Viviamo in tempi celeri, velocissimi. Non ci si può fermare un secondo, o si è perduti. Anzi, citando la Regina Rossa di Lewis Carrol, in un mondo che già di per sé corre a velocità supersoniche, occorre correre il doppio!
Come spesso ci siamo trovati a dire in questa rubrica, la distanza tra reale e digitale si è ridotta sempre più fino quasi a scomparire. Ne abbiamo parlato dal punto di vista filosofico, esistenziale e mediatico. Ora è giunto il momento di concentrarsi sull’aspetto sociale ed economico della faccenda. E partiremo trattando il tema del lavoro del futuro, tra automazione e reddito universale.
Lasciamo stare i fortunati che amano il proprio lavoro: “felicità è un amore felice e un lavoro che piace”, cantava il poeta Umberto Saba. Parliamo, piuttosto, di tutti quei lavori alienanti, come il mesto casellante che sta 10 ore filate tumulato in un sepolcro di plastica sotto i raggi del solleone. Credo di non sbagliare asserendo che costui possa non amare il proprio mestiere. Voi che ne dite?
Forse allora potremmo, o dovremmo, rovesciare il celebre e spesso abusato aforisma di Aristotele, secondo cui “l’uomo ha inventato il lavoro per meritarsi il tempo libero”. Proprio perché oggi, con la presenza di macchine coadiuvanti automatizzate, dovremmo pensare al contrario: inventarci, cioè, nuovi modi per impiegare il tempo libero per meritarci un lavoro migliore, che ci impegni sempre meno.
Certo, si tratta di una nuova forma mentis che non sarà facile costruire, dopo millenni di cultura del senso del dovere e del lavoro, ma che pare una delle vie più salde verso il futuro. Almeno, qualora l’attuale convergenza socio-culturale dovesse perpetuarsi ancora per i prossimi decenni.
Questa analisi socio-economica dalle forti venature pop, mostra in modo puntuale, seguendo le parole del filosofo Slavoj Žižek, quanto ormai “sia più facile pensare alla fine del mondo che alla fine del capitalismo“. Dal momento che per l’Occidente, soprattutto per la mia generazione, diciamo dal crollo del muro di Berlino in poi, il capitalismo è sempre stato l’unica possibile realtà culturale e non solo economica, che ci è stato dato esperire. Una realtà oltre la quale, recitava lo slogan di Margaret Thatcher, “non c’è alternativa“.
Il secondo testo che vi consiglio, invece, è un manifesto programmatico su come non temere il futuro e, anzi, accelerare il processo di innovazione tecnologica per agguantarlo a piene mani, col fine di liberarci dal lavoro.
Si tratta di Inventare il futuro, scritto a quattro mani da Nick Srnicek e Alex Williams, edito sempre da NERO. La tesi di fondo del libro è che la nuova sinistra senza più valori propri, dovrebbe abbandonare il luddismo passatista, quello che vorrebbe distruggere le macchine per paura di un furto del lavoro, come fece il leggendario Ned Ludd all’alba della prima rivoluzione industriale, in favore di un “antiluddismo” futurista che accolga la tecnologia per un mondo automatizzato e senza lavoro.
Implementare l’utilizzo di robot per aumentare la produttività, per poi tassarla e, con quei soldi, creare un reddito di base universale da distribuire globalmente ed equamente. Un vero e proprio assalto al futuro.