I nomi di Liberato e Ghali sono molto conosciuti, quasi adorati, in una fascia di pubblico attenta alla musica e molto giovane. Rimangono, tuttavia, forse ancora da scoprire o da capire meglio per un pubblico più ampio che non ha collegamenti stretti con queste due variabili.
La scelta di parlare di loro nella mia prima collaborazione con Cronache Letterarie nasce dal fatto che sono entrambi fenomeni di comunicazione e costume, quindi, in grado di andare oltre il dato musicale. Nel mese di gennaio hanno toccato cifre da record per l’Italia per il lancio dei loro ultimi video. Oltre 10 milioni di views su YouTube in soli dieci giorni.
Oltre la visione quindi c’è di più.
Liberato: il fascino dell’anonimato in salsa partenopea.
Artista italiano che canta in napoletano, Liberato si presenta ufficialmente al pubblico il 14 febbraio del 2017 e da allora non ha mai svelato la sua identità. Ha prodotto 4 singoli, che diventano ad ogni pubblicazione online oggetto di culto e di analisi. Frammento per frammento, scena per scena, campione per campione, i fan e gli specialisti cercano di arrivare all’attribuzione di un nome. Invano. Utilizzo termini cinematografici non a caso, vista la sua scelta, importantissima, di legarsi ad una partneship creativa con il regista Francesco Lettieri, anche lui di origini napoletane. Il regista traduce in chiave visiva l’immaginario dell’artista e si adopera a disseminare, nei suoi video, i tasselli per la costruzione di un puzzle collettivo che ha per oggetto la sua personalità.
Sono molti gli elementi di innovazione nell’ascesa di Liberato. Ad esempio, l’utilizzo della piattaforma YouTube come principale canale distributivo. E poi una strategia di marketing calibrata al millimetro, che offre ai fan appuntamenti mirati (MI AMI Festival a Milano , Club To Club a Torino), tra attese smisurate e delusioni parziali, incrementa l’hype e il buzz in rete. Per mesi si è parlato, ad esempio, di una possibile soluzione del mistero in una puntata di Gomorra 3, creando un altro inedito percorso crossmediale. Una strategia che dissemina possibili codici interpretativi: la numerologia, l’importanza delle date di uscita dei brani, ecc.
E ancora: l’utilizzo di un logo minimale e onnipresente a sancire, come il branding personale comanda, la comunicazione dell’identità di marca. Una relazione continuativa ed empatica con il consumatore, pur se anonima, direbbero i tecnici. Una brillante case history di “marketing della privazione”, una scelta funzionale e concettualmente vicina all’altro grande e recente mistero partenopeo, Elena Ferrante, o in chiave musicale internazionale, ai Daft Punk.
Come suonano i brani di Liberato?
In modo del tutto particolare, in un crocevia tra l’elettronica e la tradizione neomelodica napoletana, in cui il flusso linguistico si snoda ipnotico e leggero tra slang generazionale, dialetto stretto e inglese. Liberato canta la Napoli vera e contemporanea dei guaglioni e delle comitive in piazza, delle corse con i motorini e dei bagni al mare, del Vesuvio e del calcio. La trasforma in cartoline sonore e visive, certo, ma con un’autonomia e una originalità rispetto alla tradizione che lo pongono su altro livello stilistico e sintattico. Con l’enorme capacità di trasformare gli scenari e le abitudini locali di Mergellina, Forcella e Gaiola in qualcosa di paradigmatico e forse universale. Sono storie semplici e lineari, un cui è facile riconoscersi, senza costrutti particolarmente complessi, ma per chiunque sia cresciuto facendosi affascinare dalle suggestioni britanniche o americane o internazionali, è sorprendente appassionarsi a questi scenari di casa nostra.
Prendiamo ad esempio il video uscito il 20 gennaio Me staje appennen’amò, all’improvviso e senza particolari sussulti preventivi dei media di settore. Il video catena in rete in pochi minuti (l’ho potuto constatare di persona) un’attenzione spasmodica e un picco di interesse incredibile, complice il passaparola dei social, con decine e decine di migliaia di piccoli investigatori pronti a interpretare i microsegnali visivi e a fare esegesi del testo. In questo video, Francesco Lettieri racconta la variegata comunità LGBT di Napoli attraverso tre differenti microstorie anticipate da un cameo della trans Rosa Rubino, che in modo del tutto non artefatto, apre uno squarcio sulla sua vita: “Io non ho mai nascosto questa cosa, quindi prendevo tutte le conseguenze. Combattevo. Sono sempre stata schietta e sincera. Io ero io e basta”.
Ghali: se le rime potessero risolvere il dibattito sullo ius soli.
Se il pubblico di Liberato rimane, per quanto passionale e di peso specifico elevato, ancora legato ad una nicchia del mercato, Ghali rappresenta una delle icone più evidenti della generazione tra i 12 e i 20 anni. L’esposizione mediatica più tradizionale che ha accompagnato il suo successo – collaborazione con brand internazionali, promozione massiccia su Spotify, media relation spinte – lo ha fatto però conoscere anche a pubblico generalista.
Ghali ha 24 anni, è nato da genitori tunisini a Milano, dove ha vissuto nella periferia di Baggio. La sua carriera solista è databile da ottobre 2016, quando pubblica il singolo Ninna nanna, che ha stabilito il record di streaming su Spotify il primo giorno di pubblicazione. E’ un rapper ed è, per tagliare l’argomento con la consueta scure della semplificazione, uno degli esponenti della trap, un genere nell’ambito dell’hip hop che in Italia, per gradimento, condivisione e comprensione, oggi rappresenta lo spartiacque tra chi è teenager e chi non lo è.
A tutti gli effetti Ghali è un manifesto della nuova generazione e, non a caso, il suo ultimo singolo Cara Italia, con quattro milioni di visualizzazioni su You Tube nel giro di 24 ore è il pezzo con il debutto di maggiore successo di sempre per un artista italiano. Ghali parla di difficoltà di integrazione: “quando mi dicono a casa, rispondo sono già qua”, “Italia, sei la mia dolce metà”, del senso della famiglia e della vita di tutti i giorni. Parte da un racconto concreto, spesso autobiografico, e arriva diretto e immediato a comunicare con il suo pubblico.
Quali possono essere i parallelismi con Liberato?
Un sodalizio artistico molto forte alla base, in questo caso con il produttore Charlie Charles, che è quasi un modus operandi. Una capacità di costruzione del proprio personaggio con un lavoro davvero accurato di styling e design. L’abilità assoluta di gestire in modo funzionale i social, che è un altro fattore discriminante della generazione Z. Un dialogo continuamente aperto con moda e creatività, in un gioco di specchi tra originalità e citazione. Ma anche un elemento di disturbo verso gli altri, che si sviluppa a partire dal dato personale e non assume mai, però, i tratti della rottura sociale e della costruzione di qualcosa di completamente alternativo.
Il dato certamente significativo e su cui sarebbe utile porsi una domanda a livello sociale è come si possa coniugare il livello di enorme adesione popolare al fenomeno Ghali – con la sua storia, il suo racconto, la sua musica, le sue rivendicazioni sul tema delle seconde generazioni – con i dati della realtà, in cui parlamento, partiti, movimenti e istituzioni non riescono a trovare un modo per affrontare il problema degli stranieri e degli italiani di seconda generazione.
O è in atto un cortocircuito cognitivo oppure, semplicemente, mentre i padri lottano per la difesa dello status quo, i figli, attraverso la consueta dinamica della musica e delle parole, propongono altro? Ma se poi non votano?
I click e i like non sono sufficienti.
Bellissimo e illuminante il tuo testo che ci interroga ma anche ci spiega qualcosa di un mondo che molti di noi non conoscono; i video sono meravigliosi. Alla domanda: figli, attraverso la consueta dinamica della musica e delle parole propongono altro? si può forse rispondere che i ragazzi di oggi magari semplicemente vivono e non teorizzano. Quello dei giovanissimi è sempre stato un mondo a parte da quello degli adulti. Quelli cioè a cui, almeno in parte, interessa ancora la politica. Grazie di questa ventata di vera novità.