In un tempo in cui le serie tv sono sempre più film d’avanguardia adattati al piccolo schermo è difficile, per i nostalgici della normale quotidianità, trovare un cantuccio che permetta di rivivere lo spirito friendly di un tempo, senza “sapere di vecchio” già dalla locandina.
Dopo la delusione di Easy – uno dei pochi passi falsi made in Netflix – il vuoto lasciato da Fresh Meat e dal revival dell’insuperato cult anni Duemila Una mamma per amica sembrava ormai destinato a restare una ferita non cicatrizzabile, curata alla bell’e meglio da qualche mediocre riempitivo d’occasione, al pari di un grande amore che stenta ad uscirsene dal cuore.
Fino a che, in una serata apatica – di quelle in cui si è finalmente liberi di far ciò che si vuole ma si è troppo stanchi per farlo – i venti minuti di scrolling intensissimo su Netflix si concludono con un curioso colpo d’occhio sull’immagine di tre ragazzi stravaccati sul divano. Dall’espressione sembrano me e i miei amici mentre cerchiamo di capire se le nuove serie tv potranno mai, un giorno o l’altro, tornare ad incontrare il gusto di chi, come noi, vive anacronisticamente tra la Contea di Orange e la Cyprus Rhodes University di Greek – La confraternita. Decido che mi piace, anche se quei tre, con ogni probabilità, non stanno guardando la tv e non avranno niente a che fare con ricchi viziati e problematici, o matricole universitarie sottoposte a strampalati riti di iniziazione.
Clicco sulla prima stagione, più incuriosita che fiduciosa da questo Lovesick (guarda il trailer) che già dal titolo potrebbe promettere di tutto: è la storia di un amore malato, una trasposizione un po’ più gaia e moderna di quel filone del teen drama che quasi aveva monopolizzato i palinsesti Mediaset nei bei tempi vagheggiati? O è, piuttosto, un gioco di parole più profondo, velatamente provocatorio, pronto a sconvolgere l’orizzonte d’attesa dello spettatore? Bastano i primi secondi del pilot per farmi capire che si tratta, decisamente, della seconda possibilità.
L’amore, c’è, ed è malato, ma non nel senso cui siamo soliti pensare. Niente triangoli, niente inviti respinti, nessuna madre sorpresa a flirtare con il proprio ex storico. Dylan (Johnny Flynn), il protagonista, cerca sì la donna della vita ma l’unica cosa che trova, a mo’ di beffa, è la clamidia. Da qui l’idea – perché Dylan è corretto, dolcissimo, uno di quelli che a posteriori ti chiedi come sia possibile non scapparci insieme e farci figli – di redigere una lista di tutte le partner sessuali eventualmente contagiate. Ragazze da richiamare una a una, dopo anni, alcune – molte – dopo una sola notte insieme.
Non per niente, il titolo originale della serie era proprio Scrotall Recall. Duro, diretto, politicamente scorretto e adatto forse più dell’attuale a restituire il clima di irriverenza che nella sitcom tragedy si respira a pieni polmoni. È pur vero, però, che i patemi d’animo e i trascorsi erotici imbarazzanti dell’amabile protagonista occupano uno spazio troppo vasto per rifiutare in toto la scelta del cambio nome, pur se compiuta – come temo – nel segno di una strategia mirata agli ascolti (la prima stagione era andata in onda nell’autunno 2014 su Channel 4).
In ogni caso, ciò che conta è l’effettiva riuscita di un prodotto che, pur con titolo edulcorato riesce a sovvertire tutte le certezze. Dylan è teneramente sfigato come nessun personaggio era mai stato, nemmeno quel Seth Cohen che in The O.C. era riuscito nell’impresa di trasformare il nerd in irresistibile sex symbol. Si circonda di amici assurdi, come il coinquilino womanizer Luke (Daniel Ings) che tenta di dimenticare la bionda ex, passando da un letto all’altro e facendo del casino nostalgico-adolescenziale l’unica ragione di vita. La sola figura apparentemente più stereotipata è Evie (Antonia Thomas, già vista in Misfits), cinica e disillusa amica del protagonista che combatte – secondo un cliché ripetuto ma qui comunque rinnovato – contro la palese verità secondo cui è Dylan, e lui solo, l’uomo della vita.
I tre funzionano alla perfezione, in un gioco di complicità e contrasti che li conduce a mettersi a nudo singolarmente, o in sincronica, all’interno degli episodi che portano ognuno il nome di una ex “richiamata”. E non è attingendo ai ricordi di Dylan che il creatore Tom Edge decide di presentare la guest di puntata, bensì realizzando una serie di flashback che, con immediatezza e coinvolgimento, permettono allo spettatore di cogliere senza complicazioni le sfaccettature di ogni personaggio, afflitto seppur in misura diversa da una sindrome di Peter Pan che fatica ad essere sconfitta.
Le figure di contorno, apparenti macchiette dal sapore goliardico, sono in realtà caratteristi perfetti, capaci di contribuire alla creazione di quell’atmosfera di leggerezza surreale tipica dell’umorismo british che mancava da troppo nel panorama della fiction. L’immaturo – tanto per cambiare – Angus (Joshua McGuire) e la sua terribile moglie Helen (Aimee Parkes), ma anche le ex di Luke, gli amori impossibili di Dylan sono tutte pedine perfette di un gioco al limite del grottesco che ha, come unico scopo, quello della risata pulita senza retropensieri, né sciocche volgarità.
Il risultato è quello di una sitcom godibile, freschissima, la cui unica pecca è quella di comporsi di episodi di soli 25 minuti. Nel giro di due giorni si rischia già di averla conclusa: come riempire, ora, il vuoto lasciato da Lovesick?