La storia di Cenerentola è secolare, fa parte dell’eredità culturale di numerosi popoli, tant’è che se ne possono riscontrare svariate versioni in ogni dove del globo. Durante il XVII secolo la storia ha ispirato il Cavalier Giambattista Basile a creare una sua versione della principessa dalla scarpetta perduta, La Gatta Cenerentola, inserita poi nella sua opera divenuta colonna portante della letteratura napoletana, Lo Cunto de li cunti.
Questa fiaba si è totalmente radicata nella tradizione del capoluogo campano, tanto da indurre Roberto De Simone, affermato regista teatrale e compositore, a crearne un adattamento teatrale, portato in scena per la prima volta al Teatro Nuovo di Spoleto il 7 luglio 1976, all’interno della XIX edizione del Festival dei Due Mondi. Il successo fu clamoroso.
Attori del calibro di Peppe Barra e Isa Danieli, aiutati dal genio di De Simone, hanno fatto sì che l’opera si inserisse immediatamente nel panorama artistico non solo di Napoli, ma anche italiano. Composta in tre atti e scritta totalmente in lingua napoletana, la pièce prende chiaramente ispirazione dal racconto omonimo, ma non mancano rimandi ad altre versioni della fiaba di Cenerentola e particolari ripresi da altri racconti del romanzo di Basile.
Alla base dell’opera di Roberto De Simone c’è il lavoro di ricerca nelle tradizioni orali e musicali del Sud Italia condotto insieme al suo gruppo, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Lo spettacolo, dal punto di vista musicale, è un sapiente impasto di musica popolare ‒ quali villanelle e tammurriate ‒ e musica colta.
La riscrittura di De Simone
La riscrittura di De Simone segue l’evoluzione del racconto originale, tuttavia i personaggi e le situazioni ricalcano anche rimandi storici e culturali della protagonista assoluta dello spettacolo, la città di Napoli e le sue sfaccettature. Le lavannare, la gente del popolo, contro la matrigna e le sue figlie, la pomposità e la ricchezza della corte. Il risultato è un tripudio di canti, danze, turpiloqui, ironia e celebrazione della grande capitale del regno, Napoli.
La Gatta Cenerentola film
Passano 41 anni e la Gatta passeggia ancora per le strade di Napoli, ma con un’altra veste. Infatti il 14 settembre è uscito nei cinema Gatta Cenerentola, film d’animazione diretto da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, e prodotto dalla Mad Entertainment, studio napoletano capitanato da Luciano Stella, premiato nel 2014 e creatore del pluripremiato L’arte della felicità. La pellicola è stata presentata alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato accolto con applausi e ottimi commenti da parte della critica.
Napoli protagonista
La protagonista indiscussa del film è sempre lei, Napoli, ma da una visione diametralmente opposta a quella di De Simone. Una Napoli tetra, sporca, abbandonata a se stessa, dove non esiste il sole, ma solo una pioggia costante di cenere. I canti e le danze popolari vengono sostituiti dalla musica leggera napoletana. I palazzo reale diventa un gigantesco relitto, la sala da ballo un bordello.
Chi è la Gatta Cenerentola?
A vagare tra i condotti del relitto c’è lei, la Gatta Cenerentola, il cui vero nome è Mia, figlia dell’armatore Vittorio Basile. Una ragazza che 15 anni prima ha visto suo padre e i suoi progetti trafitti da una pallottola per mano di Salvatore Lo Giusto, ‘O Re, che vuole trasformare la Megaride, l’immensa nave progettata dall’armatore, in una capitale del traffico di droga e riciclaggio.
Sua complice e amante è Angelica Carannante, avvenente donna con sei figlie a carico, che sposa l’armatore poco prima del suo omicidio, per poter prendere i diritti sulla nave e sulla piccola Mia, ormai ridotta a serva della matrigna e delle sei sorellastre. L’eroe, il portatore di giustizia in questo ribrezzo, è Primo Gemito, agente di polizia e in precedenza guardia personale di Vittorio Basile, il quale prova per Mia un affetto paterno ed è intenzionato a farla uscire da quella prigione. Vedi il trailer.
Gatta Cenerentola – Nave Megaride
La nave Megaride
La nave registra qualsiasi cosa accada al suo interno e lo riproduce in ologrammi, figure che vagano per le stanze e i corridoi. Come dei ex machina, questi riportano al presente quello che poteva essere e non è stato, la cruda realtà di una Napoli non pronta per l’innovazione ed il lieto fine, i dolorosi ricordi di una felicità ormai arrugginita.
Il film è coraggioso, va oltre i limiti del film di denuncia. Prende il titolo dell’opera che celebra la gloria di Napoli e ne racconta il decadimento. Prende gli stessi personaggi, li priva delle loro vesti sfarzose e gliene mette delle altre, più sporche e spudorate. Poi li colloca in ambienti altrettanto sconsacrati, come l’Asso di Bastoni, uno squallido bordello col nome del personaggio che, nell’opera teatrale, fa le veci del pensiero di De Simone, lodando Napoli e sbeffeggiando chi la denigra.
Curioso come l’asso di bastoni, nella cartomanzia napoletana, venga interpretata in entrambi i modi a seconda di come è rivolta la carta. Se è dritta è fortuna e successo, se è al rovescio è il fallimento. Con ciò possiamo constatare che l’Asso di Bastoni rappresenta Napoli, ora come allora, ma una Napoli rovesciata dalla criminalità e dalla malamministrazione. E la Gatta, impotente davanti a questa sciagura, non può fare altro che spiare, dai suoi condotti, questo mare di contraddizioni e bugie, ed esserne principessa inconsapevole.