Questo articolo vi propone un viaggio nell’uso del cinema amatoriale sul grande schermo. Un fenomeno che ha portato, con il tempo, alla nascita del social video. Per comodità di lettura, sarà proposto in due tappe, che coincideranno con due fasi diverse della storia di questo processo, tanto affascinante quanto poco conosciuto.

L’inserimento di un filmato amatoriale all’interno del film è un escamotage utilizzato molto spesso dal cinema. Di esempi se ne possono fare a migliaia. Spesso il motivo è quello di innescare un flashback e avviare una riflessione metacinematografica. Cosa si intende con questo?
Il film di finzione classico ci presenta una serie di avvenimenti che si raccontano autonomamente, che sono studiati per farci immedesimare in loro, somigliando spesso alla nostra vita reale. Il meccanismo della finzione fatto di copioni, attori, location ricostruite, tende a rimanere nascosto per non farci distrarre dalla storia.
Tutto questo almeno fino a quando il cinema decide che vuole farci fare i conti con il suo linguaggio. Succede quando il cinema d’autore, oltre a volerci offrire una narrazione, pretende che il pubblico rifletta anche sulla sua messa in scena. E’ in questo momento che cadono le barriere della finta verità rappresentata ed entra in scena lo stesso spettatore. Ecco cos’è il metacinema.
Eppure parlare di cinema attraverso il cinema può avere molte sfumature. Il nucleo tematico attorno a cui ruota questo articolo si limiterà ai filmini, ovvero all’utilizzo della categoria del cinema amatoriale per rompere quella famosa barriera. Perché è proprio questa categoria che è all’origine di molti fenomeni contemporanei, compreso il video sul web. Ma andiamo con ordine.
Analizziamo qualche caso per capire meglio l’evoluzione del fenomeno.
Partiamo da Peeping Tom (1960) di Michael Powell. Tradotto in italiano con L’occhio che uccide, Peeping Tom è la storia di un ragazzo con forti problemi relazionali. Mark, il protagonista, per tutta l’infanzia era stato oggetto di esperimenti scientifici da parte del padre, un celebre psicologo. Questi esperimenti paterni causano in lui gravi traumi, mai risolti, e ne condizionano fortemente i comportamenti con gli altri. Per studiare alcuni effetti della paura sulla psiche, Mark era stato continuamente e morbosamente filmato dal padre. Da grande, divenuto cineasta, è ossessionato dal filmare e lo fa coi propri strumenti amatoriali. Addirittura in casa ha un laboratorio di sviluppo e stampa fotografico.
Il tema del film è la scoptofilia, o più comunemente detta voyeurismo (un po’ come in Rear Window – La finestra sul cortile – di Hitchcock 1956), cioè l’ossessione per l’immagine, il vero godimento che si trae nel rivedere il momento piuttosto che viverlo. Mark filma deformità e, soprattutto, la paura premorte. Da ossessionato dell’immagine, diventerà un serial killer che uccide filmando il momento di terrore sui volti delle proprie vittime. Egli mette uno stiletto nel treppiede della macchina – di qui il titolo italiano del film -, strumento che utilizzerà per filmare anche la propria morte da suicida.
Un esempio successivo di uso di cinema amatoriale, che ci è utile analizzare per il nostro scopo, è il film Dillinger è Morto di Marco Ferreri del 1969. Ambientato quasi interamente in un interno di casa borghese – la casa del pittore Mario Schifano – il film contiene una sequenza particolare in cui il protagonista Michel Piccoli allestisce, nel salotto, la tipica sala di proiezione casalinga. Tutto il film vive in un’atmosfera rarefatta e il racconto è sempre al tempo presente. La presenza di altri media è molto insistente: dalla fotografia alla musica, dalla radio alla televisione.

E’ nella parte centrale del film che Michel Piccoli – Glauco nel film – allestisce la proiezione dei filmini delle vacanze in Spagna. Si vedono una corrida, Barcellona, la moglie e un’amica. La proiezione è decentrata rispetto alla parete, prendendo un angolo e dividendo lo schermo, probabilmente per rimarcare la veridicità della scena, che non fa uso di effetti speciali. Le immagini proiettate nel film hanno lo scopo sia di flashback, che di scenografia per una performance dell’attore. Alla fine, i protagonisti del filmato entrano in una stanza degli specchi. Qui l’immagine amatoriale si fa astratta e, successivamente viene proiettata su un separè, una coreografia interamente composta da mani, per completare la performance visiva di un cinema espanso, un cinema, cioè, che ospita in sé anche altre forme d’arte .
I momenti di vacanza spensierata, vita coniugale borghese, sono un topos dei filmati amatoriali in tutto il mondo. Nella seconda sequenza, c’è uno scambio di contenitori di kodachrome 16mm: lo scambio di bobine fra gli amici era normale all’epoca, le memorie private venivano spessissimo diffuse nella cerchia amicale.

Un uso diverso del cinema amatoriale, è quello che fa Robert Deniro in Hi Mom! di Brian De Palma del 1970, in cui interpreta un giovane regista che vuole fare un film spiando i vicini di casa. Il film è una riflessione sul cinema e numerose scene ambientate in studi fotografici e negozi, c’è un uso massivo di strumenti per il cinema amatoriale. Il film ha il tono della commedia e ruba molti cliché dalla televisione americana. Notiamo in tal senso alcune analogie nel film che Truffaut girerà nel 1973, La Nuit Americaine (Effetto Notte).
Un altro esempio della fruizione del cinema amatoriale che avrà influenza in seguito, si trova ne La prima notte di quiete (leggi qui il nostro articolo). Un film del 1972 di Valerio Zurlini in cui un gruppo di amici assiste al filmato della gita a Venezia di una coppia che fa parte del gruppo. A un certo punto, però, il filmato si farà molto intimo e la protagonista femminile interromperà la visione per vergogna. Evento da cui si scatenerà buona parte della trama del film. Ne La prima notte di quiete viene rappresentato uno degli usi più diffusi dell’home movie: l’uso del cinema amatoriale come spettacolo per una piccola cerchia amicale.

Nel 1979, in una Polonia ancora sotto la cortina di ferro, Krzysztof Kieslowski realizza Camera Buff, o Amator o Il Cineamatore. La trama è semplice, Filip Mosz acquista una Quartz2 – cinepresa 8mm sovietica – per filmare l’evento della nascita della sua prima figlia. Da lì comincia una discesa nell’ossessione del filmare, tanto che il personaggio entra in riflessioni filosofiche sul senso stesso del processo filmico. Il filmato realizzato dal protagonista vince premi in festival di cinema amatoriale. Così lui fa carriera fino a diventare un professionista ed inizia a lavorare per la televisione di stato, mettendo in gioco tutta la propria esistenza e la propria vita coniugale, passando dal cinema di famiglia alla rappresentazione burocratica della realtà.
Il film è un’interrogazione sulla rappresentazione del reale e sul ruolo che il cinema amatoriale ricopre nella vita di un cineasta. L’inizio di una carriera da regista, infatti, nasce spesso dal livello amatoriale. D’altra parte, come dice il nome stesso, l’amatore è per definizione “Chi ama; chi ha amore, inclinazione, trasporto verso un determinato oggetto; chi si diletta di qualche cosa, un dilettante”.
Nel 1984 John Carpenter realizza Starman, un film di fantascienza, in cui un alieno assume le sembianze di Jeff Bridges tramite il DNA rinvenuto in una ciocca di capelli, e ne imita gli atteggiamenti osservando un Super8. Da quel momento in poi vedremo molto spesso la simulazione fotografica del Super8 – in particolar modo della pellicola Kodachrome K40 – per rappresentare il flashback. Il suo sistema di colorimetria è unico, un sistema adottato oggi nei filtri digitali che app come Instagram hanno contributo a diffondere in modo universale.

L’appeal fotografico della pellicola 8mm e super8, specie la pellicola invertibile, è indubbio e con il tempo ha generato un vero e proprio “cromatismo della nostalgia”. “L’effetto super 8” è diventato, nel gergo comune, sinonimo di passato felice, una sorta di innalzamento della temperatura del colore della malinconia.
Forzando il discorso che Deleuze faceva a proposito del film nel film, potremmo dire che anche il film amatoriale si comporta – come Deleuze affermava per il metacinema – come un’immagine cristallo.
Cosa è questa immagine cristallo? Nel suo L’Immagine Tempo, Deleuze spiega che ciò che la costituisce è un’operazione fondamentale del tempo. Dato che il passato non si forma dopo il presente, ma si forma contemporaneamente ad esso, il tempo in ogni istante si sdoppia in presente e passato. Mentre scorre, il tempo mantiene sempre queste due anime. Qualcosa sta scivolando verso qualcosa che non c’è più e si sta incarnando in qualcosa di nuovo che è il nostro presente. Io credo che anche il cinema amatoriale, soprattutto nel momento del suo riutilizzo al cinema, assuma un valore molto vicino a quello dell’immagine cristallo. E’ come se vedessimo, in quei frammenti di filmini utilizzati, un piccolo Cristallo di tempo, ovvero un momento in cui c’è uno sdoppiamento, come se ci fosse il presente e contemporaneamente il passato che si conserva.
C’è dunque da riflettere sul fatto che, benché molto spesso gli venga addebitato il valore di un flashback, l’uso del cinema amatoriale nel cinema di fiction abbia in realtà un valore di presente nel momento in cui viene riattualizzato.
Poi, andando avanti con gli anni, tutto cambia. Lo vedremo fra qualche giorno, nella seconda parte di questo articolo.