Il 2018 sarà un anno di attesa per gli appassionati di Game of Thrones. Gli autori, infatti, hanno comunicato ufficialmente che l’ultima stagione della saga non andrà in onda prima del 2019. Ma come resistere un anno senza parlare della serie evento degli ultimi anni? Che dite? Parliamo della sigla?
Prodotta da Elastic – una casa di produzione che i lettori di questa rubrica dovrebbero conoscere ormai bene – premiata nel 2011 con un Emmy per il miglior design, la sigla di Game of Thrones è un regno di curiosità e fermento creativo. Si sono occupati in molti di studiarla e la rete è piena di spunti interessanti da approfondire. Proverò ad individuare alcuni punti salienti della sua produzione, così che ogni lettore possa scegliere cosa trova più intrigante approfondire per i propri gusti.
Scheda tecnica
Production Studio: Elastic
Director: Angus Wall
Art Director: Rob Feng
Lead Designer: Chris Sanchez
Designers: Henry De Leon, Leanne Dare
Concept Artists: George Fuentes, Rustam Hasanov
Storyboard & Concept Artist: Lance Leblanc
Production Artist: Patrick Raines
Producer: Hameed Shaukat
Executive Producer: Jennifer Sofio Hall
CG Supervisor: Kirk Shintani
Lead Surfacing & Lighting: Ian Ruhfass
CG Artists: Paulo de Almada, John Tumlin, Christian Sanchez, Erin Clark, Tom Nemeth, Joe Paniagua, Dan Gutierrez
2D Animation Artists: Tony Kandalaft, Brock Boyts
Compositers: Sarah Blank, Eric Demeusy
Smoke & Colorist: Paul Yacono
Composer: Ramin Djawadi
Sound Design: Andy Kennedy
Il concept – L’idea della mappa
La vediamo ormai da sette anni, ad ogni episodio cambia solo leggermente forma, eppure non ci stanca mai. Anzi, sembra che ogni volta, la sigla di Game of Thrones ci carichi un po’ più di energia. Si tratta dell’effetto di un lavoro molto meticoloso sul ruolo che il direttore creativo ha dato ai titoli di testa e dell’attenzione quasi maniacale che il team di lavoro ha messo nella presentazione dei dettagli. GOT ci catapulta all’interno di un mondo inventato, la cui esistenza è testimoniata solo dai libri di G.R.R.Martin. La saga è popolata di famiglie, paesi, popoli, entità in numero talvolta esagerato per le capacità di una memoria comune. Il suo intreccio è molto complesso e spesso le storie sono presentate con cambi temporali che conducono, inevitabilmente, ad una certa confusione. Come introdurre visivamente tutto questo, rimanendo fedeli al ruolo di sintesi di aspettative che, normalmente, deve avere una sigla?
In un’intervista ad Art of the Title, il direttore creativo di Elastic Angus Wall spiega molto bene il suo obiettivo: orientare lo spettatore. In una serie che si prevedeva sarebbe stata molto lunga, usare i 90 secondi iniziali per focalizzarsi sui personaggi sarebbe stato inutile. Essi piano piano avrebbero preso forma da sé, ma dichiarare il contesto geografico in cui tutto sarebbe avvenuto, sembrava, invece, fondamentale. Nell’arco della narrazione e, quindi, all’interno dei vari episodi, alcuni personaggi avrebbero trascorso molto tempo a spostarsi da un luogo all’altro e spesso sarebbero stati presentati assieme ad altri collocati in luoghi molto lontani tra di loro. Aiutare lo spettatore a capire in che mondo avrebbe dovuto immergersi è apparso subito doveroso. Così, sebbene nei primi schizzi dei titoli di testa, Dan Weiss e Dave Benioff – gli autori della serie – avevano suggerito di utilizzare per la sigla il viaggio di un corvo da King’s Landing a Winterfell, presto l’idea della mappa è sembrata l’unica cosa sensata su cui concentrarsi.
Avendo come riferimento solo le mappe disegnate da Martin nei suoi libri, il direttore creativo della sigla Rob Feng, pur volendo rimanere fedele alla struttura del testo, prova a gettare il cuore oltre l’ostacolo e trasforma l’universo di Game of Thrones in un unico organismo vivente. Un meccanismo che si autoalimenta – grazie alla violenza, alla guerra e al sangue gettato in battaglia – per crescere. Rob si lascia ispirare dalle macchine di Leonardo da un lato e dalla sfera di Dyson dall’altra, per arrivare a creare una mappa sferica, in cui al centro pulsa la sorgente di luce che la illumina e la fa muovere. Grazie a questa idea, la produzione avrebbe garantito sia il riferimento all’ambientazione temporale della saga, legata ad un passato di materie prime e costruzione artigianale, sia la necessità di orientare lo spettatore. Egli, infatti, grazie ai movimenti di macchina e senza la presenza di personaggi, si sarebbe mentalmente spostato molto facilmente da una città all’altra della cartina. Tutto all’insegna del realismo.
Alcuni schizzi del concept – Fonte: @ArtoftheTitle |
I 90 secondi finali sono l’esito di circa 6 mesi di lavoro in cui è stato coinvolto un gruppo di quasi 30 persone. Un lavoro generale che è stato impostato in modo da avere più stacchi sulle singole località, da montare in modo diverso a seconda dei luoghi che sarebbero stati protagonisti dei singoli episodi. Sì, perché se ci fate bene caso, ogni episodio vede la sigla rimodellare il proprio percorso nella mappa, proprio per aiutarci nell’orientamento. Nella tabella che segue vediamo il numero degli episodi in cui le singole località appaiono nella sigla ed il totale delle comparse di tutte le stagioni.
A parte King’s Landing – la capitale del regno – la Barriera e Winterfell che compaiono praticamente in ogni sigla di ogni episodio, potete vedere voi stessi come le altre località facciamo apparizioni più ballerine. Capiremo fra poco perché.
La sequenza tipo
Ciò che vediamo concretamente quando parte la sigla di Game of Thrones è una mappa tridimensionale del mondo al cui centro c’è una sorgente luminosa. La sigla, nella sua sequenza tipo che possiamo identificare con la prima puntata della prima stagione, si apre con un primo piano del sole e l’astrolabio che lo circonda. L’astrolabio mostra un vulcano che distrugge una città mentre un drago osserva e diverse persone fuggono in una barca – un chiaro riferimento al destino di Valyria e ai Targaryen. La camera compie una panoramica su Westeros ed Essos prima di ingrandire la città di King’s Landing, in particolare il sigillo di Casa Baratheon che sembra essere un grande ingranaggio nel centro della città. L’ingranaggio inizia a girare, muove altri ingranaggi e poi gli edifici tridimensionali – la Fortezza Rossa e il Gran Sept di Baelor – iniziano a sollevarsi dal terreno. Di qui, la camera si sposta a nord, passando da Westeros a Winterfell, che si alza dal terreno in modo simile a King’s Landing mentre a ruotare è un ingranaggio con il sigillo di Casa Stark. La camera si sofferma poi sul Meta-lupo degli Stark, il leone dei Lannister e il cervo dei Baratheon che istigano il drago Targaryen in combattimento – un riferimento alla Ribellione di King Robert. La camera torna di nuovo a Winterfell e poi si sposta a nord verso la Barriera, dove iniziano a girare più ingranaggi che fanno ergere dal terreno Castle Black. La camera torna infine indietro fino a King’s Landing, prima di spostarsi attraverso il Mare Stretto verso la Città Libera di Pentos, che emerge in modo simile da terra mentre altri ingranaggi ruotano. La sequenza termina con un ritorno al dettaglio in rilievo dell’astrolabio, mostrando ora gli animali che rappresentano le varie case nobili di Westeros che si inchinano al cervo Baratheon trionfante. Il logo Game of Thrones appare quindi sopra l’astrolabio, con le teste di un drago, un lupo, un leone e un cervo che emergono dal lato del logo.
Come accennato, a questo modulo di base, se ne affiancano molti altri. L’importante è che i punti di riferimento, fatti dei luoghi più importanti della serie, non manchino mai. E soprattutto non manchi mai di mostrare nella sigla dove si troverà Daenerys in quell’episodio – anche se non comparirà fisicamente, in modo che ogni volta ci venga restituita da subito la vastità del mondo in cui stiamo per immergerci. E’ ciò che trasforma un apparato estetico, in un meccanismo funzionale alla narrazione, per una sigla che a tratti prende le sembianze di un trailer.
Il sonoro
Oltre a ciò che abbiamo già detto, c’è un altro motivo per cui la sigla di Game of Thrones ci rapisce e nonostante l’abbiamo ascoltata all’infinito non ci annoia. Questo motivo ha un nome e si chiama: Ramin Djawadi – abbiamo parlato di lui anche qui – l’autore della sua musica. Grazie all’accostamento di due temi principali, uno più eroico affidato al violoncello ed uno più lirico affidato ai violini, Ramin ci restituisce un’idea di viaggio anche a livello sonoro. La frase musicale coi violoncelli che apre la sigla è inconfondibile e ci accompagna per tutto il brano. Una frase che inizia in minore, per poi passare al maggiore e di nuovo al minore, proprio come quel mondo che ci presenta, fatto di colpi bassi, ma anche di grandi passioni e prodezze. Per suggerire la numerosità dei personaggi, Ramin usa un coro per la seconda parte del brano, composto da 20 coriste. Al termine della sigla, a creare la suspence necessaria ad affrontare ciò che sta per succedere, un mix di due strumenti: il Salterio e il Kantele. Due strumenti a corda che insieme infondono un grande senso di mistero.
Non male vero? Lunga vita a Game of Thrones!