Chris Cleave ci porta in guerra con questo romanzo raffinato e molto ben congegnato. Scrittore e giornalista per il Guardian e il Daily Telegraph, il suo stile letterario è migliorato di romanzo in romanzo, fino a questa sua quarta opera: I coraggiosi saranno perdonati.
Londra, 1939. Mary North, di famiglia molto ricca, appena diciottenne, si offre volontaria al War Office. La Guerra contro la Germania nazista è appena cominciata e la ragazza si immagina già nel ruolo di attaché di qualche generale, oppure in divisa da ufficiale di collegamento. Con sua immensa sorpresa, le viene invece assegnata una classe di trenta bambini ai quali fare da maestra.
La selezione dei bambini
Dopo l’iniziale malcontento, la giovane apprezza il suo nuovo impiego, ma quando i bambini della scuola devono essere trasferiti al sicuro in campagna, per evitare i bombardamenti in città, compie alcuni errori che la mettono in contrasto con Miss Vine. La direttrice la rimuove quindi dall’incarico. Mary è furiosa, tanto più quando si rende conto che gli unici bambini rimasti a Londra sono quelli che nessuno vuole: quelli storpi, quelli “strani” e, soprattutto, quelli neri.
Quanto è maledettamente e ciclicamente uguale a se stessa la storia del mondo! I diversi in un modo o nell’altro son sempre soggetti a discriminazione. Che siano eccentrici, o disabili, o di pelle o religione differenti dalla maggioranza, l’emarginazione sociale è la condanna che ne consegue. Fin da piccola, anche se non ne afferravo il senso esatto e la portata, consideravo odiosi tutti i comportamenti non paritari nei confronti di chicchessia.
A scuola, ad esempio, ero “discriminata” perché ero la più bassa della classe e nessuno mi voleva in squadra nei giochi collettivi perché non riuscivo a prendere le palle alte e a correre abbastanza velocemente con le mie gambine magre e corte. Una bazzecola, lo so, ma questo ricordo mi ha sempre fatto riflettere su quanto l’esser discriminati per qualunque motivo, infligga ferite dolorose e profonde all’orgoglio e all’ego di chi le subisce. Ferite alle quali a volte c’è da esser grati perché forniscono gli stimoli a primeggiare nei campi dove questo è possibile, come gli studi, le attività sportive, le discipline artistiche, o la propria professione. Non tutti i mali vengono per nuocere e la fame di riscatto talvolta produce una forza interiore spaventosa che se ben canalizzata, ha effetti portentosi.
Tornando al romanzo, l’evacuazione di Londra, nel 1939, finisce col rivelarsi una specie di brutale “concorso” perché vengono trasferiti in luoghi protetti i bambini più belli e più ricchi, e vengono scartati gli altri.
In città rimangono poche donne, pochi bambini e ancor meno uomini. Fra questi c’è l’ispettore scolastico Tom Shaw, molto fiero di aver accettato di dirigere un distretto scolastico, invece di votarsi alla gloria militare. Tom vive in modo abbastanza tranquillo fino al giorno in cui nel suo ufficio non piomba Mary North, alla ricerca di una nuova occupazione. Dopo un’attenta riflessione Tom decide di darle fiducia e le offre un nuovo incarico come insegnante. In Healey Street. Trimestre primaverile, 1940.
E i due si innamorano. Le passioni fiammeggiano meglio nell’oscurità della guerra. “Stavo pensando che ti amo”, dice Mary, “Anche io”, risponde Tom, travolto dall’Eros e dal rimorso per aver rimosso dai suoi pensieri l’amico fraterno e coinquilino Alistair Heath, ex curatore della Tate Gallery, immerso nel fuoco e nel fango delle trincee, mentre lui è rimasto a Londra fra le braccia di un amore romantico.
Che cosa comunichiamo nel dire “Ti amo” a qualcuno?
La fine di una solitudine, o la speranza di una durata? L’espressione di un bisogno? O il terrore di una perdita? La gioia gratuita di un incontro inatteso? O il dolore di non sentirsi più completi, da soli?
Che imprevisto incidente di cuore! Scontrarsi con una diciottenne così bella, intelligente, anticonformista di cui non può dare per scontata la fedeltà. Potrebbero esserci corteggiatori più fascinosi di lui, più facoltosi, o peggio: capaci di farla ridere. Tom teme enormemente gli uomini capaci di farla ridere. Mary intanto continua ad insegnare ai suoi piccoli, a scrivere, leggere, far di conto e cantare. Cantare nonostante la guerra. Non una classe intera, sono solo otto bambini. C’è anche Zachary Lee, il figlio di un musicista, il bambino che tutti deridono, picchiano e scacciano perché nero e che invece lei adora sopra chiunque altro. “Arriveranno anche a Londra i tedeschi, Signora maestra?” “Certo che no” risponde Miss North.
Intanto l’amico Alistair ritorna dai campi di combattimento per una breve licenza premio, Tom e Mary vanno a trovarlo e portano con loro Hilda, l’amica del cuore di Mary, schietta e cinica. Nel locale si fa musica dal vivo e i quattro si divertono, ma la serata viene interrotta dai ruggiti furibondi dei bombardamenti tedeschi. Mentre anche la contraerea della Raf rumoreggia, si nascondono insieme agli altri nello scantinato. Londra ormai è sotto tiro.
Sia Mary che Hilda sono attratte da Alistair, ma Mary non ha cuore di confessarlo a Tom. Il giorno successivo Alistair è in partenza. Mary va a salutarlo in stazione: “Ho fiducia che la guerra faccia tanto bene quanto male”, le dice Alistair.
Mary, Hilda, Tom e Alistair: quattro personaggi diversi e quattro diverse maniere di fronteggiare la paura dell’ignoto che, certamente, in tempo di guerra sarà più pronunciata, ma che tutti in fondo conosciamo. La leggerezza che ci accompagna fino a metà romanzo cambia registro quando la narrazione si sposta sul conflitto che a Londra diventa una tragica realtà di incursioni aeree notturne, macerie e lutti, fra i quali i volontari soccorrono i feriti e i disperati.
Nello stile di Chris Cleave, lo humour accompagna il dramma, e i protagonisti di questa storia ci portano a ballare nei locali di una Londra sfinita che non rinuncia a vivere.
Alistair fiero e coraggioso, con l’inseparabile compagno Simonson, ci permette di conoscere uno dei capitoli meno studiati della Seconda Guerra Mondiale: quello della strenua resistenza di una guarnigione di soldati inglesi assediati dai Tedeschi e dagli Italiani sull’isola di Malta.
I coraggiosi saranno perdonati, edito da Neri Pozza, è un romanzo d’amore e guerra che Cleave scrive ispirandosi ai racconti dei suoi nonni, figli di una generazione che del coraggio ha dovuto fare pane quotidiano. Questo emblema di resilienza e di incredibile spirito vitale si scontra con l’orrore della svastica, simbolo nefasto dei sentimenti umani più brutali e feroci: odio, prevaricazione, discriminazione e istinto omicida, in una parola Tanathos, la pulsione di morte di freudiana memoria.
Quanta vicinanza da parte mia ai sentimenti dell’autore. Anche io sono cresciuta con i racconti dei tempi della guerra di mio padre e di mio nonno. Tramite questi ho vissuto la scellerata alleanza del governo fascista con la Germania nazista, la fame e la miseria, la morte del mio giovanissimo zio Francesco nella Campagna di Russia, poi l’invasione tedesca del nostro territorio da nord, mentre l’esercito anglo-americano risaliva la penisola da sud e le bande partigiane, anche lungo il mio Appennino Umbro-marchigiano, resistevano ricacciando i crucchi al di là dei nostri confini.
La guerra è male, solo male. E’ odio e distruzione. La prima vittima di ogni guerra credo sia questa verità. Ma un’insegnante perfino in guerra può far la differenza, quanto e più di una spia. Per essere eroi non necessariamente si deve indossare una divisa, può bastare diffondere ogni giorno ideali di pace. I coraggiosi, quale che sia il loro modo di esserlo, saranno perdonati.
Mi piace questo tuo scrivere diretto e autobiografico. L’importante far parlare il Sè senza erigersi con toni valutativi. In questo sono weberiana nel metodo della scrittura. Grazie Milena. Prosegui così.
Brava Milena! la tua scrittura – e la tua persona – riescono a coinvolgersi con i contenuti secondo una misura che è tale da creare, con altrettanta sobiretà, una lettura coinvolta oltre che interessata.
Il romanzo di Chris Cleave pare gradevole e interessante. Mi ha colpito, però, un’affermazione del recensore, ovvero: “Ferite (all’ego prodotte dalla discriminazione) alle quali a volte c’è da esser grati, perché forniscono gli stimoli a primeggiare nei campi, dove questo è possibile, come gli studi, le attività sportive, le discipline artistiche, o la propria professione.” Anch’io sono stato abbastanza discriminato da bambino e da ragazzo…; però questa discriminazione non ha prodotto in me la voglia di rivalsa o il desiderio di primeggiare sugli altri. Mi ha portato, invece, a chiedermi se fosse giusto “misurare” il valore di un bambino (o anche di un adulto), se fosse giusto ritenere qualcuno normale e qualcun altro no. Ovviamente alla fine ho capito che le persone hanno il loro valore a prescindere e che la “normalità” non esiste. Con questo non voglio affatto dire che non esistano differenze (anche macroscopiche) tra le persone e che uno non possa (o non debba) avere le sue preferenze… Tutti gli esseri umani hanno pari valore e dignità; ma questo non vuol dire che non abbiamo il diritto di sceglierci i nostri compagni di viaggio.