Vinyl. La serie fallisce, la sigla spacca

Era stata annunciata come la serie dell’anno nel 2016. Quel team di progetto che vedeva insieme Mick Jagger e Martin Scorsese, Terence Winter e Rich Cohen, aveva creato delle aspettative altissime. Ma vuoi la spesa, vuoi la delusione per lo share, di quella serie dopo la prima stagione non se n’è fatto più nulla. Eppure la sigla fantastica era, e fantastica rimane.

Fin dall’inizio, Vinyl è apparso sulla scena come un progetto ambizioso. Persino il pilot lo era: oltre due ore dirette da Martin Scorsese. Un pilot sensazionale che si è trasformato presto in un piccolo film dal valore autonomo. E prezioso. E poi la musica, gli anni ’70 nei ricordi di Jagger. Lo sballo, la New York degli anni della sperimentazione. Tutto tanto. Tutto troppo. Coinvolgente, ma di nicchia, forse. E, soprattutto, troppo costoso per poter continuare a sorprendere. Per questo non vedremo mai una seconda stagione della serie ed è un peccato. Ma di sicuro c’è qualcosa che continueremo a vedere e ad ascoltare a prescindere: la sua sigla.

Scheda tecnica
Executive Creative Director: Peter Frankfurt
Creative Directors: Alan Williams, Michelle Dougherty
Executive Producer: Jon Hassell
Lead Producer: Tess Sitzmann
Producer: Dunja Vitolic
Lead Editor: Jessica Ledoux
Editor: Zach Kilroy
Type Designers: Jeremy Cox, Henry Chang
3D Animators: Bhakti Patel, Dan Meehan, Sekani Solomon
Coordinator: Krista Templeton
Additional Designs: Nick Wiesner, Michael Sistek
Type Animations: Dan Meehan, Henry Chang
Music: “Sugar Daddy” by Sturgill Simpson

Affidata alla Imaginary Forces (la stessa di Se7en, Mission: Impossible, Mad Men, Boardwalk Empire), la sigla è il frutto del lavoro congiunto di un team di creativi che, tra New York e Los Angeles, ha sviluppato molti concept prima di arrivare alla versione definitiva. Come far immergere e immedesimare in un’atmosfera così speciale come quella della New York degli anni ’70 un pubblico variegato? Fatto di persone che quegli anni probabilmente non li hanno vissuti, ma li hanno immaginati solo attraverso la musica? Non semplice. Ma è il bello della sfida di questo lavoro.

Uno dei primi concept su cui i creativi iniziano a lavorare viene definito dal team “Record”. Si tratta di cercare di evocare le atmosfere dell’epoca, proprio partendo del concetto della registrazione musicale e del disco: argomenti centrali nella serie. L’idea è quella di far partire la sigla con l’avvio di un vinile, per poi essere catapultati nei pensieri del protagonista e, quindi, nelle atmosfere generali della serie, che comprendono sesso, denaro, droga, oltre alla musica.

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“RECORD” esplorazione del concept – Fonte: Arts of Title

Un altro concept esplorato nella fase di brainstorming creativo, è quello puramente grafico e viene definito “Gig Poster”. Consiste nel ricostruire il contesto emotivo della serie attraverso la riconoscibilità dei caratteri tipografici usati nei poster anni ’70. L’idea è di Jeremy Cox, suggestiva, ma probabilmente poco incisiva per una sigla che aspira ad essere vista più e più volte. Per questo viene anch’essa abbandonata.

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“Gig Posters”, concept di Jeremy Cox – Fonte: Arts of Title

Alla fine prevale il desiderio di mostrare, attraverso i titoli di testa, il carattere vibrante, dissonante e di rottura, rappresentato dalla musica di quegli anni. Il suo aspetto esplosivo che poi ha giustificato un contorno fatto di trasgressione e dissolutezza nella vita sociale. Il rock’n roll degli anni ’70 è dissacrante, non si conforma a regole ed è distruttivo. Vibra dentro di noi, guidandoci in una danza scomposta. Dunque, la sigla doveva provare ad essere coerente con queste parole chiave. I creativi esplorano tutta la produzione cinematografica più importante di quegli anni, i film di Scorsese, i documentari su New York della BBC, i libri sullo scenario musicale dell’epoca e cominciano a dare una forma alla sintesi delle loro idee. Una forma visiva alle vibrazione della musica.

E lo fanno partendo da un’intuizione molto semplice. Eppure quasi geniale. Alan Williams, uno dei direttori creativi della Imaginary Forces, compra un bel pacco di farina, mette un suo amico su una sedia ad ascoltare musica, prende il suo iPhone 6 e comincia a filmarlo mentre si muove a suon di rock’n roll, avvolto da una nube di polvere bianca. Bingo. La vibrazione arriva, la musica si impone, la trasgressione si vede. E’ il concept giusto.

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Alan Williams, esplorazione concept – Fonte: Arts of Title

E da qui parte tutto. Compresa la scelta della colonna sonora. Non un brano degli anni ’70 che sarebbe suonato familiare ed avrebbe distratto dalla visione del video. Piuttosto qualcosa di energetico, ma straniante. Com’è “Sugar Daddy” di Sturgill Simpson.

E gli elementi prendono pian piano forma in successione. La sigla inizia con le vibrazioni della musica, quella cocaina simbolo del periodo che esplode a suon di batteria. Poi troviamo i dischi, la New York in bianco e nero dell’epoca. I locali. La gente. Lo sballo. In un climax ascendente che rapisce e ti fa venir voglia di non staccarti più dallo schermo. Ma, soprattutto ti regala qualcosa di nuovo che non avevi notato prima, ogni volta che rapisce il suo sguardo.

Ed è così che una serie pensata per un grande progetto, ci regala una sigla degna di tale grandezza. Peccato davvero averne perso il seguito.

Gianna Angelini

Gianna Angelini

Direttrice scientifica e responsabile internazionalizzazione di AANT (Roma), docente di semiotica e teorie dei media, giornalista. Insegno per passione, scrivo per dedizione, progetto per desiderio.

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