Ci sono poche serie tv in grado di migliorare con il passare delle stagioni, dedite a sviluppare la trama e approfondire i personaggi senza mai diventare prevedibili, nonostante la durata. Peaky Blinders è senz’altro una di queste preziose eccezioni che confermano la regola.
Ideata da Steven Knight, Peaky Blinders è arrivata alla sua quarta stagione e procede alla grande. Gli spettatori sono sempre più appagati e, insieme, desiderosi di nuove puntate.
Chi conosce la serie (ne abbiamo parlato qui) ed è già entrato nella sua atmosfera sa che il futuro gli riserverà sempre intriganti sorprese e colpi di scena di grande impatto. Il tutto condito da una regia dinamica, una fotografia impeccabile, una scrittura che funziona come un meccanismo elaborato e perfetto, una colonna sonora irresistibilmente cool e una recitazione eccellente.
La terza stagione si era conclusa con un colpo di scena che aveva lasciato tutti con il fiato sospeso. In seguito al tradimento di Thomas, la famiglia Shelby si era completamente sgretolata e rischiava la propria sopravvivenza. Ma può un uomo come Thomas Shelby aver davvero tradito la famiglia?
I riflettori della nuova stagione (guarda il trailer) sono tutti su di lui e Cillian Murphy non delude, anzi, supera se stesso. Dapprima grigio e disincantato, nel suo volto, sempre apparentemente impassibile, puntata dopo puntata, si aprono brecce da cui emergono tutta la malinconia, il dolore, persino la paura e un pizzico di follia autodistruttiva. Murphy dona tutto il suo corpo alla parte. Le braccia larghe avvolte nel cappotto nero, il passo che muta a seconda delle situazioni, persino nel modo di fumare e di bere si avverte il cambio di tono fra le varie sfaccettature del personaggio.
A inizio stagione Tommy Shelby si ritrova isolato dai suoi, che non gli hanno perdonato di aver fatto loro rischiare la forca con i suoi intrighi internazionali tra russi espatriati e intelligence ante litteram. Ma poi tutto cambia. Perché scopriamo che la vera minaccia per la famiglia arriva da dove meno ce la saremmo aspettata. E’ esterna alla famiglia e non risparmia lo stesso Thomas.
Per capirlo dobbiamo fare un piccolo passo indietro
Siamo a Birmingham, nel 1926. La famiglia Shelby, con metà sangue gipsy, è passata nel giro di pochi anni dal gestire un limitato giro di scommesse sulle corse dei cavalli a diventare una vera e propria azienda con interessi, legali ma non troppo, fin negli Stati Uniti. Alla sua guida, la spregiudicata ambizione di Tommy che, con mente lucida, cammina sempre sulla sottile linea che separa la rovina dal trionfo. Al suo fianco, l’astuta ma emotivamente imprevedibile zia Polly – la splendida Helen McCrory -, i fratelli Johnny e Arthur, entrambi teste calde ma capaci di portare a termine un lavoro qualunque esso sia, la sorella Ada, comunista ricreduta, e il cugino Michael, cresciuto lontano dal resto della famiglia e quindi più istruito e distaccato. Intorno a loro, tanti comprimari, a partire dalle donne forti e risolute che incrocia Tommy.
Nel corso di quattro stagioni, gli Shelby si sono arricchiti, hanno fatto piazza pulita dei diretti concorrenti, espanso il business e ampliato la famiglia. C’è chi, come Arthur, si è sposato e ha trovato il Signore, allontanandosi dalla gestione degli affari, e chi, come Tommy, ha sposato l’amore della sua vita solo per vedersela strappare di mano. Gli affari vanno bene, nonostante lo scisma familiare, ma si finisce per scontare ogni azione. Così, un omicidio compiuto per vendicarsi e difendere i propri interessi attira sugli Shelby l’attenzione nientemeno che della mafia italo-americana nella persona di Luca Changretta, interpretato con evidente divertimento da un Adrien Brody in forma smagliante.
Non è la prima volta che Thomas si trova ad affrontare la minaccia italiana nella sua attività illegale. Ma mentre i Sabini che gli avevano messo i bastoni fra le ruote nella seconda stagione erano una gang locale londinese, questa volta gli Shelby si trovano di fronte alla temutissima “Mano nera”, uno dei metodi di violenta estorsione utilizzati dalla mafia americana agli inizi del ‘900. Ben altra cosa. L’organizzazione della Mano nera è nettamente superiore a quella dei Peaky Blinders. I loro sistemi di sicurezza sono scadenti e riescono a essere elusi facilmente dai membri di Luca Changretta i quali in ogni occasione minacciano e costringono alla guerriglia la famiglia Shelby.
La vendetta che Changretta mette in campo è un divide et impera insidioso e spietato che non risparmia mezzi, persone e sparatorie. Adrien Brody rende onore al personaggio con la sua recitazione. Sebbene l’accumulo di stereotipi e pregiudizi messi in campo nei confronti della costruzione dell’immaginario della mafia italiana, a volte infastidisca un po’. I mafiosi, infatti, sono tutti uomini dai capelli scuri, molto estroversi, viaggiano con un sarto italiano che asseconda la loro cura maniacale nel vestire. Perciò disprezzano come si veste la gente di Birmingham, ma soprattutto vorrebbero tornare a casa subito perché: “qui si mangia di merda“.
Al di là del pregiudizio, di sicuro con loro in giro nessuno è al sicuro, come dimostra la prima esplosiva puntata. Gli Shelby si vedono costretti a tornare nel quartiere operaio di Small Heath, là dove tutto era cominciato. Vivono sotto scorta, non possono uscire da Small Heath e non possono fidarsi di nessuno. Il clima di oppressiva minaccia in cui si svolge questa stagione rende benissimo l’idea di ciò che voglia dire combattere la mafia, persino per un’altra organizzazione criminale.
All’interno della sua comunità Tommy conosce ogni volto e può fidarsi della combattività dei suoi alleati gipsy – tra cui spicca Aidan Gillen nei panni di Aberama Gold, personaggio ben più istintivo del suo più noto Petyr Baelish de Il trono di spade – e dei suoi ex commilitoni. Ed è proprio l’ombra della Prima Guerra Mondiale e della perduta innocenza giovanile a costituire la sottotrama più interessante di questa stagione, ricollegandola così direttamente alla prima.
Tommy e i suoi fratelli sono tutti veterani, hanno combattuto nelle trincee e perso tanti amici. Sopravvissuti, sapevano che tutto quello che sarebbe venuto dopo sarebbe stato “un extra”. Ogni volta che guardano la morte in faccia ripetono la stessa frase – mai così spesso come in questa stagione – ed è tratta da una poesia di Christina Rossetti, In the Bleak Midwinter, poesia natalizia pubblicata postuma e che venne più volte musicata negli anni fino a diventare un vero e proprio inno sacro. La frase è questa e si trova verso la fine della poesia: If I were a Wise man, I would do my part (Se fossi un uomo saggio, farei la mia parte).
Tommy non è saggio ma è molto intelligente. E’ abituato a prevedere mosse e contromosse finché non arriva la sua parte gitana a prendere il sopravvento con l’irresistibile tentazione di mandare tutto all’aria per seguire il suo cuore. La perdita della sua amata, mai davvero superata, si confonde con il ricordo del primo amore vissuto quando ancora aspirava ad un mondo migliore.
Tommy danza con la morte e con lui anche l’Alfie Solomons di Tom Hardy, più che mai specchio deformato di Tommy. Il peso del potere comincia a farsi sentire, e Tommy si può salvare solo grazie alla sua lucidità. Così un nuovo piano prende forma perché gli Shelby possano prosperare e lui continuare ad andare avanti a vivere senza impazzire quell'”extra” che gli è stato concesso dopo la guerra. Mafia da una parte, comunisti dall’altra, gli Shelby al centro tentano caparbiamente di continuare la loro inarrestabile ascesa.
Cosa ci riserverà la prossima stagione? Solo Thomas Shelby, o meglio, Steven Knight lo sa… E noi non vediamo l’ora di scoprirlo.