Una schiera di soldati che marciano, un gruppo di uomini e donne nudi che si coprono a vicenda per la vergogna, colpi di pistola, lavori forzati, animali che corrono per il palco e vestiti gettati alla rinfusa. Tutto ciò potrebbe ricordarvi una qualunque rappresentazione sulla Shoah o sul tema della guerra, ma non in questo caso.
Sto parlando delle Bestie di scena, spettacolo di Emma Dante prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, andato in scena al Teatro Argentina di Roma dal 13 al 22 ottobre. La pièce, atto unico di 75 minuti, vuole rappresentare la figura dell’attore, essere rigoroso che pian piano si scopre in tutta la sua animalità.
Appena si entra in sala si può vedere il palco con sipario aperto, dove un gruppo di attori fa dei normalissimi esercizi di riscaldamento. Pian piano le luci si abbassano, senza però mai spegnersi del tutto, e il gruppo si chiude sempre di più su se stesso, divenendo un unico blocco che marcia. Uno ad uno, da questo blocco, si separano i vari elementi che si affacciano sul proscenio ed iniziano a spogliarsi, usando le vesti per asciugarsi il sudore per poi gettarle a un passo dalla prima fila. Tutto ciò va avanti fino a quando non rimangono con più nulla addosso, neanche l’umanità.
Inizialmente vi è la vergogna. Ognuno cerca di coprire le nudità come può, arrivando perfino a coprirsi l’un l’altro quando dalle quinte viene gettata una tanica dalla quale gli esseri possono dissetarsi. La situazione diviene sempre più confusa, fino a che, marciando in silenzio sempre proteggendosi le pudenda, viene gettato dalle quinte un gigantesco lenzuolo, sotto il quale il gruppo piano piano si nasconde.
Questo momento di silenzio assoluto precede il caos.
Prima i petardi, poi una bambola, poi un fioretto, poi delle arachidi. Tutti questi oggetti di scena causeranno in ognuno di loro una metamorfosi, una sorta di attacco alla quale ogni attore è obbligato a rispondere. C’è chi si difende dai falsi spari con esercizi acrobatici, chi emula i movimenti della bambola, chi è costretta a ballare al suono di un carillon, chi si trasforma in spadaccino e chi, alla vista delle noccioline, abbandona ogni singola parvenza umana, trasformandosi in una scimmia.
Ad ogni azione corrisponde una reazione. Gli attori sono costretti a tornare alla realtà ogni qual volta dovranno sistemare i danni del loro caos, come quando vengono date loro delle pezze per pulire, dopo aver bagnato tutto il palco lavandosi, oppure quando saranno costretti a spazzare via tutte le bucce di arachidi.
Lo spettacolo va avanti così fino a quando, dalle quinte, vengono gettati sul palco una marea di vestiti e viene così ricordato agli esseri chi sono davvero, ma ormai non importa più. Rimangono immobili, sul proscenio, nudi, da dove tutto è iniziato.
Questo spettacolo è considerato il punto di arrivo della carriera artistica della regista siciliana: il suo lavoro, caratterizzato dall’uso della lingua come polifonia tra dialetto siciliano e lingua italiana e dal ritmo serrato dei movimenti scenici, arriva ad un teatro che plasma il corpo dell’attore in base ai suoi istinti più reconditi. Lo spettacolo, che ci invita ad intraprendere un percorso alla ricerca di noi stessi attraverso la rappresentazione della perdita della parola e della ragione, raggiunge una dimensione assoluta in cui, alla fine, il corpo rimane solo.
L’atmosfera ricorda una situazione di prigionia. Caratterizzante è la completa oscurità dello scenario, composto dal solo fondale nero, e il lancio di oggetti in scena dalle sei quinte ai lati. Il gruppo di attori-prigionieri è costretto a reagire al lancio degli oggetti da parte dei sadici e ignoti carcerari che in un certo senso possono rappresentare la figura del regista, il quale obbliga l’attore a muoversi e reagire in una determinata azione.
Lo spettacolo si sviluppa in un lento progresso-regresso, dove l’attore viene liberato dalla sua condizione e può quindi rivestirsi e scappare via, ma volontariamente non lo fa, poiché non ha più nulla da rivestire, se non un corpo svuotato della volontà.
L’attore non è più umano e non è neanche più una bestia: è un burattino, un androide, un esoscheletro. Contrariamente ad Adamo ed Eva, che vengono cacciati dall’Eden carichi di vergogna e peccato, il gruppo di attori è libero dai peccati e dalle vergogne, mostrandosi nella sua perfezione artistica, davanti al pubblico, senza alcuna via d’uscita.