5 libri in 5 giorni Alla scoperta di Alicia Giménez-Bartlett

Una di quelle cose che succedono a Berlino: sto tornando a casa dopo aver pranzato fuori, e alla fermata dell’autobus ti vedo un tipo che poggia uno scatolone pieno di libri sotto la pensilina. Mi attardo a guardare una vetrina aspettando che se ne vada e, non appena svolta l’angolo, mi fiondo sulla scatola come uno di quei barboni che, sempre a Berlino, si precipitano sul secchio della spazzatura perché hanno visto qualcuno buttarci una bottiglia vuota.

(I supermercati tedeschi rimborsano il deposito dei contenitori in plastica, vetro e metallo – buona idea, che serve non solo a tenere le strade pulite, ma anche a rifocillare qualche povero disgraziato che si annoia a stare tutto il giorno seduto per strada con un cartello al collo e il piattino davanti.)

Il tipo doveva essere italiano, o quantomeno avere italiani per casa, poiché i libri abbandonati sono in gran parte edizioni Sellerio: una ventina di Camilleri, che estraggo dalla scatola e impilo diligentemente sulla panca della pensilina sotto lo sguardo perplesso di un’anziana signora, un libro della Adorno che mi era piaciuto molto e che metto da parte per regalarlo a un’amica, una copia dell’Anatomia dell’irrequietezza in tedesco, che vorrei portarmi via giusto per rileggermela col testo italiano a fronte ma che poi decido di lasciare per puro spirito umanitario, un paio di raccolte di poeti italiani del Novecento, una bisunta copia del Pasticciaccio, una lussuosa edizione del Profumo in originale…

Quando sono ormai verso la fine (e mi sto chiedendo come sia mai possibile abbandonare impunemente un Gadda o un Pessoa), cinque volumetti blu allineati contro l’angolo attirano la mia attenzione: sono tutti di Alicia Giménez-Bartlett.

Troppe volte, in libreria, me li sono rigirati di nascosto fra le mani leggendone rapidamente i risvolti di copertina perché, in fin dei conti, non mi va di apparire come una fanatica di polizieschi. Sì, vabbè, da ragazzina seguivo con piacere Maigret, Perry Mason, Nero Wolf e il Commissario De Vincenzi – un po’ meno Philo Vance e Paul Temple –, ogni tanto per far compagnia ai miei mi sorbivo in tivù un Derrick o un Colombo, di qualche altra serie tipo Sulle strade di San Francisco e Attenti a quei due conservo un vago e annoiato ricordo, mi sono pure letta qualche Conan Doyle e qualche Simenon (anche se non lo avrei ammesso manco sotto tortura: a quei tempi bisognava cibarsi di Hesse, Pasolini, Woolf, Kerouac…).

Ma per appassionarmi obtorto collo al genere mi ci è voluta l’accoppiata Camilleri-Zingaretti. E così, ogni santa volta che mi ritrovavo un volumetto della Giménez-Bartlett fra le grinfie scacciavo il diavoletto tentatore e rimettevo il libro al suo posto. Ma stavolta i volumetti stavano lì frementi, divertiti quasi all’idea di traslocare in un’altra libreria e di fare nuove conoscenze, e mi sono detta, ecco qua, era destino…

Torno a casa col bottino, e da una rapida consultazione su Wikipedia mi accorgo di essermi impossessata, fra gli altri, dei primi cinque volumi della serie dell’ispettrice Petra Delicado. Perché solo i primi cinque, mi chiedo – sono stati letti tutti quanti, lo si vede dal dorso. E gli altri dove sono? In attesa di essere letti o di essere ancora comprati? Mi verrebbe voglia di tornare dove li ho trovati – lo scatolone era pesante, e il tipo non poteva abitare troppo lontano. Magari lo incontro e glielo chiedo. Ma poi lascio perdere: se avesse voluto rinunciare per sopravvenuta nausea lo avrebbe fatto ben prima del quinto volume.

Piglio il primo, Riti di morte, e comincio a leggere. Lo finisco a notte inoltrata, lasciandoci dentro svariate briciole della pagnottella che mi ero preparata in tutta fretta per evitare di interrompere la lettura. Il giorno dopo mi divoro il secondo, Giorno da cani, e così via fino al quinto giorno, quando a sera, con le pupille ormai stralunate, ripongo il quinto volumetto nella libreria con una netta sensazione di tristezza mista a nostalgia.
E ora che faccio senza Petra e Fermín? Inutile dire che ho accelerato un passaggio da Roma per comprarmi non solo gli altri cinque (nel frattempo diventati sei incluso l’ultimissimo Mio caro serial killer), ma anche un paio di altri libercoli in cui l’ispettrice, ormai diventata mia amica intima, figurava in raccolte di vario tipo (come Turisti in giallo).

Per soprammercato, fra la lettura del primo e del secondo blocco ho cambiato genere ma non autore, e mi sono letta un’interessante analisi di Virginia Woolf – la Virginia donna, non la scrittrice – che la Giménez-Bartlett immagina scritta dalla sua domestica. Titolo, Una stanza tutta per gli altri.

Diciamolo pure: al nutrito panorama dei polizieschi mancava un’ispettrice femminista. Ma non una di quelle femministe indiavolate tipo la de Beauvoir o la Jong, no: se non ho fatto male i calcoli, Petra Delicado – un nome manco troppo velatamente ossimorico – nel ’68 doveva cominciare a giocare non dico con le bambole, ma per lo meno alla guerra. Una di quelle femministe che sa bene come molto spesso i più acerrimi nemici della parità di genere si annidino proprio fra le donne; una di quelle che si incazzano con la collega svagata e romantica prima ancora che col collega maschilista.

Pur rimanendo nei secoli fedele a Camilleri…

Andrea Camilleri

devo ammettere a denti stretti che dopo più di vent’anni dall’uscita del primo Montalbano le vicende di Vigata non mi fanno più sussultare di sorpresa: sullo sfondo di una imperitura faida tra Cuffaro e Sinagra, il Commissario è sempre single e la gelosissima Livia prosegue disinvolta sulla tratta Boccadasse-Punta Raisi senza sospettare minimamente di portare almeno tre paia di corna sulla testa. Mimì resta il fimminaro che era fin dalla sua prima apparizione. Fazio non ha mai perso il suo aplomb. Catarella stravolge gli altrui cognomi salvo (è proprio il caso di dirlo…) a trasformarsi in un informatico svizzero non appena si siede alla tastiera.

Galluzzo non ha mai staccato il piede dall’acceleratore. Pasquano non si è mai messo a dieta malgrado il trapasso del compianto Perracchio. Adelina non ha mai sbagliato un’infornata. E Camilleri, o chi per lui, continua imperterrito con le sue allusioni politicamente corrette e viranti a un buonismo degno di migliori esiti elettorali.

La Delicado e Montalbano sono coetanei da un punto di vista editoriale, ma di differenze tra i due ce ne sono, e parecchie – in realtà, hanno in comune giusto qualche tratto tipico della categoria.

Alicia Giménez Bartlett
Alicia Giménez-Bartlett

Tanto per cominciare, Petra racconta le sue storie in prima persona, e le racconta senza infingimenti, senza sottintesi, senza esclusione di colpi verso se stessa, senza in definitiva lasciare al lettore il compito di desumere il suo carattere, di evincere dal non detto un aspetto della sua personalità.

Al contrario, la ispectora divaga spesso e volentieri su tematiche che spaziano dall’antropologia alla sociologia, dai piaceri carnali alla buona cucina (senza nemmeno sfiorare i fondamentalismi del suo omologo siciliano – anzi, le capita spesso d’ingozzarsi di schifezze), dalla politica alla religione, dalle crisi familiari ai pettegolezzi dei colleghi, dalle regole del bon ton alle più viete banalità. E lo fa con una sincerità disarmante, al punto che il romanzo prende spesso la forma di un diario intimo in cui l’io narrante, lungi dal voler apparire l’integerrimo tutore della legge, rivela in tutta onestà le sue esitazioni, i suoi difetti, le sue debolezze.

Petra ci piace perché potrebbe essere un’amica. Mostra la sua durezza e nasconde la sua dolcezza in modo così scoperto che verrebbe voglia di modificare solo per lei la famosa locuzione latina: nomen (cogn)omen. È incoerente, e non se ne fa un cruccio – accetta l’impietoso passare degli anni ma si concede lunghe ore di restauro in un centro benessere, critica le costose abitudini dell’alta borghesia barcellonese ma si lancia in rovinosi pomeriggi di shopping. Quantunque non proprio sulla spiaggia, anche lei vive a un passo dal mare, ma in vent’anni – per quanto ci è dato di sapere – non si è concessa più di una vacanza balneare o di un tuffo in piscina.

Anela allo status di single, ma passa da un marito all’altro con sofferta facilità (e dell’ultimo marito – potreste mai crederlo? – si accolla spesso e volentieri pure la numerosa prole pregressa, lei che si ostinava a fare della beata solitudo la sua sola beatitudo). È insofferente ai m’as-tu-vu e alle evoluzioni del sociale, ma non si tira indietro di fronte a una serata in discoteca o a un selfie coi figliastri. E state pur sicuri che a ogni sgarberia non seguirà mai una parola di scuse, ma a volte un sincero e inconfessato pentimento, che ci confiderà senza pudori o false modestie.

C’è poi lo stile di scrittura

Alicia Giménez Bartlett, Una stanza tutta per gli altriTempo fa proprio su questi spazi mi lamentavo del fatto che solo due scrittori sono riusciti a farmi ridere a crepapelle. Mi correggo: sono tre. Ormai il lessico vigatese si è talmente insinuato nelle nostre vite che macari noi non ce ne spiamo più la scascione: ogni volta che abbordiamo l’ultimo Camilleri parte il traduttore automatico e santi benedetti.

Alicia scrive in uno stile frizzante – e può essere indifferentemente champagne o aspirina effervescente –, sempre vario, leggero e sorvegliatissimo, profondo e divertente. Ma divertente tanto, coi suoi originalissimi paragoni, le rapide staffilate, le battutacce da caserma, le scaramucce col suo vice che con Augello non ha in comune niente di più di una generica qualifica professionale (e non si offende perché la sua capa continua a dargli del lei, anzi).

 

Alicia Giménez Bartlett. Mio caro serial killerInutile dire che gli altri sei libri della saga me li sono divorati come i cinque che li avevano preceduti. Mi sono letta anche i sei racconti brevi raccolti in un libretto a parte e mi sono comprata persino un altro sellerietto di brevi storielle poliziesche scritte da autori vari solo per prolungare il piacere della relazione con Petra, snobbando impietosamente tutti gli altri commissariati.

Ora non mi resta altro che una puntata a Barcellona in un qualche Feltrínellos o Mondadóres per comprarmi i video della serie Petra Delicado che hanno tratto dai racconti della Giménez-Bartlett (domandandomi nel frattempo cosa mai aspetti la televisione italiana a doppiarli e a mandarli in onda, visto che è un genere che fa presa sull’audience). Ma già mi hanno detto che il successo è stato tale che sono esauriti da un pezzo – mi toccherà vincere le mie ultime resistenze e procedere a un acquisto online.

Si tratta di letteratura di evasione?

Agli appassionati l’ardua sentenza. L’intreccio del poliziesco lo si dimentica in fretta, o almeno io lo archivio fin da subito nei file più periferici del mio cervello, ma nella testa continua a girare un qualcosa su cui si torna con piacere a riflettere – e, alla fine della fiera, non è questo lo scopo ultimo di un libro? E spero tanto di essere riuscita a parlare di questa strana quanto divertente coppia, Petra e Fermín, senza rivelarvi niente che non dobbiate avere il piacere di scoprire da soli.

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Gae Liberati

Gae Liberati

Nullafacente che fa un sacco di cose per suo esclusivo diletto, ogni tanto scrivo, con sommo piacere, un articolino per Cronache Letterarie. Vivo fra Parigi e Berlino, concedendomi di quando in quando una settimanella a Roma per far provvista di libri e di colesterolo.

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