Ultima puntata su sesso e amore in letteratura. La bellissima lezione che Piperno e Benini hanno tenuto sul tema letterario per eccellenza si conclude qui. Dopo aver trattato gli scrittori ottocenteschi più impliciti, ora tocca a quelli del ‘900 come Henry Miller, Philip Roth, Vladimir Nabokov. Inizia Annalena Benini con una citazione che ci dà subito l’idea di quanto invece questi siano espliciti…
“Tutto quello che chiedo dalla vita è un mucchio di libri, un mucchio di sogni e un mucchio di fica”.
Questo è il Tropico del Cancro di Henry Miller del 1935. E’ stato Miller ad aprire il mondo a questo genere di racconti espliciti. La descrizione di gambe spalancate, di prostitute con i tacchi logori, di culi indimenticabili. Ma il sesso raccontato nei romanzi è sempre molto diverso dal sesso sognato e realizzato che lo stesso Henry Miller e Anaïs Nin si raccontano nelle loro lettere. Molto diverso dal sesso desiderato.
“Vieni al più presto e scopami. Godi con me. Serrami tra le tue cosce. Riscaldami”
Il sesso come creazione letteraria è un’altra cosa. Deve sì eccitare, oppure deve mostrare la sopraffazione, la disperazione o il precipitare dell’umanità come fa Houellebecq. E’ strumentale a un’idea, oppure è una prova di coraggio perché scrivere di sesso è molto difficile e come abbiamo visto con “il fiotto caldo” (vedi seconda parte), il ridicolo è dietro l’angolo.
Il sesso nei romanzi non è la realtà, anche se nei romanzi di Philip Roth si avvicina molto a un’idea realistica, tragica, intima e ironica di sesso come compagno della vita umana. Quindi compagno della giovinezza, della libertà, del potere e dell’invecchiamento. Della perdita del potere. Il sesso come ossessione, ma soprattutto il sesso e il desiderio sessuale come caos, come impulso perturbante, qualcosa in cui l’onestà, la rettitudine e la parità non hanno spazio.
Non posso dire che m’interessi o che m’entusiasmi scoprire quello che fa Lady Chatterley nel bosco con il suo guardiacaccia e nemmeno le descrizioni dei cespugli delle prostitute di Henry Miller, ma invece mi interessano molto i modi in cui gli scrittori riescono a raccontare il sesso, per gestirlo o per soccombere sotto la sua forza perturbante. Come si possono tenere in equilibrio il sesso e l’amore, la famiglia e la libertà, l’umiliazione, la perdita del potere della giovinezza e dello splendore? Come si combatte la lotta per il dominio, perché di questo si tratta?
Per raccontare questa lotta userò un romanzo di Philip Roth che non è il suo più bello ma che racconta questo tormento. Lo mostra attraverso l’ossessione di un professore per la sua studentessa, Consuela Castillo. Il romanzo fa parte della trilogia di Kepesh, una trilogia di sogni sul sesso: Il professore di desiderio, Il seno e L’animale morente.
Ne L’animale morente c’è questo professore invecchiato, David Kepesh, che continua a ripetere ossessivamente di avere sessantadue anni ed è lo stesso professore che si era risvegliato trasformato in un enorme seno di settanta chili nel libro precedente. Adesso s’innamora di una studentessa di ventiquattro anni, Consuela Castillo, che ha il seno più bello che lui abbia mai visto e che in classe, a lezione, si leva la giacca e se la rimette, se la rileva e mostra la camicetta di seta slacciata fino al terzo bottone. Perché conosce il suo potere ma ancora non sa come usarlo.
Alla festa di fine anno il professore e la studentessa entrano in confidenza. Parlano di Kafka, di Velasquez, di Cuba perché lei è cubana. Lei è elettrizzata che lui le stia parlando, che le faccia toccare un manoscritto di Kafka. Lui le guarda la scollatura e intanto parla e pensa:
“Ma perché uno fa queste cose? Perché qualcosa devi fare. Questi sono i veli della danza. Non confonderla con la seduzione. Questa non è la seduzione. Quella che mascheri è la cosa che ti ha spinto, la pura e semplice lussuria”.
E’ la pura imbecillità della lussuria. Lui che le parla di Velasquez solo per lussuria. Solo per esercitare un’attrazione. E dice Roth: “L’attrazione non deve essere necessariamente la stessa: lei può essere attratta da una cosa, tu da un’altra”. E poi boom ecco il sesso, il nucleo di tutto che sconvolge le vite solitamente ordinate, che fa diventare imbecilli oppure brutali, che fa slacciare i bottoni della camicetta:
“Il sesso: ecco tutto l’incanto necessario. Le donne, per gli uomini, sono davvero tanto incantevoli, una volta tolto il sesso? C’è qualcuno che trova incantevole una persona di questo o quel sesso se non nutre per lei un interesse di natura sessuale? Da chi, ancora, ti fai incantare così? Da nessuno”.
Intanto il professore continua a fare domande a Consuelo sulla sua famiglia cubana e tutto il suo interesse per lei è mediato dalla lussuria, dall’imbecillità della lussuria. Dalla bestialità e dalla sconvenienza. Professore sessantenne e studentessa di ventiquattro anni.
“Gli sto dicendo chi sono, pensa lei. Gli interessa sapere chi sono. Questo è vero ma io sono curioso di sapere chi è perché la voglio scopare”. “Mentre con lei faccio questa conversazione, penso: Quanto dovrò aspettare ancora? Tre ore? Quattro? Arriveremo ad otto? Venti minuti di veli e sono già lì che mi domando: Cosa c’entra tutto questo con le sue tette, la sua pelle e il suo comportamento?”
Philip Roth scrive di una cosa di cui non è facile parlare. Scrive dell’impulso selvaggio che muove il desiderio che porta al sesso. Della radicale sconvenienza della lussuria. La letteratura riesce, in questo caso, nel compito difficilissimo di dirci alcune verità sul sesso come compagno della vita umana, come motore dei comportamenti sconvenienti. Roth parla di questa cosa selvaggia e sfrenata a cui gli uomini e le donne non riescono mai a stare al di sopra, che sconvolge le vite ordinate, che sconvolge anche il ragionamento.
“La parità sessuale non esiste e non può esistere, sicuramente non una parità dove siano pari le rispettive dotazioni, dove il quoziente maschile e il quoziente femminile siano in perfetto equilibrio”. Non c’è modo di trattare metricamente questa cosa selvaggia e sfrenata. “Non ci sono fifty fifty come nelle transazioni d’affari. E’ del caos dell’eros che parliamo, di quella radicale destabilizzazione che è il suo eccitamento. In materia di sesso è un tornare nella foresta. Un tornare nella palude. Uno scambio di dominio, uno squilibrio perenne, ecco di che si tratta”.
“Vuoi escludere il dominio? Vuoi escludere la resa? Il dominio è la pietra focaia, fa strusciare la scintilla, avvia il meccanismo. Poi… Cosa? Ascolta. Lo vedrai. Vedrai a che cosa ti porta dominare. Vedrai a che cosa ti porta essere dominato”.
Dominare o essere dominati. E’ questo il sesso. E’ lottare per il dominio o per non perdere il dominio, o per perderlo il più tardi possibile.
Ora però vi devo dire quando comincia il dominio di Consuela sul professore, sull’animale morente, quando si ribalta il dominio di lui. Comincia nel momento più sconveniente possibile che solo la letteratura ci permette di dire. Quando lui a letto, tenendola per i capelli, le infila il pene in bocca. E’ un po’ scioccante ma l’esergo di questo libro è: “Se il libro che stiamo leggendo non ci scuote come una botta in testa cosa lo leggiamo a fare?”
E lei alla fine di tutto, quando lui si stacca da lei, contento, lo guarda feroce e gli mostra i denti ringhiando. Li stringe come per mordere l’aria, come per dire: ecco che cosa avrei potuto fare e non ho fatto. Questo è stato il vero inizio del dominio di Consuela sul suo professore. Ed è stato, anche se è un po’ strano dirlo, l’inizio dell’innamoramento del professore per Consuela. E allora chiudo con questi versi di Baudelaire, tratti da I fiori del male, che ho ritrovato nel Giardino dai Finzi Contini. Li recita Nicole Finzi Contini mentre respinge il ragazzo troppo onesto e troppo buono che la ama.
“Maledetto per sempre il sognatore inutile, tutto preso da un problema sterile, insolubile, che volle per primo, nella sua stupidità, mischiare alle cose dell’amore l’onestà”.
Alessandro Piperno
Abbiamo appena mostrato come il sesso in letteratura possa essere trattato con la pudicizia, però velata di malizia, di Flaubert, oppure con l’esplicitezza velata di disperazione e trivialità, ma anche di coscienza della vita e del mondo, come fa Roth. Tutto quello che sta in mezzo, cioè l’odioso eufemismo, è di per sé nemico della letteratura. In realtà c’è un quarto caso, quello di uno scrittore che abbiamo più volte menzionato e che fa parte degli otto scrittori del mio libro Il manifesto del libero lettore (leggi anche qui), che si è dovuto cimentare con una della performance erotiche più scandalose, più sconvenienti della storia della letteratura. E’ Nabokov con Lolita.
Da ragazzo, quando leggi, tendi per prima cosa a identificarti. Poi l’identificazione un po’ scompare e provi a vedere com’è fatto il manufatto artistico. L’ultimo step, che per chi scrive è fondamentale, è provare a identificarsi in chi scrive perché scrivere è sostanzialmente risolvere problemi: è risolvere problemi piccoli e quotidiani. E’ interessante quando hai in mano un capolavoro provare a identificarti, più che nel personaggio, nei problemi che lo scrittore ha dovuto affrontare.
A un certo punto di questa sua storia orrenda e pruriginosa, Nabokov si trovava nella difficoltà di un uomo di mezza età che s’innamora e che riesce a rapire una ragazzina di dodici anni, di arrivare a parlare di sesso. La storia più spaventosa e sconveniente che la nostra immaginazione possa immaginare, deve arrivare al punto, deve far accoppiare questo signore e lo deve fare senza disgustarci. Non può eluderlo perché è il tema del libro. E allora c’è una delle scene più incredibili e struggenti del libro, la scena che possiamo definire in modo eufemistico forse, dello stupro. Humbert la racconta, ed è tipico della psicologia dello stupratore, come se fosse stato lui ad essere manipolato. E’ la tipica cosa che dice lo stupratore.
Fatto sta che lui se l’è preparata per benino perché ha comprato i sonniferi in farmacia, l’ha condotta in un motel del centro degli Stati Uniti, un po’ più bello del solito ma sempre squallidotto. Il suo piano è semplice, la porta a cenare, poi le dà il sonnifero e le cose succederanno nel momento in cui lei perde i sensi. Ma evidentemente questo sonnifero non funziona abbastanza bene perché lei sì si addormenta, però è ancora abbastanza vigile.
Nabokov deve raccontare il momento in cui qualcosa succede tra i due, allora tende il più possibile a procrastinarlo. E’ come se l’intero paesaggio circostante si alleasse per dare il senso di ciò che sta per succedere, della squallida e orrenda violazione. Prima c’è una diffusione incredibile di acqua, si sente lo scrosciare di un gabinetto vicino, poi si sente un uomo, che si capisce che è ubriaco, in corridoio, che vomita tutto quello che ha in corpo, quindi vari altri sciacquoni qua e là.
E’ come se Nabokov insistesse su questa cosa come per dare il senso della violazione in agguato. Fatto sta che passa la notte intera, avvengono un sacco di cose, ma la cosa non avviene mai. Poi a un certo punto è Lolita a donarglisi in qualche modo. Anche se, essendo la testimonianza di Humbert, noi non possiamo sapere se ci stia dicendo la verità. Però è sensazionale l’ellisse che qui compare nel romanzo. Humbert cala il sipario su quello che è successo tra loro e attraverso il suo stile ci dà tutto il senso di quello che è successo e ci comunica anche la tristezza della violazione che è una della cose per me più belle che siano mai state scritte sul sesso, senza che in realtà questo sia nominato.
“Ma non tedierò i miei sapienti lettori con dettagliato resoconto della presunzione di Lolita. Basti dire che in quella bellissima, acerba ragazzina totalmente, irrimediabilmente corrotta dalle moderne scuole miste, dai costumi giovanili, dal raggiro delle serate intorno al falò e via dicendo, io non riuscii a discernere la minima traccia di modestia. Ai suoi occhi l’atto puro e semplice era soltanto parte del furtivo mondo dei ragazzini, sconosciuto agli adulti. Quello che gli adulti facevano allo scopo di procreare non la riguardava.
La mia vita fu maneggiata dalla piccola Lo in modo energico e sbrigativo, come se fosse un aggeggio privo di sensibilità del tutto separato da me; ma pur avendo una gran voglia di impressionarmi con quel mondo di “ragazzi tosti”, non era preparata a certe discrepanze fra la vita di una ragazzina e la mia. Soltanto l’orgoglio la trattenne dall’arrendersi; perché in quella ben strana situazione io ostentai un supremo candore e la lascia fare almeno finché riuscii a sopportarlo. Ma tutto questo non ha importanza; il tema del cosiddetto “sesso” non mi interessa affatto. Chiunque può immaginare quegli elementi di pura animalità. Ciò che mi alletta è un’ambizione superiore: fissare una volta per tutte il periglioso sortilegio delle ninfette”.
Annalena Benini
Ecco un racconto che ha a che fare con lo scorrere del tempo e con l’incontrarsi al momento sbagliato. E’ un racconto di Cechov, ma è anche la storia della sua vita e del suo amore impossibile con Lidia Avilova:
“E’ acqua passata e ora farei fatica a definire cosa ci fosse in lei di tanto straordinario che mi piaceva tanto, mentre allora a pranzo mi era tutto irresistibilmente chiaro. Vedevo una donna giovane, bellissima, buona, colta, affascinante. Una donna come non ne avevo mai incontrate. E subito sentii in lei un essere vicino, già conosciuto, come se questa persona, questi occhi cortesi, intelligenti, li avessi visti un tempo da piccolo, in un album che c’era sul comò di mia madre”.