C’è una donna affascinante, seduta da sola al tavolo di un bistrot, che gioca con un coltello, pugnalando lo spazio fra le dita aperte sul piano. E c’è un uomo carismatico e sicuro di sé che la avvicina, ammaliato, e le rivolge una richiesta sfacciata, presentandosi baldanzosamente. “Sono Picasso” dice, e tanto basta.
Lei risponde senza troppo scomporsi. “Mi chiamo Dora Maar: fotografa.” Da questo incontro comincia tutto: una storia che dura decenni, fatta di grande passione, coinvolgimento intellettuale, crudeltà, dispotismo e un pizzico di follia. Osvaldo Guerrieri, scrittore e critico teatrale, la mette in scena nel suo Schiava di Picasso, un titolo che mette subito in chiaro i rapporti di forza di questa straordinaria coppia.
Da un lato il pittore più pagato e osannato del momento, figura pop, ma dalle convinzioni politiche ferree. Un uomo che ha con le donne un rapporto ambiguo. Non può vivere senza di loro, sono muse vitali per la sua arte e sollievo al suo desiderio, ma a loro rivolge uno sguardo per lo più utilitaristico. Una sorta di contorta fedeltà, mirata solo a farle continuare ad orbitare attorno al suo sole splendente. Dall’altro Dora Maar, nome d’arte di Henriette Theodora Marković, figlia di un architetto croato e di una borghese francese che le impose una rigida istruzione nell’esotica Buenos Aires dove trascorse l’infanzia e l’adolescenza.
Guerrieri riesce a seguire la biografia della coppia senza mai scadere nell’aneddotico, romanzando quel tanto che basta, appoggiandosi ai documenti e alle foto scattate da Dora così come ai quadri di Picasso. Sollevando il velo della vita dietro l’Arte, Guerrieri ci presenta una figura femminile complessa e piena di contraddizioni. Dora è una donna dal carattere forte e debole insieme: tanto decisa e anticonformista nella carriera e nelle frequentazioni artistiche, quanto vittima in amore di uomini crudeli, dalla sessualità molto più libera e disinvolta della sua.

Dora decide di dedicarsi alla fotografia molto giovane e, dopo aver preso lezioni, entra in contatto con i maestri più interessanti e all’avanguardia della sua epoca. Si appoggia prima allo studio di Brassaï e poi a quello di Man Ray, al quale si propone come assistente. Man Ray le dispenserà consigli e le svelerà alcuni trucchi del mestiere, ma non rappresenterà mai veramente quella figura di mentore cui lei aspirava. In compenso, però, la introdurrà nella bizzarra cerchia dei Surrealisti, spalancandole le porte di un modo completamente nuovo di concepire l’arte. Surrealisti, scrittori, pittori, autori teatrali non avevano un posto rigido come in una vecchia concezione dell’arte: i ruoli si mescolavano e ogni nuovo elemento, specie se affascinante come Dora, con il suo sguardo magnetico e le sue mani affusolate e perfette, era il benvenuto.
Così venne introdotta in vari circoli. Tra Paul Éluard e sua moglie Nusch, André Masson e la fidanzata Rose, Jacques Prèvert, George Bataille e la moglie Sylvia. Bataille, in particolare, la corteggia spudoratamente. Lei cede al fascino di questo cinico dalla mente geniale, un uomo per cui l’eros e il desiderio sono la molla che fa girare il mondo, senza badare alle convenzioni umane. Dora gli si consegna “come un turacciolo al mare”. E’ la passione per la fotografia a salvarla dall’annullamento totale: le foto per gli abiti surrealisti di Elsa Schiaparelli, le sperimentazioni fotografiche con le doppie esposizioni, i fotomontaggi e gli assemblaggi. “Adesso, lavorando di tecnica e di fantasia, inseguiva forme distorte e illusionismi ottici. Così facendo sperava di riuscire a svelare il lato invisibile della vita e degli uomini”.

Guerrieri rende onore alla vena creativa di Dora Maar, che sgorgava dal profondo. Poesie nate come sfoghi dalle delusioni amorose, le foto e le mostre. Ma, soprattutto, rende omaggio al rapporto con Picasso, una sorta di possessione. Lei lo fotografa mentre è all’opera, immortala, tra gli altri lavori, i vari stadi della stesura di Guernica, una delle opere più importanti e sentite di Picasso. Lui la ritrae costantemente. Le sue belle mani rese con pochi tratti, le lacrime (tante) che le fa versare riportate sulla tela. “Dora per me è sempre stata una donna che piange, è importante perché le donne sono macchine per soffrire” – disse di lei il pittore spagnolo. Lei ricambiò con una frase altrettanto atroce: “Pablo è uno strumento di morte. Non è un uomo, è una malattia, non un amante, ma un padrone”.

Le due frasi si susseguono in calce al bel romanzo di Guerrieri, a metà tra biografia e finzione. Con una scrittura ricca di immagini, il testo ripercorre lo scorrere implacabile del tempo e il susseguirsi degli episodi più significativi della loro storia. Come la prima volta che Dora immortala Pablo mentre è al lavoro su un fondale teatrale, nel 1936: “Inquadrava il pittore dentro il proprio obiettivo e si sentiva immensamente felice. […] In quel momento così assorto e quasi assoluto, mentre la testa sembrava riempirsi di aria calda, Dora aveva la sensazione di essere diventata tutt’uno con l’uomo che ammirava profondamente malgrado l’egocentrismo e la prepotenza. In quegli istanti senza durata, mentre lo fotografava, lei era con Picasso e tutta di Picasso. Nello stesso tempo immaginava che Picasso, chiuso nel suo silenzio, dipingesse soltanto per lei affinché lei gli prendesse l’anima”.
In realtà accadrà piuttosto il contrario, ma ciò che rende Dora Maar un personaggio affascinante è anche la sua capacità di sopravvivere, faticosamente, a personalità dominanti come quelle di Bataille e Picasso, oltre che alle difficoltà della guerra che travolge la sua famiglia e Parigi tutta. All’ennesima donna che entra nella vita di Picasso, dopo quasi vent’anni passati insieme, Dora ha un crollo nervoso. “Dora, Dora, Dora, implora Picasso sempre più spesso, come macinando tra i denti una sua disperazione. Più lui la invoca, più lei si smarrisce nel labirinto di un silenzio compatto”.
Alla fine è il più grande psicanalista francese in persona, Jacques Lacan, amico dei Surrealisti, a prenderla in cura e a guarirla. A quel punto la storia con Picasso finisce definitivamente e Dora si ritira nel Sud della Francia, nella casa che le ha donato lui. Così, dopo le estati rutilanti in Costa Azzurra in compagnia delle girandole di amori dei Surrealisti e la fuga da Parigi verso l’Aquitania per sfuggire ai tedeschi, alla fine sarà di nuovo la Provenza a fare da sfondo alla sua vita.
E dal dio dell’arte contemporanea in persona, Dora passerà a un altro Dio, che le regalerà finalmente la serenità.
“Dopo Picasso soltanto Dio”.
Puntuale e brillante come al solito, grazie Marzia! Sembra un libro imperdibile, se non altro per quella promessa di pacificazione finale.