La regina Elisabetta II
tra pubblico e privato
Ho subito tardi il fascino delle serie tv on demand, probabilmente perché fino a poco tempo fa la mia fruizione audiovisiva era esclusivamente cinematografica, anche quando si trattava di vedere DVD a casa. Ma a un certo punto anche io ho ceduto a Netflix, scoprendo un fantastico mondo nuovo.
Indovinate qual è stata la prima serie che ho visto, di cui ho fatto binge watching? Esatto, THE CROWN.
Come potevo lasciarmi sfuggire un’intera serie televisiva dedicata alla mia Regina preferita? La prima stagione l’ho fatta fuori in tre giorni, per la seconda sono dovuta scendere a compromessi con i PJMasks ? che monopolizzano il televisore e quindi ci ho messo un’intera settimana!
Il produttore/creatore è lo stesso di The Audience, una pièce teatrale secondo me assolutamente fantastica, nella quale in due ore si vede la Regina – una inarrivabile Helen Mirren – cambiare età, trucco, pettinatura per incontrare TUTTI i suoi primi ministri, fino a Tony Blair, tra l’altro in ordine non cronologico (vedi il trailer). Fu proiettata nei cinema europei nel 2013, in diretta dal Gielgud Theatre di Londra, come parte della stagione del National Theatre.
Ma sto divagando, torniamo alla serie. La prima stagione di The Crown è bella corposa ed è quella in cui il lato privato della regina viene messo in evidenza: parte dal 1947 e arriva alla crisi di Suez del 1956, mentre la seconda stagione arriva al 1964.
Ho trovato molto bello il modo in cui viene raccontata la scissione tra Ragion di Stato e persona che caratterizza Elisabetta II.
Diventa regina del 1952, molto prima di quanto si aspettasse, ma è nata per esserlo e si cala immediatamente nel ruolo, anche se quando si toccano i legami famigliari la fatica si fa sentire di più: quando ad esempio impone a Margaret di lasciare il suo fidanzato perché non gradito alla Corona, pur sapendo che la sorella non glielo perdonerà mai.
O quando Filippo chiede, giustamente, di poter dare il suo cognome ai figli, cosa impensabile fino a quel momento perché la dinastia reale si chiama Windsor e gli eredi al trono non appartengono ai genitori ma alla Corona. Qui però Elisabetta moglie vince su Elisabetta regina e ottiene un compromesso: dal 1960 i suoi discendenti possono portare il cognome personale di Mountbatten-Windsor.
Tra l’altro “Windsor” è il cognome che il nonno di Elisabetta, Giorgio V, decise di usare nel 1917. La Casa Reale ha una discendenza tedesca – Giorgio V di Sassonia Coburgo Gotha -, ma quello era un suono troppo tedesco da usare durante la Grande Guerra. E quindi decise che i reali si sarebbero chiamati “Windsor”, dal nome di una proprietà della famiglia.
The Crown (qui trovate il trailer) incastra il Potere e la Storia con le emozioni di una donna che, come ho già raccontato, è una delle persone contemporaneamente più potenti e inattive del mondo. Inattiva perché le decisioni sono del Parlamento, potente perché, anche con un semplice commento, la Regina definisce chiaramente con il Primo Ministro in carica, quale sia la linea appoggiata dalla Corona: e ne ha passati 17!
Elisabetta II è l’incarnazione stessa dell’IDEA della monarchia britannnica, quella che è stata protagonista di 1000 anni di storia europea e che lo è tuttora, nel bene e nel male. Segue i dettami anacronistici del ruolo ma contemporaneamente si adegua a quelle che sono le richieste della società contemporanea. Lo fa nel 1953 con il suo primo discorso di Natale televisivo, entrando così nelle case di tutti i suoi sudditi, lo farà quando accetterà il divorzio di suo figlio Carlo, lo farà ancora approvando il matrimonio dell’erede al trono con la borghese Catherine Middleton.
Io sono molto contenta che Peter Morgan abbia pensato questa serie in 6 stagioni da 10 episodi ciascuno, ci sono ancora 50 anni da raccontare!
Passando agli aspetti più propriamente culinari che mi contraddistinguono, continuo la mia crociata a favore della cucina britannica e vi racconto ora di uno dei biscotti più famosi del Regno Unito: i DIGESTIVE.
Lasciate stare l’apparenza e la consistenza, che tutto vi fa pensare tranne che siano biscotti “digestivi”: la ricetta fu messa a punto nel 1839 da due dottori scozzesi che cercavano un prodotto facilmente digeribile, non che aiutasse la digestione! Bisognerebbe infatti usare un particolare tipo di malto, detto diastatico perché ricco di enzimi che facilitano la scissione degli amidi della farina prima della cottura. La particolarità di questi biscotti sta nel fatto che sono semi dolci (o leggermente salati, dipende da che punto di vista guardate alla cosa), il che li rende PERFETTI, oltre che per il classico tè, anche come accompagnamento ai formaggi, soprattutto se molto saporiti o erborinati, come lo Stilton per restare in UK, o il gorgonzola nostrano.
Francamente non so se la ricetta originale preveda i fiocchi d’avena, credo di no perché parla di crusca e farina integrale, ma Jamie Oliver nella sua li usa e chi sono io per discutere con Jamie? Enjoy!
DIGESTIVE BISCUIT
Ingredienti
100 gr farina integrale,
75 gr fiocchi d’avena piccoli (o tritate leggermente quelli grandi se sono quelli che avete a casa),
75 gr burro salato a temperatura ambiente,
40 gr zucchero di canna, un cucchiaio di malto (se come me ogni tanto saccheggiate Naturasì, altrimenti aggiungete un cucchiaio raso di zucchero),
1 o 2 cucchiai di latte,
1 cucchiaino di lievito per dolci,
½ cucchiaino di bicarbonato.
Mescolate insieme tutti gli ingredienti secchi, setacciando il lievito e il bicarbonato, poi aggiungete il burro morbidissimo e il latte, e impastate fino a formare una palla, che schiaccerete e metterete a riposare, pellicolata, in frigo per una mezz’ora.
Nel frattempo, accendete il forno a 170°, ventilato se potete, e foderate la teglia di carta forno.
Stendete l’impasto a uno spessore di circa mezzo cm (sono belli spessi) e tagliatelo in dischi di circa 7 cm di diametro, dopodiché infornateli per circa 15 minuti, o finché li vedete dorati.
Fate attenzione perché l’impasto è scuretto di suo, se sentite odore di bruciato è troppo tardi !!