Gerusalemme. Il rebus impossibile (parte seconda)

La prima volta a Gerusalemme sono finito tra i soldati in fila al Museo, la seconda ci sono arrivato per sbaglio. La mia terza volta nella città santa è quella buona. Quella in cui, finalmente, riesco ad entrare nel luogo più sacro del mondo”. Continua il racconto di Luigi Maria Perotti su Gerusalemme (qui trovi la prima parte).

Mi definisco un credente assai poco praticante. Eppure non così poco da andare a Gerusalemme e non visitare il Santo Sepolcro. La Città Vecchia è un posto che vale la pena visitare almeno una volta nella vita. Ogni strada, ogni cunicolo ha una storia. Vivo a Roma e trascorro lì gran parte del mio tempo, quindi so che significa sentirsi piccoli davanti alla storia, ma la Città Vecchia di Gerusalemme ha un sapore diverso.

Gerusalemme
Sacro Sepolcro

A dire il vero l’Old City non è il nucleo originario della città. Quello è sul monte Sion, fuori dalle mura bianche fatte costruire da Solimano nel 1500. Il nucleo originario della città, la Gerusalemme dove visse Gesù Cristo, per intenderci, quella che i romani rasero al suolo insieme al Tempio nel 70 dopo Cristo, oggi lo chiamiamo Città di David.

Gerusalemme, la città vecchia

La Città Vecchia invece sorge intorno ad un monte di fondamentale importanza per le tre religioni monoteistiche. Nell’Antico Testamento è indicato come il luogo dove Abramo avrebbe dovuto sacrificare suo figlio Isacco. Le interpretazioni sulla reale posizione di quel luogo sono diverse, ma proprio lì, nel X secolo A.C. il re Salomone decise di costruire quella che avrebbe dovuto essere la casa di Dio: il primo tempio ebraico. “Primo” perché poi fu distrutto due volte: nel 587 A.C. dal babilonese Nabucodonossor e in seguito dal generale romano Tito.

Passeggiando per le strette vie della Città Vecchia, tra pellegrini, turisti, periodiche rievocazioni della via Crucis e simpatiche signorine con il mitra di cui parlerò più avanti, cercavo di ricordare quello che avevo ascoltato da ragazzino durante l’ora di religione. E qui ti accorgi che ti hanno raccontato solo una parte della storia. Soffermarsi sulla geografia della Città Vecchia di Gerusalemme, in questo senso, può essere illuminante.
Diciannove anni prima della nascita di Cristo, Erode decide di ampliare il Tempio che i suoi avi avevano ricostruito dopo il ritorno dall’esilio babilonese. Per fare questo, era necessario allargare la spianata sulla cima del monte e costruire un muro di contenimento, a supporto del perimetro della nuova costruzione. Quello che sembra essere un dettaglio ingegneristico, si rivelerà poi importantissimo, perché quando i romani distruggeranno il Tempio, il muro di cinta occidentale del cortile esterno è l’unica cosa a rimanere in piedi.

Il generale Tito decide di non abbatterlo, forse pensando che gli sconfitti, ogni volta che ci si sarebbero trovati davanti, avrebbero ricordato quello di cui erano stati capaci i romani. Gli ebrei, da parte loro, attribuirono l’evento ad una promessa divina. Nonostante la catastrofe che li aveva colpiti, Dio aveva deciso di lasciare in piedi una parte del Tempio, come segno del suo immutato legame con il loro popolo.

Per questo, da duemila anni, gli ebrei pregano presso il Muro del Pianto, ritenendo che quel punto sia il più sacro  sulla faccia della Terra. Per entrarci bisogna attraversare un metal detector; uomini e donne pregano separatamente e, ovviamente, c’è bisogno del Kippah, il copricapo degli ebrei, per avervi accesso. E’ un posto intenso, ci sono andato, anche se non ho lasciato nessuna preghiera nelle intercapedini delle pietre, come, invece, fanno tutti gli altri.

Da una piazzetta proprio davanti al Tempio, si gode di una vista che chiarisce tante cose. La spianata su cui un tempo sorgeva il Tempio di Salomone è il terzo luogo più sacro dell’Islam. Proprio sopra il terrapieno che contiene il Muro del pianto, sorge un’enorme cupola dorata. E’ la Cupola della Roccia ed è costruita intorno alla roccia appunto, sulla quale Maometto salì, prima di essere assunto in cielo.

Gerusalemme
Cupola della roccia – Gerusalemme

La distanza tra i due, chiamiamoli irrispettosamente, “monumenti”, ricordo che mi turbò molto. Non sono solo vicinissimi, ma addirittura il muro del Tempio “sostiene” la spianata delle moschee. Al tramonto, il muezzin dal minareto della moschea annuncia l’ora della preghiera, mentre poco più in basso gli ebrei pregano e cantano.

Per un attimo pensi che sia una sorta di gioco a chi riesce a farsi sentire di più. Una specie di gara. Ma poi i canti degli ebrei si fondono con i suoni nel minareto. Il tutto si tinge di colori caldi e per un momento dimentichi che tutto questo, che ti sembra bellissimo, è stato troppo spesso motivo di discordia. E’, per me, il trionfo dell’amore dell’uomo verso ciò che l’ha creato.

Ma le religioni per cui Gerusalemme è una città santa sono tre e una appunto è la mia. Decido, quindi, di fare la Via Dolorosa, quella che ogni Pasqua in Italia rievochiamo come “Via Crucis”.

La Via parte dalla Chiesa della Flagellazione, vicino alla Spianata delle Moschee, dove sorgeva la fortezza Antonia. Ora non c’è più, ma un tempo era il presidio romano a ridosso del Tempio, il luogo dove presumibilmente Ponzio Pilato mandò a morte Gesù Cristo. Dopo un chilometro di tortuose stradine in salita, la Via Dolorosa arriva al luogo dove si svolgevano le crocifissioni: il Calvario. Il Calvario, si dice che lo chiamassero così perché in origine assomigliava alla parte superiore di un cranio, era un’altura rocciosa fuori le mura di Gerusalemme sul monte Sion. Ora è stato inglobato nella Basilica del Santo Sepolcro.

Il Calvario lo avevo sempre immaginato come negli affreschi delle chiese: una brulla collina dove i romani mettevano i condannati in croce. Non che mi aspettassi di vedere la stessa scena oggi, ma non nascondo che vederlo trasformato in una Chiesa mi abbia fatto un effetto strano.

Nel tragitto che si fa per raggiungere il Santo Sepolcro, è impossibile non notare i soldati israeliani. Sono ad ogni angolo. Mi ricordano che questa è sempre Gerusalemme Est e, secondo i palestinesi,  parte di quel territorio su cui il loro stato, quando sarà creato, eserciterà la sua sovranità. Alcuni di loro sono interessanti. Parlano con delle ragazze, sembra quasi che giochino a farsi grandi per attirare l’attenzione.

Gerusalemme

Non resisto e faccio loro una foto. Poi, quando la riguardo, mi accorgo di un particolare. Le ragazze hanno il mitra sotto il braccio. Sono vestite come normali civili, ma hanno un’arma da guerra indossata con la stessa disinvoltura di una borsa alla moda.

La piazza davanti alla Basilica del Santo Sepolcro è piccola. Almeno a me è sembrato così. Ma, forse, è una cosa che capita a chiunque viva a Roma. Ti dici, se quel Cupolone che si erge sulla città è la tomba di Pietro, chissà quanto sarà grande la Chiesa costruita sul posto dove Gesù è morto e risorto. E invece…

Attraversare la porta di ingresso fa un certo effetto. Milioni di persone nel corso dei secoli hanno sognato di essere dove sei tu in quel momento. Sono state fatte molte guerre per questo posto. I nemici erano i mussulmani, gli infedeli. Ma per una sorta di ironia del destino,  la custodia della porta e della chiave del Santo Sepolcro è oggi affidata proprio a due famiglie mussulmane. Per un accordo fatto quasi mille anni fa tra un sultano e papa Innocenzo IV, infatti, i discendenti delle famiglie Nuseibeh e Judeh aprono fisicamente le porte della Chiesa. Beffe del destino.

Poi però ad un certo punto cambia tutto e pensi alla tua vita. O per lo meno a me è successo così. In fondo tutte le messe che ho sentito mi hanno raccontato di cose accadute in questo luogo. Ti metti a guardare da dove vieni e a pensare a dove stai andando.

E’ un momento intimo.

Dal lato pratico, di intimo c’è ben poco. C’è una grande fila per entrare nel Sepolcro. L’attesa è lunga e noiosa.
Una volta dentro, ricordo di aver acceso la telecamera. Ancora non so spiegarmi il motivo. Penso si tratti di un riflesso incondizionato. C’è sempre qualcosa che, quando succede, mi spinge a premere Rec. Non sapevo nemmeno se fossi autorizzato a farlo.

Quella sera, l’ho terminata in un bistrò dove Gerusalemme sembra essere un’altra città. O meglio una città come tante altre. Famiglie che passeggiano, ragazzi che si divertono. Negozi scintillanti, palazzi eleganti ottimi ristoranti.

Alla fine dei conti, Gerusalemme è una città dove è necessario andare.

Per capire davvero quello che non puoi leggere sui giornali. Perché alla fine solo stando lì capisci che, al di là di tutte le opinioni che possiamo esprimere ergendoci ad esperti da stranieri, a determinare veramente le notizie che ogni giorno leggiamo da qualche parte sui media è qualcosa di molto più profondo. Qualcosa che è nascosto in luoghi che il tempo ha trasformato in simboli ed in persone che hanno fatto di questi simboli una quotidianità con cui dover convivere.

Luigi Maria Perotti

Luigi Maria Perotti

Luigi Maria Perotti è un regista di film documentari. I suoi lavori sono distribuiti a livello internazionale al cinema ed in televisione. Attualmente lavora come reporter per la Rai e gira il mondo alla ricerca di storie.

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