondo da questa doppia prospettiva, mi domando se in realtà lo si possa davvero considerare un talento. Dopo tutto, il talento è qualcosa che si sfrutta, e non qualcosa dal quale si viene sfruttati …”
A parlare in prima persona è il Capitano, come viene chiamato da chi gli rivolge la parola: una spia marxista abilmente infiltrato tra le maglie delle forze sud-vietnamite e dei loro alleati americani, fino a diventare il principale consulente e confidente del Generale, un alto ufficiale dell’esercito sud-vietnamita fortemente anticomunista, “un epicureo e un cristiano, nell’ordine, un uomo di fede che crede nella gastronomia e in Dio; nella moglie e nei figli; nei francesi e negli americani.”
Con la caduta di Saigon e la rocambolesca fuga dalla città a bordo di un C-130, “un grosso camion dell’immondizia con un paio di ali appiccicate”, il racconto si snoda in California, dove la maggior parte dei profughi vietnamiti vivono emarginati nella società americana e dove i nazionalisti sperano di riaprire la guerra e prendersi la rivincita. I nord-vietnamiti ordinano al protagonista di seguire il Generale negli USA, per tenere d’occhio eventuali operazioni militari dell’esercito sconfitto.
Il Capitano si troverà coinvolto in crimini orrendi, come quando sarà complice degli omicidi del Maggiore “crapulone” e del giornalista Sonny, ma non per questo perderà la sua umanità. Anzi, il suo atteggiamento sarà la lente d’ingrandimento per un’accurata analisi del sistema di valori dei due mondi incarnati dentro di lui, Occidente e Oriente.
L’autore Viet Thang Nguyen è un vietnamita naturalizzato statunitense e insegna alla University of Southern California. Nato in Vietnam nel 1971, all’età di quattro anni, con la vittoria dei comunisti e la liberazione (o l’occupazione, dipende dai punti di vista…) del sud del Paese, la sua famiglia fugge e chiede asilo politico in America. Passerà degli anni in un campo profughi, circondato da profughi, da storie di sconfitti, tra disorientamento, risentimenti e desiderio di vendetta.
Il suo non è un romanzo autobiografico, però è evidente che proietta le sue esperienze di vita sulla figura del Capitano: l’uomo dalle due facce e dalle due menti che ha fatto della duplicità una ragione di vita e che grazie alla sua doppia coscienza al limite della schizofrenia, è allo stesso tempo ribelle e sottomesso, in grado di percepire pregi e difetti di Occidente e Oriente, quindi sempre vacillante tra elementi spesso opposti.
Proprio come lo scrittore, che in un’intervista dice: “Ho imparato ad essere un attento osservatore, ovunque mi trovi. Quella sensazione di “estraneità”, di non appartenenza, mi è tornata utile per costruire il protagonista de “Il simpatizzante”. Vivere non sentendomi mai a casa a volte è scomodo, ma ci sono cresciuto. E mi regala un punto di vista originale, forse unico, su entrambe le culture, americana e vietnamita… … Per me il dualismo è normale e necessario. Avere un unico punto di vista conduce ad altre guerre, e capire il punto di vista dell’avversario le evita.”
Per Viet Thanh Nguyen diventa naturale capovolgere la rappresentazione della realtà che lo circonda utilizzando la prospettiva del Capitano, che rende manifesto quanto paranoico e incomprensibile possa essere il contesto Americano per chi, come lui, vi è improvvisamente calato contro il proprio volere.
“Un paese così scioccamente narcisista da definire tutto “super” (i supermercati, le superstrade, Superman, il Super Bowl, ecc)… Benché ogni paese si considerasse a proprio modo superiore agli altri, ne era mai esistito uno che, attraverso la banca centrale del proprio narcisismo, avesse coniato così tanti termini che includevano il prefisso “super”? Che fosse non solo superfiducioso, ma anche superpotente, al punto che non sarebbe stato soddisfatto finché non avesse bloccato ogni nazione del mondo in una presa da lotta libera e non l’avesse costretta a gridare il nome della zio Sam?”
Così il personaggio principale si trova a doversi confrontare con l’ibridazione tra le due civiltà, in bilico sull’orlo dell’abisso culturale che le separa: da una parte la salvaguardia delle proprie origini, dall’altra la seduzione della società occidentale e i suoi valori. Il suo animo è campo di battaglia e luogo d’espressione di due universi culturali contrastanti, che si confrontano attraverso opposte ideologie politiche. Sono convinzioni e sistemi di vita incompatibili, privi di una reale piattaforma umana condivisibile, che ne escono alla fine entrambi umanamente perdenti.
Il Capitano è il figlio illegittimo e mai riconosciuto di un prete cattolico francese e di una contadina vietnamita, unica figura compassionevole e positiva della storia, che è stata sedotta dal prelato quando era ancora una ragazzina. Lui è un figlio bastardo di due universi, cosa che lo etichetterà per tutta la vita come un infido traditore, un uomo di cui non fidarsi.
Illuso di poter risolvere il proprio disagio esistenziale per mezzo della rivoluzione comunista, scoprirà ben presto che a considerarlo un reietto non saranno solo i vietnamiti attorno a lui e gli americani, ma perfino i Viet Cong, i suoi compagni che combattono per la rivoluzione: come a dire che anche nel “mondo nuovo” non ci sarà posto per quelli come lui.
Dando voce e spessore umano ai personaggi vietnamiti, che di solito esistono solo come comparse monodimensionali e periferiche, l’autore è riuscito a mettere al centro del romanzo i protagonisti che hanno calcato i drammatici palcoscenici di Saigon e del Vietnam.
Il simpatizzante offre anche un’interessante panoramica sulla condizione umana della comunità vietnamita in fuga in California, sulle loro difficoltà a reinventarsi, tra smarrimenti e imbarazzi, che portano alcuni di loro, incapaci di adattarsi alla nuova condizione, a tentare rimpatri clandestini per istigare improbabili insurrezioni.
E sarà proprio così, ancora una volta da infiltrato, che il Capitano tornerà in Vietnam, ora governato da quel regime per il quale ha combattuto nell’ombra. Ma ogni illusione di quel “mondo nuovo di giustizia sociale” verrà brutalmente infranta dall’arresto e da una crudele detenzione: viene accusato di essere stato “contagiato dall’Occidente” e quindi di essere pericoloso e inutile per quella rivoluzione alla quale si era dedicato in incognito. Ora è un soggetto da sottoporre a una “rieducazione” che si mostrerà particolarmente spietata.
“La maggior parte delle rivoluzioni finisce in una normalizzazione che, in molti casi, non è affatto diversa dalla situazione preesistente.”
Malgrado sia un testo storicamente e geopoliticamente ben documentato, Il simpatizzante non è un romanzo politico. Il fulcro non va cercato nella storicizzazione di eventi realmente accaduti, ma nella capacità dell’autore di scrutare lucidamente quell’enorme costellazione di sentimenti, di emozioni e di passioni che ribollono nel profondo dell’animo umano, specialmente in certi momenti di estremo disagio e sofferenza.
L’intelligente contaminazione narrativa sullo sfondo di eventi storici più o meno romanzati, permette all’opera una pregevole rielaborazione di decenni di riflessioni su quella che è stata una delle tragedie più grandi e mediaticamente più dirompenti del secolo scorso: la guerra in Vietnam.
Questo è un grande libro dove i due continenti culturali si incontrano e si scontrano inesorabilmente. Un libro che ti impone di ragionare come un americano e, nello stesso tempo, per la prima volta nella storia di questa guerra, di ragionare come un vietnamita. Un racconto intenso, dissacrante, a tratti sarcastico che, con i suoi ambigui intrecci tra il bene e il male, e con le sue sovrapposizioni temporali, seduce quanto un vero capolavoro letterario.
Un libro che ci apre gli occhi su quella terribile guerra, che ci parla di un popolo lontano da tutti noi, anzi, da tutti voi…
Sì, perché io dal 1995 vivo proprio in Vietnam. Ed è in Vietnam che l’ho letto, guardandomi attorno, riconoscendo i luoghi e le sfaccettature, confrontandomi con chi quel dramma lo ha vissuto, tra anziani vietnamiti la cui indole mansueta ha portato ad accantonare ogni rancore e veterani di guerra americani tormentati dai sensi di colpa.
Per fortuna Viet Thanh Nguyen ci racconta di una storia passata, lontana nel tempo, che però non era così lontana quando mi sono trasferito qui, 22 anni fa.
Ero sempre stato attratto dall’Altrove, dall’esotico esistenziale, e il Viet Nam di più di vent’anni fa era così emotivamente “Altrove” da non riuscire a immaginarmi in un luogo più estremo. Infatti, la scelta di questa destinazione ha in un certo qual modo colmato il vuoto della mia natura di evaso, che mi portava a dover sempre scappare da dove ero. Poi, col tempo, l’Oriente ti cresce prima addosso e in seguito dentro, fino al punto di non riuscire più a immaginarti altrove…
E allora anche tu ti ritrovi un po’ in mezzo al guado, culturalmente barcollante, psicologicamente diviso tra Oriente e Occidente. Tante, troppe qualità orientali sono diametralmente opposte a quelle occidentali.
Il Viet Nam, come l’Asia in generale, è un po’ come la meccanica quantistica: qui le cose sono e non sono allo stesso tempo. Quel che si vede e si sente spesso non è che l’ombra di una cosa e ciò che pare la realtà, spesso è solo teatro. Quel che sembra non è, quel che è non sembra: la realtà si fa paradosso e l’incongruenza si rivela spontanea tra le ombre del quotidiano.
L’abisso culturale che divide la cultura occidentale da quella orientale può implicare delle incomprensioni che, se male interpretate, possono portare noi occidentali a combattere contro immaginari mulini a vento, contro giganti presenti solo nelle pieghe culturali delle nostre menti. Per questo non bisogna mai essere troppo seri in Asia: non c’è spazio per la serietà, altrimenti finirà col rodere tutti gli altri sentimenti.
Ed è proprio nell’animo del Capitano che ho ritrovato molte di queste contraddizioni culturali, psicologiche ed esistenziali, legate alla condizione di esule volontario in Asia. Ci si ritrova confuciani quando le cose vanno bene e taoisti quando vanno male, si cerca nel passato un futuro migliore, si riconosce la sincerità di una bugia, l’ignoranza dei colti, la certezza dei dubbi, il torto della ragione…
Il simpatizzante è un piccolo prontuario per avvicinarsi alla comprensione del Vietnam e dell’Asia orientale. È un’interessante testimonianza sulle derive di intere comunità nel dopoguerra. Una sorta di “Apocalypse Then”, parafrasando il monumentale e, a detta di Viet Thanh Nguyen, ipocrita film di Francis Ford Coppola.
Un diario di viaggio di andata e ritorno da, e per, Saigon, passando per l’Inferno. Fino al suo epilogo che lascia, allo stesso tempo, un retrogusto di profonda sconfitta e di impellente liberazione.
“Avevo finito per comprendere come la nostra rivoluzione si fosse trasformata dall’avanguardia di un progetto politico in una retroguardia preoccupata solo di accumulare potere. In questo processo rappresentavamo più la regola che l’eccezione. I francesi e gli americani non avevano fatto esattamente lo stesso? Un tempo rivoluzionari a loro volta, erano diventati imperialisti, colonizzando e occupando la nostra piccola terra ribelle e togliendoci la libertà con la scusa di volerci salvare.”
Viet Thang Nguyen, Il simpatizzante, Neri Pozza Editore