Blade Runner 2049

Blade Runner 2049
Blade Runner 2049 – Los Angeles

Los Angeles 2049. Una città in un futuro forse neanche troppo distopico, atrofizzata nella sua atmosfera rarefatta e sabbiosa.  I suoi abitanti, umani e non, muovono indifferenti le loro vite. Tra di loro, chi caccia replicanti classificati come difettosi, è chiamato ancora Blade Runner.
Così, nelle strade della stessa città già raccontata da Ridley Scott nel 1982, si narra la storia di K (Ryan Gosling), cacciatore di androidi, come lui. Sotto le direttive di Joshi (Robin Wright), K trascorre la routine delle sue giornate alla ricerca di androidi considerati ribelli. Sarà proprio una di queste missioni a portarlo sulle tracce di Deckard (Harrison Ford) per risolvere un mistero di molti anni prima.

Diretto dal regista di Arrival (2016), Denis Villeneuve, il sequel del cult tratto dalle pagine di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? si concede di non modificare il mondo creato nell’originale Blade Runner, ma scava lentamente al suo interno. Guarda il trailer.
Attraverso una narrazione dai tempi dissonanti rispetto a quelli più sincopati dei blockbuster hollywoodiani, il film assume un sapore intimo dando spazio alla manifestazione di un vuoto esistenziale e rivelatorio di una solitudine collettiva. Un vuoto percepito attraverso una sceneggiatura composta di parole e discorsi appena accennati, specchio di una realtà isolata e dormiente.
L’estetica stessa del film è attraversata da toni e colori che rendono la realtà tanto vera quanto inafferrabile e relega i personaggi che la abitano all’interno di spazi definiti senza possibilità di connessione.

Blade Runner 2049
Blade Runner 2049

L’uomo è completamente avvolto e costretto all’interno di un mondo sempre più artificiale e tecnologico. Non essendo più in grado di esprimersi, ma solamente di compiere azioni a comando, è più meccanico di un androide stesso. Al contrario, sono proprio gli androidi i custodi di un desiderio di umanità che si risveglia lentamente nel corso del film. Non è un caso che il personaggio emblematico della ricerca di questa identità emotiva sia Joi (Ana De Armas), ologramma disegnata interamente per soddisfare i desideri del suo possessore.
E mentre assistiamo al coming of age di Joi, anche il replicante Gosling inizia il suo risveglio, lento e costante, che si manifesta attraverso un ricordo inafferrabile come un sogno. E nel ricordo s’intuisce l’importanza della memoria, tema sempre presente nella letteratura e nel cinema di fantascienza, basti pensare Westworld (HBO), Electric Dreams (Channel4) e allo stesso Arrival.

Nel corso del film, sembra di essere invitati implicitamente a una discussione profonda su noi stessi, facendo prevalere la necessità di riscoprire una connessione che non sia più unicamente fisica o meccanica, ma comunicativa. Di nuovo, più umana.
Così, attraversando quei luoghi e spazi desolati tuttavia resi eterei ed ammalianti dalla tecnica del direttore della fotografia Roger Deakins (Sicario, A Single Man), Blade Runner 2049 trova una propria personalità.

Blade Runner
Blade Runner (1982)

Infatti, per quanto sia possibile rintracciare la parentela che lo lega al film di Scott, dalla presenza di Rachel (una digitalizzata Sean Young) alla neve che cade sul corpo ferito di K, si tratta per lo più di richiami e somiglianze lontane come quelle osservabili nel volto di un figlio. Simile ma non identico, legato ma non vincolato. Un figlio che, per quanto generato dal padre, ne è indipendente, che non pone più domande esistenziali, ma riflette su se stesso.

Nonostante la sua discendenza da Blade Runner, il sequel 2049 ha una propria voce che è stata apprezzata dalla critica mondiale. E benché lontani dal sapere se riuscirà ad inserirsi all’interno di quei film di genere che hanno fatto storia, è già riuscito tuttavia ad attirare quelle critiche positive che il suo predecessore trovò solo in un secondo tempo.

In tutte e due le pellicole intraprendiamo un percorso di scoperta. Là dove Blade Runner, l’originale (guarda il trailer) ci conduce in un viaggio attraverso l’universo, esterno, risollevando quelle domande esistenziali ancora irrisolte dell’uomo e mettendo in discussione ogni certezza, il suo sequel percorre la direzione opposta. Si tratta, infatti, di un viaggio discendente.

Blade Runner
Blade Runner – Unicorno

Ad accompagnarci silenziosamente in questo cammino sono due artefatti,  un origami dalla forma di unicorno allora e un cavallino di legno adesso. Mentre il primo rivela una costituzione fragile, distruttibile, è allo stesso tempo generatore di sogni di conoscenza, gli stessi che portano i Replicanti alla ricerca di un sé interiore nella speranza di realizzare il loro desiderio di essere a tutti gli effetti umani. Così in Blade Runner 2049 il cavallo di legno può essere preso a metafora di un viaggio al contrario, alla scoperta delle radici della nostra essenza. Mancano emozioni ed empatia, che sembrano ormai completamente perdute in questo nuovo mondo; differentemente dal primo film in cui erano gli stessi sentimenti propulsori delle azioni.

2049 non ci rivela qualcosa di più rispetto al noir di Ridley Scott sulla natura di Deckard, non scopriamo se sia effettivamente un replicante o un uomo, ma non è questo quello che conta.  Al contrario, ciò che vale la pena sottolineare sono le esperienze dei due personaggi, solitari e cupi, e la loro conseguente differente percezione di sé.
Tanto Deckard dovrà confrontarsi con dubbi e domande poste da ciò che lo circonda, in particolare dalla figura di Roy Butter (Rutger Hauer) e dei suoi compagni, per rifletterle in un personale ed intimo cambiamento emotivo, tanto K esprimerà il suo dibattito interno nel mondo esterno che lo circonda, attraverso uno strenuo combattimento fisico. Ed entrambi connessi da persistenti memorie di un passato remoto e di un possibile futuro.

Senza dubbio il lavoro fatto da Villeneuve muove dal lascito di Scott, senza però cadere in un facile sentimento di nostalgia, anzi. Riesce a creare un sequel composto ed elegante, raffinato nelle sue domande senza tempo che lascia libero lo spettatore di discutere e dibattere su di esse senza fornire le risposte.
Ed è in questa totale libertà dello spettatore di cercare le proprie risposte così come in quella dei propri personaggi, che BR2049 rivela tutta la propria contemporanea identità.

Flavia Monaldi

Flavia Monaldi

Amante del cinema tanto da averne fatto il mio mestiere, costantemente a lavoro su quel sogno americano che mi ha fatto viaggiare un po' qua e un po' là e che continua a spingermi verso l'infinito ed oltre.

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