“Chiedere perdono richiede più coraggio che sparare, che azionare una bomba. Quelle sono cose che possono fare tutti. Basta essere giovane, ingenuo e avere il sangue caldo.”
Come si capisce che un libro è davvero un grande romanzo? Lo è quando ti apre prospettive nuove, ti amplia la mente e continui a farti domande sul senso degli avvenimenti e sul suo significato nascosto. Patria affronta una pagina dolorosa e contraddittoria della storia spagnola ma anche della nostra storia: il terrorismo. L’autore ha voluto rispondere a domande concrete. Come si vive intimamente la disgrazia di aver perso, un padre, un marito, un fratello, in un attentato? Come affrontano la vita, dopo un delitto dell’ETA, la vedova, l’orfano, il mutilato e cosa succede alla famiglia dell’attentatore, quali meccanismi psicologici portano gli assassini a considerarsi vittime?
Il romanzo parte con la dichiarazione della fine dell’attività dell’ETA che avvenne il 10 gennaio 2011, quando fu annunciata la fine della violenza da tre uomini incappucciati. I personaggi rifanno i conti con il passato in una fase storica nella quale presumibilmente non ci saranno più morti e quel passato si può finalmente osservare con occhio neutro, quindi vederlo in modo oggettivo.
Euskal Herria è una parola intraducibile
In lingua basca vuol dire insieme il luogo e il popolo basco, il legame che non si può scindere tra la terra e il popolo che vi abita. Patria, dunque, è al tempo stesso aita e ama, ovvero papà e mamma, è appartenenza assoluta, come la famiglia, ma è anche tragedia, maledizione. Sembrava un residuo del passato, invece la patria è la protagonista della nostra epoca, fatta di Stati senza territorio, di territori senza Stato. Alla patria basca Fernando Aramburu ha dedicato il suo romanzo, un caso letterario in Spagna nel 2016, pubblicato in Italia da Guanda e tradotto da Bruno Arpaia, è ambientato negli anni del terrorismo separatista basco dell’Eta che ha provocato 829 morti tra il 1968 e il 2011. Oggi è la Catalogna a rivendicare la sua identità e indipendenza nel cuore dell’Europa che reclama l’appartenenza a una cultura comune, ma spesso rischia di parlare a uomini e donne che non condividono né radici, né futuro. Per questo occorre riflettere sul passato di una remota zona dell’Europa.
Patria è la storia di due famiglie che vivono in un paesino basco, unite da profondi rapporti di amicizia e guidate entrambe da donne forti e volitive – due autentiche matriarche – si ritroveranno separate e nemiche per la violenza estrema dell’ ETA ma anche della polizia. Le due donne sono state molto amiche da giovani, volevano farsi entrambe suore e restano molto legate anche agli stretti e spontanei legami familiari fra mariti e figli.
Bittori (Vittoria in basco) perde il marito Txato, un imprenditore affermato e di provata fedeltà alla causa basca, che viene ucciso per essersi sottratto all’estorsione. Questo perché i nazionalisti finanziavano le proprie imprese chiedendo una sorta di “pizzo” agli uomini più in vista e danarosi. Miren invece ha un figlio terrorista, che difenderà con fanatismo, accecata dall’amore, in un delirio di adesione materna, credendo di aver aderito anche lei a una causa giusta e santa. Lasciando irrisolti i nodi psicologici e familiari, qui c’è un segreto che verrà svelato solo alla fine. È Jose Marie ad aver ucciso Txato, l’ex amico di famiglia che da piccolo gli comprava i gelati? Per quale motivo? La politica? E’ la Storia con la maiuscola a distruggere le due famiglie? Resta il fondato sospetto di una invidia tra vicini.
Cercare una riappacificazione con il proprio passato
Le vite sono meccanismi complessi e intricati; difficilissimo rintracciare il capo della matassa. Si snodando avvenimenti privati e pubblici, odi, rancori, gelosie e, nell’incapacità di proseguire lungo il solco della normalità, si costruiscono i destini unici e irripetibili, dannati e disperati. Sembrerebbe impossibile trovare una riappacificazione con il proprio passato e con i protagonisti del dramma che si è consumato, ormai tanto tempo fa.
L’autore cerca di comprendere tutte le ragioni e dà voce a tanti io narranti quanti sono i personaggi, ognuno col suo linguaggio, la sua volontà, le paure, le convinzioni e le stimmate della propria sofferenza. Si sovrappongono i diversi piani temporali, con continui salti che all’inizio disorientano il lettore, per riportarlo sempre lì, a quel pomeriggio piovoso, quando un uomo gentile è stato ucciso in nome di una causa che alla fine non tutti comprendono, tanto è l’offuscamento generale dello sguardo. Attraverso un continuo andirivieni e cambio del punto di vista, si racconta il prima e il dopo l’evento cruciale, avvicinandosi con lentezza e allontanandosi velocemente dal centro della storia.
L’atmosfera di piombo imposta dall’ETA nelle provincie basche dove più forte era la sua presenza, è descritta da Fernando Aramburu con tratti che ricordano da vicino la cappa mafiosa di alcune zone italiane, senza alcun cedimento agli argomenti dell’organizzazione indipendentista. Solo un po’ di umana compassione è rivolta a quei giovani che sceglievano la clandestinità per un ideale sbagliato e che finivano poi uccisi o in prigione, dove spesso li aspettava un trattamento non consono a un paese democratico. L’autore non passa sotto silenzio nemmeno le violenze della polizia.
In un’intervista Aramburu sottolinea il ruolo fondamentale delle due madri nella narrazione, che hanno un ruolo fondamentale nella narrazione: “Fuori dal territorio domestico, naturalmente, il potere delle donne finiva. Ma oggi, come in qualsiasi altro posto, anche qui le cose stanno cambiando. Forse c’era necessità di una storia così. Finora la letteratura aveva raccontato il terrorismo dal punto di vista delle vittime o da quello degli etarras [i membri dell’Eta], io ho cercato di inglobare tutti in un’unica narrazione che nell’arco di trent’anni mostrasse l’evoluzione dei personaggi. Forse con questa scelta il lettore si è sentito coinvolto”.
In effetti il lettore è chiamato in causa continuamente per decodificare e analizzare i comportamenti dei personaggi, le loro scelte e la tenacia nel seguire il proprio destino – che fosse la morte o il carcere – in nome di un ideale che non si poteva assolutamente mettere in discussione. Nei lunghi anni di galera il terrorista pensa e ripensa agli avvenimenti della sua giovinezza, vedendoli come un destino ineluttabile, una divisa che una volta indossata non si può più togliere. Solo quando si rende conto di non aver mai conosciuto l’amore, troppo occupato a sparare e a nascondersi, comincia ad aprirsi una breccia nel suo cuore, un cedimento dell’ideologia.
E il perdono?
È uno dei temi centrali del romanzo. “Il perdono non si può teorizzare. Non lo si può reclamare in piazza a giornalisti e fotografi. È una cosa intima, privata.” dice uno dei protagonisti.
Pagine toccanti e di profonda umanità, raccontate con una scrittura asciutta, essenziale, anche se a volte l’autore tende a “caricare un po’ i toni”, e a raccontare nei minimi dettagli la vita di alcuni personaggi, distogliendo l’attenzione dal plot principale. Talvolta si fa un po’ fatica a entrare in sintonia con questo lo narrativo frammentato, ma vale la pena superare la difficoltà di raccapezzarsi nella storia, rimettendo insieme i frammenti del puzzle che del resto rappresenta la vita proprio nel suo continuo dissolversi e ricomporsi. E queste sono vite difficili, impossibili, toccate dal dramma ma anche dalla grazia.
Argomento difficile che riguarda anche noi e molti altri Paesi. Utile per una riflessione sulle spinte alle autonomie presenti in paesi non lontani dal nostro e spesso sostenute dall’opinione pubblica senza domandarsi se è veramente giust e se non ci siano alternative.
Sto leggendo il libro. ¡Grazie per la tua bella recenzione, Luisa! Questo romanzo mi sta aprendo gli occhi; nonostante sia nata e vissuta in Spagna fino alla fine degli anni settanta, tante cose sul terrorismo basco erano per me sconosciute. Oltre alla storia molto ben costruita, lo stile mi sembra veramente efficace; la sovvraposizione di piani temporali, con continui cambiamenti del io narrante, non sempre disorientano, al contrario a volte avvicinano di più alla vicenda. I numerosi detagli sulla vita quotidiana ci fanno capire meglio la psicologia dei personaggi, questo fa sentire il lettore a proprio agio, nonostante le tematiche siano dolorose.
Mi fa piacere che una spagnola, catalana, scriva queste cose. E’ importante far capire dove portano le derive separatiste!