La firma del Presidente Lincoln per l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America ha rappresentato un grande evento storico, una svolta civile, una presa di coscienza giunta 246 anni dopo l’arrivo in Virginia dei primi 20 africani, rapiti per diventare schiavi.
Il romanzo La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead (SUR edizioni, traduzione di Martina Testa, 376 pagine) è ambientato alcuni anni prima della Guerra di Secessione (1861-65), quando la schiavitù, che verrà abolita nel 1865, era ancora legale. I luoghi della narrazione sono la Georgia, dove Cora, protagonista della vicenda, è nata; la Carolina del Sud, la spietata Carolina del Nord, il Tennessee e la fredda Indiana. Cora attraversa tutti questi Stati, in parte con la ferrovia sotterranea e in parte con altri mezzi, in un crescendo di vicende legate a sopraffazione e orrori inimmaginabili.
Un romanzo “on the road” alla ricerca della libertà, attraverso l’inferno di stati razzisti che puniscono con ferocia tutti i neri che tentano di sottrarsi alla schiavitù, ma anche quei pochi bianchi che cercano di aiutare i fuggitivi. Via via aumenta il numero delle persone che lavorano e combattono per far sì che la schiavitù sia abolita. Ci vorranno anni, una Guerra Civile e il Proclama di Emancipazione per arrivare nel 1865, alla ratifica al XIII Emendamento, firmata dal Presidente Lincoln, dove di fatto si abolisce in modo definitivo la schiavitù in tutto il territorio degli Stati Uniti d’America.
L’America si prefigura un inferno da attraversare,
ma come, con quali mezzi?
Questa ferrovia di cui si vociferava e fantasticava che avrebbe portato alla salvezza tanti uomini e tante donne di colore, in realtà si trattava di un lungo binario di raccordi umani e scambi di persone che aiutavano i neri a fuggire. Era una ferrovia metaforica. Allora l’autore si è domandato: perché non immaginare che la «underground railroad» fosse, letteralmente, una ferrovia sotterranea? Binari in un tunnel scavato da chissà chi, treni che arrivano senza orario, diretti da qualche parte verso Nord, stazioni abbandonate, personaggi mitici che sostano alle stazioni costruite da qualcuno che nessuno conosce. E, tanto per accrescere il mistero e il pathos, varie tipologie di stazioni e di guidatori di treni, folli o rassicuranti volti di soccorritori. Si avverte in questo espediente e nel realismo magico che attraversa il romanzo, la lezione di Gabriel Garcia Marquez, una lezione dichiarata esplicitamente dall’autore.
Gli esperimenti di sterilizzazione dei neri in Carolina del Sud
Non è chiaro se anche altri accadimenti facciano parte di questa invenzione o siano frutto di studi approfonditi: mi riferisco agli esperimenti nella Carolina del Nord, sulle donne di colore da sterilizzare, che sembrano trasportarci in un romanzo di George Orwell. Fantascienza o storia? Distopie? L’autore non chiarisce se questo interessante aspetto sia vero, o frutto della sua fantasia.
Nel corso della vicenda si incontrano personaggi che catturano il lettore, a partire dalla protagonista Cora, discendente da due generazioni di donne schiave, forti e tenaci. Un segreto attraversa la sua vita e occorre leggere tutto il libro con trepidazione per scoprire ciò che è avvenuto nell’infanzia della protagonista, per capire perché la mamma ha abbandonato quella bambina Amatissima, tanto per citare un altro grande romanzo sulla schiavitù del premio Nobel Tony Morrison, secondo me di altra levatura e spessore, con una vera ricerca del linguaggio e uno stile da Nobel.
In conclusione, il romanzo di Whithead, vincitore del premio Pulizer e del National Book Award, appare lontano dai capolavori a cui forse si è ispirato. La storia, seppur ben narrata e architettata, non convince del tutto il lettore attento. Non credo che diventerà un classico della letteratura come il retro di copertina suggerisce, ma resta comunque una buona lettura.
E’ uno di quei romanzi che non mi sento di sconsigliare, ma non mi hanno pienamente convinto