I creatori dello spot del Buondì Motta hanno fatto esattamente lo stesso ragionamento che c’è in The Square. Prendiamo la famiglia felice della pubblicità, quella che fa colazione nel giardino davanti alla casa, e sterminiamola. Così un meteorite colpisce e incenerisce prima la mamma e in una seconda clip anche il papà, colpevoli di non aver trovato la colazione giusta alla bambina. Analogamente in The Square i pubblicitari si chiedono come promuovere al meglio un’opera d’arte contemporanea, un’istallazione che consiste in un semplice quadrato tracciato nella piazza davanti al museo, la cui legenda recita: “Il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”.
Sì, d’accordo, ma i pubblicitari (che sembrano gli sceneggiatori di Boris) ritengono questo messaggio troppo blando e positivo, decidono quindi di rovesciarlo per poter realizzare un video che diventi virale. I creativi del marketing si chiedono: quali sono le categorie di persone che più attirano l’attenzione della gente? In testa ci sono i mendicanti. Perciò prendono una mendicante bambina, la fanno entrare nel quadrato e saltare in aria. Ovviamente succede la fine del mondo, peggio che per lo spot del Buondì Motta che almeno era ironico. Christian (l’attore danese Claes Bang), direttore del museo e protagonista del film, è in un mare di guai. Tra l’altro lui quel video non lo aveva neanche visto.
Questo strano film fa pensare a Buñuel perché si diverte a mettere lo spettatore in situazioni imbarazzanti ed esplora i limiti della comunicazione. I limiti della comunicazione nell’arte, nella promozione pubblicitaria, nelle relazioni sessuali. Può essere anche fastidioso e respingente come nella scena dell’uomo scimmia (Terry Notary) che irrompe in una cena di gala piena di gente in smoking. Prima è stato detto a tutti di non reagire, di non parlare con lo scimmione, di restare più fermi possibile e non guardarlo negli occhi.
La scena diventa un test anche per lo spettatore che è costretto a chiedersi cosa farebbe. E’ una specie di test di Turing per stabilire la natura artistica di ciò che avviene. L’uomo scimmia è dentro o fuori dal quadrato dell’arte? La scena ti lascia per tutto il tempo col fiato sospeso. Sentivo le persone al mio fianco che friggevano sulle poltrone del cinema come se fossero state anche loro invitate al banchetto. La situazione può essere respingente proprio come quella della bambina esplosa. Forse anche di più.
L’uomo che reagisce (Dominic West), sappiamo che è uno scrittore, lo abbiamo visto in un’altra scena mentre veniva intervistato sul suo libro (e lo abbiamo visto fare lo scrittore in The Affair). Lui fa tutto quello che gli è stato detto di evitare, ma che verrebbe spontaneo fare. Lo guarda, si gira, reagisce, gli parla, ride, lo sfida addirittura. La scena è lunga; non dico altro per non guastarvi il piacere di vedere il film.
Il regista svedese Ruben Östlund sembra chiedersi: a chi parla e cosa dice l’arte contemporanea ora che si sono persi i concetti classici di bellezza, di irripetibilità e di maestria realizzativa? Che rappresentano quei mucchietti di ghiaia per terra in una sala del museo?
E’ il principio del ready made di Marchel Duchamp per cui basta la cornice (the square), ovvero l’intenzione, per rendere un oggetto arte. Anche un volgare oggetto quotidiano, come l’orinatoio, messo in un museo diventa un’opera d’arte. Anche la borsa di Elisabeth Moss.
La Moss (Mad Men, Top of the Lake, The Handmaid’s Tale) interpreta la giornalista americana ed è fantastica! Tutte le scene con lei sono molto divertenti. Anche qui si esplorano i limiti di una comunicazione: quella che c’è tra due che sono andati a letto conoscendosi appena. Una situazione abbastanza frequente nel mondo contemporaneo. Che succede in questi casi? Che ci si dice? La giornalista impone dei limiti al comportamento di Christian. Uno scimpanzé passeggia nel suo appartamento prima che i due facciano sesso: siamo tornati a uno stato di natura dove non c’è più nessuna regola culturale proprio come per gli animali? No, le regole ci sono. La giornalista chiude la porta e la natura resta fuori, la cultura è dentro.
La scena del preservativo poi è esilarante.
Bellissima anche la scena in cui la giornalista e Christian discutono davanti alla installazione che precipita. Per il principio del ready made diventano anche loro parte dell’installazione che crolla.
Lei: Tu prendi donne che non conosci molto bene e fai sesso con loro. Sai i loro nomi?
Lui: Sì
Lei: Allora qual è il mio?
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Quali sono i limiti della comunicazione artistica,
di quello che si può esprimere con l’arte?
Il quadrato parla di fiducia e amore ma questo non crea nessun interesse, non può diffondersi, non crea condivisione. Affinché interessi deve trasformarsi nel suo contrario. Così prendono un’opera d’arte il cui senso è nel messaggio di uguaglianza e solidarietà e lo ribaltano facendo esplodere la piccola fiammiferaia. Ora è virale.
L’uomo scimmia che irrompe nella sala del banchetto è uscito dal quadrato dell’arte, oppure è ancora dentro? Dentro al quadrato dell’arte si può fare qualsiasi cosa, anche far esplodere una bambina perché tanto è metafora? Oppure si rischia di sconfinare?
Sembra che tutto sia assurdo, invece ci sono regole per la comunicazione e bisogna rispettarle. Sono difficili da gestire, da comprendere, ma bisogna imparare a farlo altrimenti si resta tagliati fuori.
Premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes, The Square è un film ricco, al punto che ti viene voglia di rivederlo perché ti resta la sensazione che ti sia sfuggito qualcosa. Un film originale, strano, inclassificabile che regge egregiamente le sue due ore e venti. Molto riuscita anche la colonna sonora.
Ruben Östlund, al suo secondo lungometraggio dopo Forza maggiore, racconta che ha avuto l’idea del film perché sei anni fa ha realizzato un’istallazione simile a The Square, insieme al suo produttore Kalle Boman, per un museo svedese.
Da allora ha passato un sacco di tempo a visitare e “investigare” i musei d’arte contemporanea e gli pare che abbiano perso ogni contatto col mondo in cui viviamo. Sembrano rituali e convenzioni che si ripetono per se stessi, privi di agganci con la nostra vita. Anche perché dopo un po’ ogni provocazione diventa tradizione e perde il suo potere provocatorio.
Al regista è stato chiesto che senso abbia lo scimpanzé (quello vero) che a un certo punto si vede nella casa di Elisabeth Moss. “Tutto può succedere in un film in cui una scimmia appare all’improvviso in un appartamento” ha risposto e poi ha aggiunto: “Io amo le scimmie. Dovrebbe esserci una scimmia in ogni cosa”.
Grazie Tiziana per questo commento molto esaustivo del film The Square,mi hai risolto molti dubbi che avevo avuto durante la visione del film. Un po’ l’avevo patito a causa di quelle scene angoscianti che hai descritto,ma a mente fredda convengo che sul fatto che sia un film originale ed elegante con un protagonista very classy,un film come non si vedeva da tempo
Forse il messaggio del film (mi si perdoni questa trita e ritrita espressione) è:
E se il mondo dell’arte contemporanea (che leggiamo sulle riviste specializzate), la politica (che vediamo alla TV), i terroristi barbuti (che vediamo anche quelli in TV), il mondo della pubblicità (che vediamo dappertutto….), e soprattutto il grande circo mediatico non fossero altro che un’unica colossale presa per il culo??? Meditate gente, meditate….
Ok Vincenzo, direi che la mia interpretazione non esclude la tua… 😉
@Patty grazie!
Infatti. È proprio leggendo la tua recensione arguta, che sono giunto a questa conclusione! 😉