Shakespeare, con il suo Re Lear, voleva dimostrare quanto spesso il sangue non valga nulla di fronte al potere e al dominio. L’affetto per un padre, per un fratello, per un figlio, non è nulla rispetto ai possedimenti, alle ricchezze, all’onore. Solo dopo una lunga catena di morti, i personaggi si rendono conto della follia e del nichilismo che li ha portati a stabilire le proprie gerarchie di interessi. Ma troppo tardi e senza più possibilità di giustizia.
Nel riadattamento di Giorgio Barberio Corsetti, in scena al Teatro Argentina dal 21 novembre al 10 dicembre, questi concetti vengono ripresi e serviti, ma con un metodo più moderno e forse anche più primitivo.
Re Lear decide di spartire il suo regno fra le tre figlie Goneril, Regan e Cordelia, dando i terreni più grandi a chi riuscirà ad esprimere meglio il proprio amore verso il padre. Se le prime due, grazie ai loro discorsi melliflui, riescono ad aggiudicarsi l’approvazione del padre, Cordelia, la più piccola, viene ripudiata ed esiliata per la sua unica colpa, la sincerità e l’incapacità di usare la dialettica a fronte delle dimostrazioni. Contemporaneamente, il conte di Gloucester viene ingannato dal figlio illegittimo, Edmund, che gli fa credere che il suo figlio legittimo Edgar, stia complottando contro di lui. Perciò quest’ultimo, per nascondersi dall’ira del padre, fugge e si crea l’identità di Tom il Pazzo.
Queste due storie alla fine si intrecceranno, rivelando la meschinità dei figli ingannatori, che porterà i padri alla pazzia ‒ o alla cecità, nel caso di Gloucester ‒ e l’onestà dei figli rifiutati, che, anche se solo per un istante, doneranno serenità ai cuori dei genitori. Il finale non ha pietà per nessuno, nemmeno per chi non si è macchiato di colpa alcuna, e porta i pochi superstiti a chiedersi come ricostruire il regno distrutto e cosa accadrà nel prossimo futuro.
Lo spettacolo, della durata di tre ore (intervallo incluso), inizialmente disorienta, rispetto all’idea comune che si ha del teatro di Shakespeare: su uno schermo viene proiettata una ripresa dal vivo, che mostra una sorta di party ‒ chiaro riferimento alla scena iniziale de La grande bellezza di Sorrentino ‒ dove tutti, re incluso, si concedono alle danze e allo champagne. La narrazione continua seguendo la drammaturgia della tragedia originale e si può cominciare a notare la particolarità dei cambi di scena, caratterizzati da una scritta proiettata sullo schermo del fondale, che ci indica dove la scena si sta svolgendo, e da un continuo andirivieni di installazioni scenografiche, quali carrelli, tavoli e impalcature che sbucano dalle quinte, o divani che arrivano dall’alto.
Lo spettacolo prosegue in una lenta discesa verso l’oblio, il dolore e la follia, che raggiunge il picco massimo nell’accecamento di Gloucester da parte di Cornovaglia e Regan, scena che taglia di netto lo spettacolo in due parti: la prima, dettata da complotti sussurrati, lettere false e piani nascosti; la seconda, in cui violenza e gelosia distruggono pian piano chiunque sia coinvolto, lasciando silenzio e vuoto dietro di loro.
La musica, suonata dal vivo da Luca Nostro, è metallica e tagliente, graffia come unghie su una lavagna. I costumi, moderni e inizialmente eleganti nelle loro monocromie, sembrano anche quelli perdere carattere e speranza; così il possente vestito rosso damascato di Lear viene sostituito con delle vesti da mendicante. Le proiezioni ci immergono in un’atmosfera ostile, da incubo. Esse iniettano la stessa pazzia di Lear che vede le figlie diventare un unico mostro. Un mostro rappresentato metaforicamente da un organo genitale femminile dal quale trapela tutto ciò che c’è di cattivo nel mondo. Organo genitale evocato da una tela calata dall’alto sul palco, con un lungo squarcio centrale alla Fontana.
Tutti questi elementi scenici hanno l’effetto di un pugno nello stomaco: svegliano, devastano, turbano e fanno andare via dal teatro con un disagio dentro. Così come fece la cultura punk tra gli anni ’70 e ’80, Barberio Corsetti, con l’innovazione e la tecnologia dei nostri tempi, ha “sporcato” la drammaturgia classica shakespeariana per sconvolgere e lasciare un messaggio più violento e diretto di quello che è il significato profondo del Re Lear: la lotta al potere non guarda in faccia all’affetto e ai valori e chi ne paga le conseguenze è spesso chi ha provato a dare fiducia al futuro.
Re Lear
di William Shakespeare
Traduzione Cesare Garboli
Regia e adattamento Giorgio Barberio Corsetti
con Ennio Fantastichini
e Michele Di Mauro, Roberto Rustioni, Francesco Villano, Francesca Ciocchetti, Sara Putignano
Alice Giroldini, Mariano Pirrello, Pierluigi Corallo, Gabriele Portoghese, Andrea Di Casa
Antonio Bannò, Zoe Zolferino
Scene e costumi Francesco Esposito
Luci Gianluca Cappelletti
Musiche composte e eseguite dal vivo Luca Nostro
Ideazione e realizzazione video Igor Renzetti e Lorenzo Bruno
Assistente alla regia Giacomo Bisordi
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Biondo di Palermo