Qualche giorno fa, camminando nel centro di Bologna tra la gente che andava e veniva, mi ha colpito un volto. Ho l’abitudine di guardare le persone mentre cammino e quel viso di una ragazza… alta, giovanissima, molto bella, un vestito di cotone leggero a fiorellini con sopra una mantellina di lana. Era in compagnia di un ragazzo, anche lui giovane, bello, alto. Avevano un cane e camminavano veloci come andassero ad un appuntamento.
Il loro non era il camminare stressato degli adulti, ma era il – correre da qualche parte molto importante – dei giovani. Avrei voluto fermare quella ragazza e dirle: parlami di te. Ma ho continuato per la mia strada e mi è venuta in mente la Nadja di André Breton. La situazione era la stessa, solo che lui la ragazza che l’aveva affascinato la fermò, ci parlò, la conobbe. E così poté scrivere quel capolavoro che è Nadja.
Forse per la mia timidezza mascherata da prudenza, ho perso l’occasione letteraria della mia vita. Forse la ragazza non mi avrebbe neanche risposto o mi avrebbe mandato a quel paese, ma già questa sarebbe stata una storia da scrivere. Senza “l’incontro” non è nata nella mia mente nessuna storia.
Nadja fu pubblicato nel 1926, due anni dopo l’incontro fatale di Breton, in una strada di Parigi, con una donna bellissima e misteriosa.
“Giovane, vestita molto poveramente… Così fragile che, camminando pare appena poggiare sul terreno. Curiosamente truccata, come qualcuno che, avendo cominciato dagli occhi, non ha avuto il tempo di finire, ma col bordo degli occhi nerissimi per una bionda”.
L’interesse del protagonista mi pare fin dall’inizio letterario. Ha paura di non incontrarla di nuovo perché:
“Che fare intanto se non la vedo?
E se non la vedessi più? Non saprei più.”
Nadja è una donna bellissima ma strana. Esercita un potere di seduzione nei confronti degli uomini, ma nello stesso tempo se ne fa dominare.
“So che le è accaduto nel pieno senso della parola di prendermi per un dio, di credere che fossi il sole”.
Lei ha continue visioni, vere e proprie allucinazioni. Vede mani, vede visi che gli altri non vedono. Il protagonista ne è stupito, a volte spaventato, altre ancora annoiato. Quello che lo affascina è il suo insondabile mistero:
“Dal primo all’ultimo giorno ho considerato Nadja un genio libero, qualcosa come uno di quegli spiriti dell’aria che certe pratiche di magia consentono di legare momentaneamente a sé ma che è impensabile sottomettere”.
Infatti in poco tempo il protagonista si allontana da Nadja perché qualcosa nei racconti che lei gli fa continuamente della sua vita lo disgusta, in particolare si tratta di un pugno che ha ricevuto in pieno viso da uno dei suoi amanti. Lui non si capacita del perché la ragazza gli racconti questi odiosi particolari della sua vita passata.
“Piangevo all’idea che avrei dovuto rinunciare a vedere Nadja, no non l’avrei più potuta vedere. Certo non le serbavo rancore per non avermi nascosto ciò che in quel momento mi desolava, anzi gliene ero grato, ma che un giorno fosse potuta arrivare a questo… era qualcosa che non mi sentivo il coraggio di accettare”.
Apprezzo molto la sincerità nel riconoscere che non si trova il coraggio di accettare qualcosa in qualcuno e perciò lo si allontana. Corrisponde esattamente a quello che ci è successo a tutti, forse proprio con le persone più interessanti ma troppo diverse da noi.
E’ un onesto – disonesto uomo, il protagonista di questa storia. Vuole sapere chi è quella donna, immagina che ci sia un mistero dietro quel viso bellissimo che tutti gli uomini per strada si voltano a guardare. Vuole conoscere il suo mistero, come se svelarlo fosse un messaggio importante da dare all’intera umanità.
In effetti Nadja sente e vede cose che altri non vedono. E’ totalmente immersa nel suo inconscio. Non ha altro. Come dice il protagonista, non ha quell’istinto di conservazione delle persone per bene, che tutti siamo.
“Io non ho mai sospettato che Nadja potesse perdere o avesse già perduto il favore di quell’istinto di conservazione che induce dopo tutto i mie amici e me, ad esempio a comportarci bene – limitandoci a voltare la testa dall’altra parte al passaggio di una bandiera, a non profittare di qualsiasi occasione per prendercela con chi ci pare, a non concederci il piacere ineguagliabile di commettere qualche bel sacrilegio”.
“Sono venuti a dirmi che Nadja è pazza. In seguito a certe stravaganze cui si era abbandonata, pare, nei corridoi del suo albergo, aveva dovuto essere internata nel manicomio di Vaucluse”.
Nadja finisce in manicomio. E qui quel “comportarci bene” assume un significato ben preciso. Non fare la sua stessa fine. L’invettiva finale di Breton contro i manicomi non serve a mascherare questa paura: e se capitasse anche a me? Se mi venissero a prendere perché non mi comporto abbastanza bene?
Il protagonista è preso dai rimorsi. Forse il suo intervento nella vita di Nadja ha favorito lo svilupparsi della sua pazzia, delle sue idee deliranti. Non osa neanche informarsi su quello che può esserle capitato e si pente di averla incoraggiata a seguire la strada dell’estrema libertà.
“E’ dall’inoltrarsi in questa direzione che forse avrei dovuto trattenerla rendendomi conto del pericolo che correva”.
Nell’ultima parte di questo romanzo breve e frammentario, il protagonista si innamorerà di nuovo. E questa volta “per davvero”. Non cercherà in questo nuovo amore il perché, il chi sei. In lei tutto è sole, tutto è manifesto.
“Tu non sei un enigma per me”. Voglio dire che tu mi distogli per sempre dall’enigma”.
Bellissimo e struggente, Nadja di Breton è un libro che non nasconde nulla, nemmeno la paura della donna troppo libera, nemmeno la paura della pazza e della pazzia. Non nasconde neanche quello che gli artisti fanno sempre: rubano la vita degli altri.
Basato, sul reale incontro per le strade di Parigi con Léona Delcourt, il romanzo uscì presso Gallimard nel 1928 e in edizione italiana nel 1963.
Iniziatore del movimento surrealista nel 1924 insieme ad Apollinaire e Aragon, Breton se ne distaccò nel 1935, a seguito dell’identificazione tra surrealismo e comunismo. Su Breton, la sua vita, le sue opere, da visitare è il sito francese a lui dedicato: http://www.andrebreton.fr/
Ma questo non è il romanzo del Breton fondatore del Surrealismo, quello delle riviste letterarie, del poeta e inventore della scrittura automatica. Non è il Breton intellettuale. Nadja è la storia capitata ad un flâneur, un girovago navigato per le strade di Parigi in cerca incontri. Nadja non è vista come una donna reale – anzi appena il protagonista si accorgerà degli aspetti reali e per lui ignobili, l’abbandonerà – ma come un mito: quello della donna libera e inafferrabile. In questo romanzo l’intellettuale Breton cede il posto all’uomo romantico in cerca dell’eterno femminino.