Il palazzo d’inverno di Eva Stachniak

La fondazione della maggior parte delle città europee risale perlomeno al Medioevo. Fa quindi una certa impressione pensare che là dove sorge San Pietroburgo non esisteva nulla prima del 1703. Fu in quell’anno, infatti, che Pietro il Grande installò una fortezza russa su un’isola del fiume Neva, appena strappata agli svedesi. Partirà da lì la costruzione della città che non a caso Puskin ne Il cavaliere di bronzo definì “creatura di Pietro”. Ancora oggi, San Pietroburgo mostra una straordinaria unità architettonica, dove dominano i palazzi del ‘700, sospesi tra barocco e rococò, affiancati dal neoclassicismo di primo ‘800.

Il Palazzo d’inverno di Eva Stachniak
Il Palazzo d’inverno di Eva Stachniak

La più europea tra le città russe è stata edificata da architetti italiani come Domenico Trezzini e Bartolomeo Rastrelli, decorata da statue di scultori francesi mentre le varie isole che la compongono sono state unite da ponti progettati da russi e inglesi.
Percorrendo le sale che contengono l’imponente collezione del Museo dell’Ermitage, con stucchi, marmi, dorature, cristalli, vasi di malachite e granito, scalinate, corridoi affrescati e sale da ballo, si respira un’opulenza sfacciata. Qui tutto è manifestazione del gusto e della volontà di affermazione di zar e zarine che dall’allora capitale governavano l’immenso territorio russo. E se percorrendo a bocca aperta queste sale si dovesse finire per sentirsi travolti da tanto splendore, allora forse vale la pena farsi aiutare dalla letteratura per non dimenticare l’altra faccia della medaglia, il costo del potere e della ricchezza.

Fra le pareti del Palazzo d’Inverno, l’edificio principale dell’Ermitage voluto dalla zarina Elisabetta, si sono orditi intrighi e consumati giochi di potere fra i più sfacciati e drammatici. Ne sentiamo un’eco straordinariamente viva e coinvolgente ne Il palazzo d’inverno di Eva Stachniak (edito da Beat). La protagonista, Varvara Nikolaevna, racconta in prima persona la sua carriera di spia di palazzo.

“Io ero una ‘lingua’, una ‘gazzetta’, la portatrice della ‘verità dei sussurri’.”

Orfana di un legatore polacco, più istruita di quanto le sue condizioni economiche avrebbero dovuto permettere, viene accolta come cameriera a palazzo dalla zarina Elisabetta, figlia minore di Pietro il Grande. Attaccata al potere e quindi sempre inquieta, Elisabetta si affida a varie lingue, ognuna ignara delle altre. Varvara, per sopravvivere e migliorare la sua misera condizione, si ritrova ad essere contemporaneamente al servizio di Elisabetta e del cancelliere Bestužev, e a tenere compagnia all’inetto erede al trono, il granduca Pietro Fëdorovič.

“Avevo sedici anni. Credevo ancora nella storiella in cui credono tutte le persone prive di autorità, e cioè che i potenti governerebbero diversamente se soltanto sapessero ciò che viene loro tenuto nascosto.”

E così, piena di speranza, prova a cambiare il suo destino e, nel suo piccolo, a influenzare quello della Russia, pur essendo in realtà nelle mani di Bestužev.

Il Palazzo d’inverno. Cronache Letterarie
Il Palazzo d’Inverno

“Dove termina il destino e inizia la scelta?”

Si domanda Varvara. Per lei il momento decisivo è l’arrivo alla corte di San Pietroburgo di Sofia di Anhalt-Zerbst, destinata a diventare la sposa di Pietro. Giovane, ingenua, pura, ma soprattutto desiderosa di compiacere Elisabetta. Agli occhi ormai attenti di Varvara è praticamente un agnello sacrificale.

“I segreti erano come cadaveri di naufraghi, monete deformate, lucide schegge di vetro coperte di fango. Inutili, per chi non sapeva da dove provenissero; tesori, per chi invece lo sapeva.”

Varvara decide quindi di aiutarla a districarsi fra quei segreti e di mostrare un po’ di simpatia e affetto all’altra straniera a corte. Per quanto invisibile però, Varvara non può nascondersi da Bestužev, che non accetta la sua piccola rivendicazione di indipendenza. Così il cancelliere strattona il suo guinzaglio e la costringe a rientrare nei ranghi attraverso il matrimonio con un soldato, un uomo tutto sommato buono ma che non ama, perlomeno all’inizio, e che le darà una figlia.

E sarà proprio il desiderio di tutelare sua figlia, di garantirle un futuro privo degli stenti ed umiliazioni che aveva subìto, a spingerla ad appoggiare sempre più Caterina nei giochi di potere e a coprirne gli intrighi amorosi. Varvara finisce col vivere due vite: la sua, piena di preoccupazioni e responsabilità, e quella di Caterina, alla disperata ricerca di un po’ di libertà. I suoi ricordi sono sempre più filtrati attraverso le vicende della futura zarina. Punta tutto su di lei, crede che possa portare con sé una nuova era fatta di luce ed ideali illuministi, di opportunità per tutti. Ma il tono del suo racconto è amaro e velato di malinconia.

La Stachniak è bravissima a ricreare quel mondo, a farci sentire la claustrofobia delle stanze anguste, il freddo degli spifferi che s’intrufolano dappertutto nel palazzo voluto e sognato da Elisabetta. Udiamo lo sfrigolare dei ciocchi di betulle nei camini e vediamo il baluginare della luce delle candele, sentiamo il fruscio delle sete mescolarsi ai bisbigli, finché occasionalmente la scena non si sposta all’esterno, nei giardini curati delle residenze estive. Dietro tutto questo, come dietro i fondali di cartapesta dei finti villaggi che Potëmkin avrebbe poi costruito in Crimea, si cela la difficile vita dei servitori, di chi lotta per veder riconosciuti i propri sforzi. Come Egor, il marito di Varvara, pronto a gettarsi in battaglia nel vano tentativo di ottenere una promozione e un avanzamento per la propria famiglia.

La scrittrice adotta uno stile in linea con il tempo, dando a Varvara una voce realistica, moderna nei contenuti ma densa di immagini poetiche e metafore legate alla Russia del ‘700. Scorrevole e appassionante, la lettura è un’ottima ricostruzione storica, seppur romanzata e con un punto di vista intimista. Attraversando la teoria di sale sfarzose del Palazzo d’Inverno dopo aver letto questo romanzo, vi risulterà impossibile non pensare alle tante Varvara che vi si saranno mosse, segnando con le loro piccole storie la Storia dei Romanov. Quindi buon viaggio, San Pietroburgo vi aspetta… nella realtà e fra queste pagine.

Marzia Flamini

Marzia Flamini

Prima di approdare alla Finarte, sono stata assistente in una galleria d'arte a Via Margutta, guida turistica e stageur fra musei, case d’asta e la rivista ArteeCritica. Vivo circondata dai libri, vado al cinema più spesso di quanto sia consigliabile e viaggio appena posso.

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